Cogne, sopravvivere senza il
colpevole
Giancarlo Bosetti
La
sentenza del tribunale della libertà che ha scarcerato Anna Maria
Franzoni non ha soltanto un effetto concreto e importante sulla
madre di Samuele, che puo’ cosi’ tornare a casa, ma ne ha almeno
un altro di enorme portata sulla opinione nazionale, sulla mente
collettiva di questo paese, se mai ce n’e’ una, su quella cosa
che tutti hanno ormai imparato a chiamare “l’immaginario”.
Quale?
Provate a pensare questa figura dello spirito pubblico, l’insieme
dei fantasmi e delle ansie, delle pulsioni e dei sentimenti occupano
la mente dei nostri concittadini come una carta geografica. Poi
sulla carta geografica cercate di disegnare il territorio occupato
dalle ostilita’ tra la destra e la sinistra, quella parte del
disegno dove ci sono i contrasti sull’articolo 18 dello Statuto
dei lavoratori, sul conflitto di interesse, sulle pensioni, sulla
riforma della scuola, sul comunismo e sul fascismo, sulla storia del
paese, tra poco sul 25 aprile e sul Primo maggio.

Ebbene, vedrete che il caso di Cogne, dopo un
periglioso inizio a causa di un tentativo, che pur fu fatto dal
celebre avvocato Taormina, di “buttarla in politica” (tentando
di fare di quella procura di alta montagna aostana un equivalente di
quello che la Procura di Milano è negli incubi diurni e notturni di
Berlusconi e di Previti), si va a collocare nella parte della carta
geografica dove non si incrociano noiosamente le spade con i soliti
consumati argomenti del “partito degli avvocati” contro il “partito
delle toghe”, del partito “della libertà” contro “la piazza
e i comunisti”, degli inquisiti contro le toghe, e cosi’ via
incrociando amenamente le spade.
La soluzione dell’enigma di Cogne è incerta, è assolutamente
incerta. La sentenza di scarcerazione sostiene che gli indizi contro
la signora Franzoni sono insufficienti per accusarla di omicidio e
che non si puo’ escludere che estranei siano entrati in casa ed
abbiano avuto il tempo sufficiente per commettere il crimine. L’enigma
viene consegnato alla comprensibile curiosita’ degli italiani in
modo del tutto neutro. L’incertezza adulta e matura di un giudizio
professionale, che dobbiamo assumere come tale, e dietro al quale
non ci sono i calcoli di qualche potere politico, economico o
variamente deviato e occulto, si consegna al pubblico per diventare
la incertezza adulta e matura di una moltitudine di italiani. Ecco
una novità da segnalare decisamente come un progresso. Non è da
escludere, attenzione, che si affacci qualche cretino o qualche
malintenzionato a sostenere che lui ha capito tutto, che lui sa
tutto, che lui ha capito anche “a chi giova” tutta questa
storia, ma per ora questa eventualità è molto remota.
La incertezza in questo caso è cosi’ forte, cosi’ neutra, cosi’
priva di inclinazioni verso l’innocenza o la colpevolezza di
questo o di quello, che la nostra anima collettiva ha dovuto passare
attraverso una prova inconsueta: prima tutti, o quasi, a reprimere,
senza neppure confessarselo il terribile sospetto su una madre; poi
a interrogarsi di fronte a quegli articoli di giornale e a quelle
cronache televisive ostentatamente reticenti; poi, ancora, il
sospetto che diventa accusa e carcere, anche se continuava a non
arrivare la attesa confessione; infine i dubbi sulla colpevolezza
che diventano una sentenza del tribunale della libertà e l’annuncio
che i colpevoli potebbero essere altri e che di questo omicidio
potremmo anche non venire mai piu’ a capo neanche tra cinquant’anni.
La lezione della incertezza e’ quella che di piu’ coincide con
la maturazione della personalita’ degli individui. Imparare a
convivere con l’incertezza, quando e’ necessario o inevitabile,
significa imparare a convivere con la umana fallibilità. E’ bene
che riescano a farlo i giudici quando non trovano elementi di accusa
sufficienti, ma é bene che impariamo a farlo tutti quanti. Ci sono
piu’ cose belle, e soprattutto brutte, sotto il cielo di quelle
che non riusciamo a mettere sotto le insegne di uno scontro tra la
destra e la sinistra di casa nostra. Ci sono piu’ problemi rognosi
tra i nostri piedi di quelli che riusciamo a imputare al nostro
peggiore avversario, politico o personale che sia. Codeste rogne
appartengono alla realtà e bisogna saperle districare il piu’
delle volte senza agitare il micidiale cocktail che un perfido
filosofo della politica, Carl Schmitt, chiamava amico-nemico. Beati
quelli che ci riescono.
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