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L’Elettra di Euripide



Antonia Anania




Erano i tempi del liceo, e incombeva spesso una domanda all’interrogazione di greco: “Che differenza c’è fra le tre versioni de l’Elettra?” Leggero brusio nell’aula e qualche risposta insicura. Il problema non stava tanto nella versione di Eschilo dove è il fratello Oreste il protagonista che vendica l’uccisione del padre da parte della madre per non essere considerato vile dalla società. O in quella di Sofocle, dove la protagonista è Elettra e il suo odio e la vendetta voluta dagli dei combaciano. Il problema stava in Euripide, che si studiava con più distrazione, perché era l’ultimo della triade, o perché le sue tragedie erano troppe.

Bene, in questi giorni, al Teatro Quirino di Roma è di scena proprio quell’Elettra bistrattata e confusa da molti allievi del Classico, l’Elettra di Euripide, per la regia di Piero Maccarinelli e l’interpretazione di Elisabetta Pozzi nei panni della protagonista.

E questa volta forse, il diciassettenne che andrà a vedere la tragedia capirà che non è una semplice ripetizione delle versioni di Eschilo e Sofocle. Perché la messinscena tradizionale, fedele al testo e all’ambientazione, chiarisce l’umanità di Elettra e di suo fratello Oreste (Tommaso Ragno dalla incisiva presenza scenica) che uccidono insieme la madre. E non perché lo vogliono gli dei, che possono pure sbagliare (i Dioscuri che appaiono alla fine sono delle marionette, anche metaforicamente) ma perché “comuni gli atti, comune la sorte” sia per loro due che per i genitori, Clitennestra e Agamennone. Non c’è vaticinio di Apollo che tenga, qui la volontà è individuale, gli errori sono umani e alla fine tutti pagano per le loro colpe.

Anche i due fratelli che compiono il matricidio, l’una che fa più da istigatrice, l’altro assassino vero e proprio: “Gli occhi me li sono coperti col mantello/e ho consumato il sacrificio,/ho affondato la lama nel corpo di mia madre”. Detta così, suona simile a tante tragedie familiari che leggiamo oggi sui giornali. Eppure Euripide ha scritto la sua tragedia secoli e secoli fa, nel 413 a. C..

E in Elettra, il matricidio ha una spiegazione, diciamo pure, giusta. Clitennestra (qui interpretata da un’efficace Anita Bartolucci), è l’anti-Penelope, quel tipo di donna che non aspetta tranquilla il nostos, il ritorno del marito dalla guerra contro Troia. Quel tipo di vedova bianca che si consola col cognato Egisto. E con lui programma di regnare. L’arrivo del marito Agamennone, che aveva sacrificato la figlia Ifigenia in guerra e che aveva portato ad Argo un’amante-prigioniera di guerra, l’indovina Cassandra, non poteva certo rendere felici i due piccioncini. Ecco perché Clitennestra uccide suo marito. Anche lei ha le sue ragioni.

Sua figlia invece, ha la ragione della donna vendicatrice del padre (“tu sei nata per amare sempre tuo padre” dice Clitennestra), della vergine nobile e “aspra”, che viene allontanata dal regno. E costretta dalla madre a un matrimonio mai consumato, con un contadino dimesso ma nobile d’animo interpretato da Francesco Acquaroli (davvero concreto in questa parte), il quale dice nel prologo: “Io non ho umiliato Elettra nel mio letto”.

La messinscena è didattica e realistica. Il coro è stato smembrato, le parti date a più voci e in un ambiente realista e bucolico come quello rappresentato sulla scena, forse la voce della prima corifea (Leda Negroni) a tratti può dare al pubblico un’impressione di stonatura e non di altisonanza. Gli esperimenti vocali di Elisabetta Pozzi, infine, sono eccellenti e danno modernità alla protagonista. L’attrice gioca con le tonalità di voce che può avere una donna depressa, altera e vendicatrice, da quello cantilenante e completamente mesto, all’ironico che sfiora il sarcastico, a quello ebbro dell’ubriaca, dopo aver compiuto la vendetta.

Infine, qualche parola per i gesti. Perché una delle cose che rimane più impressa alla fine della tragedia, sono gli abbracci di Elettra con Oreste, dopo il riconoscimento e prima di dirsi addio. Sono fisici e presenti e in quei momenti riappaiono agli occhi certe scene di Hijos, il film di Marco Bechis uscito quest’inverno, quelle in cui due presunti fratello e sorella si spogliano e si toccano per riconoscersi.



La Fondazione Teatro Due e la Compagnia Gli Ipocriti presentano Elettra di Euripide traduzione di Umberto Albini e Vico Faggi regia di Piero Maccarinelli, con (in o.d.a.) Francesco Acquaroli (contadino miceneo), Elisabetta Pozzi (Elettra), Tommaso Ragno (Oreste), Stefano Cenci (Pilade), Leda Negroni (prima corifea), Roberto Abbati (Aio), Sandro Palmieri (messo), Anita Bartolucci (Clitennestra) - scena Bruno Buonincontri, costumi Santuzza Calì, musiche Marco Betta. Al Teatro Quirino di Roma, fino al 5 maggio.

 


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