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Se la tragedia precipita nel banale
Giancarlo Bosetti
“Con
l'avvento della televisione la giustizia non sarà più la
stessa". Una ovvietà, oggi, per la quale non sarebbe
necessario scomodare dei grandi intelletti. Tuttavia per
accorgersene nel 1962 e teorizzare qualcosa di più sistematico,
capire che stava per accadere uno "Strukturwandel",
un mutamento strutturale, una svolta di epoca, ci voleva un
sociologo-filosofo della portata di Juergen Habermas. Oggi abbiamo
alle spalle quarant'anni di immersione a tempo pieno in quel genere
di giustizia. E sembra acqua fresca, roba da "un giorno in
pretura". Ma all'inizio di questo ciclo la storia di Anna Maria
Franzoni, una madre che si fa intervistare da un tg per spiegare che
non ha ucciso suo figlio Samuele, poi viene messa in carcere per
omicidio, poi viene scarcerata, sarebbe sembrata fantascienza. Oggi
non ci sorprende più. Saremmo sorpresi se la signora non tornasse
da Vespa una di queste sere. Ma se non ci andrà lei, state sicuri
che ci andrà l'avvocato Carlo Federico Grosso, uno che su questa
storia ha fatto il più grande investimento pubblicitario e
professionale della sua vita, del tutto legittimo si capisce, ma
figlio anche lui, e beneficiario, di quello "Strukturwandel"
di cui sopra. Niente parcella, ma uno spot che neanche la Chiari
& Forti o la Quaker & Quaker sarebbero riuscite a
pianificare.
Milioni di metri quadrati di carta stampata, ore e ore di tv nel peak
time. "Ecco come ho ricostruito la verita'". Date
un'occhiata alla sua intervista con Marco Neirotti per La Stampa
di domenica scorsa. Il trionfo, sì certo, il giustificato trionfo,
trasuda da ogni dettaglio, travolge anche la moglie Fernanda, le sue
lacrime di gioia. "Segretaria mai, spiega lui, piuttosto la
guardiana severa della mia salute". E anche il perito "di
parte", naturalmente, è talmente bravo che non è "di
parte": "Io non tradisco la mia scienza, se mi convinco
che la signora è colpevole lo dico chiaro e tondo". Ed è
tutto talmente tondo, in questa vicenda, che sembra una
sceneggiatura, un finale di sceneggiatura della Disney dei tempi
d'oro. Solo i bruti non hanno le lacrime agli occhi, quando Bambi
rivede la sua mamma. Non c'è niente di male, in tutto questo, o
almeno niente di illecito, per carità. Se un giorno ne avrò
bisogno vorrò anch'io l'avvocato Grosso. E quanto alla signora
Franzoni possiamo solo augurarle che la sentenza che metterà fine a
questa faccenda sanzioni la sua innocenza. Soltanto, sarebbe bene
che tutti ci accorgessimo che stiamo alimentando una sceneggiatura e
che qualche volta ci dimentichiamo dove stanno i confini tra realtà
e immaginazione. Solo qualche volta, certamente. Per lo più quei
confini non ci sfuggono: ci sono morti veri e morti immaginati,
assassini veri e assassini finti. Il confine invece che perdiamo,
che abbiamo perso forse per sempre, è quello tra informazione e
intrattenimento. Questa linea divisoria forse non la troveremo mai
più. Se non diverte non si vende. L'infotainment è antico
quanto il giornalismo (facciamo: un 170 anni, dai primi fogli a
grandi tirature in America e in Inghilterra), ma è cresciuto, nel
frattempo, in un modo che potrebbe farci perdere la testa.
La fa perdere per primi ai giornalisti, soprattutto a quelli che
interpretano il mestiere secondo una delle sue vocazioni più
autentiche e viscerali: il gusto di esserci, vedere, sentire e
riferire, i mediatori di voyeurismo, che poi, per forza, un po' vouyeurs
lo devono essere in prima persona. Anche quando costa la vita, come
a Ciriello e alla Cutuli. Il posto in prima fila è quello che fa
perdere la testa, soprattutto se la prima fila significa parlare con
i protagonisti, con gli uomini che fanno la storia proprio nel
"mentre" che la stanno facendo, magari sotto i fischi dei
proiettili. Cristiane Amanpour stava appunto in prima fila,
all'altro capo del telefono con Yasser Arafat nel suo bunker, mentre
fuori ammazzavano e sparavano. E chiedeva: "Mi può dire
esattamente quali sono le condizioni del suo quartier
generale?". E Arafat parlava dell'attacco israeliano in tutto
il Paese. E lei? "Ma può dirmi esattamente se sono state
attaccate le stanze dove lei si trova attualemente? Lei è
direttamente sotto minaccia fisica in questo momento?". Al che
Arafat cominciava a reagire: "Forse lei non vede la
televisione...". E la Amanpour: "Lei pensa che stiano
cercando di ucciderla? Di farle del male?". E qui Arafat
replicava con qualche irritata domanda retorica: "... crede che
sia per caso se ci stanno assediando da 24 ore?". E lei ancora:
"Riuscirà a governare la violenza?". Ed è qui che Arafat
ha deciso di chiudere: "Lei è una meravigliosa giornalista,
sia buona, non faccia certi errori... Thank you. Bye bye".
Click.
Se ci fosse stata la Cnn con la Amanpour a Santiago del Cile
nel 1972, forse avrebbe registrato l'ultima telefonata di Salvador
Allende: "Presidente, vuol dire qualche cosa al signor
Kissinger?". Benvenuti alla "Domenica sportiva"
mondiale, avrebbe commentato Woody Allen: tutto in presa diretta, ma
poi anche tutto in "moviola", per meglio assaporare le
emozioni.
Adesso non fate del moralismo. Attenzione, di tutto questo noi siamo
il pubblico, i compratori, i clienti. L'infotainment si fa
per noi, per voi. Quando chiedono a un padre, appena informato della
morte del figlio: "Che effetto le fa?", stanno pensando al
cliente, quello con il telecomando in mano. Non vi stupite dunque
più di nulla. Paola Mostosi, la ragazza bergamasca strangolata dopo
nove ore di sequestro da parte del camionista Roberto Paribello non
ha lasciato testimonianze spettacolari e riprese in videocamera solo
perché nessuno è stato avvertito in tempo. L'omicida, confesso,
non aveva senso giornalistico, nonostante la vittima avesse il
telefonino con sé. Non c'era nessuno della Cnn lì a
chiederle: "Signorina, pensa che il Paribello
l'ammazzerà?".
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