Ammazzano i tecnici della
mediazione
Giancarlo Bosetti
Marco
Biagi come Massimo D’Antona, Marco Biagi come Ezio Tarantelli,
economisti, specialisti che lavorano alle politiche sociali, ai
rapporti di lavoro, ai rapporti tra le classi sociali, che stanno
alle spalle dei sindacati dei lavoratori dipendenti, del sindacato
degli industriali, dell’apparato del governo, dello Stato. Gente
che non ha la funzione simbolica dei capi, gente che non è famosa,
ma lavora dietro le quinte, che prepara i dossier, che scrive libri,
che sa stendere articoli per le pagine economiche dei giornali e
articolati di legge. E che viene ammazzata. Chi l’ammazza vuole
colpire questa funzione civile, vuole danneggiare i cardini su cui
ruotano rapporti sociali regolati dal diritto, dallo spirito di una
civile convivenza, da meticolose soluzioni di compromesso che di
solito impediscono i conflitti e avvantaggiano tutti. Chi li ammazza
vuole il conflitto e avversa ogni compromesso. Quante volte l’abbiamo
visto.
Il giornalismo italiano ha formato generazioni sui morti ammazzati,
a raccontare e riflettere, su pozze di sangue sul marciapiede vicino
a casa, negli atri delle università, sui pianerottoli. Abbiamo
imparato a lasciar perdere l’esercizio inquisitorio delle
intenzioni, della ricerca dei benefici e dei danni dietrologici.
Abbiamo imparato a guardar ai dànni che stanno davanti: le vedove,
i figli. La morte, per quello che è. Abbiamo imparato che i
terroristi spesso non sono sottilissime e infallibili menti
cartesiane che individuano i loro bersagli con la geometrica
precisione del laser, con la strabiliante potenza intellettuale dei
geni della strategia militare, ma gente che tira al bersaglio dove
può e quando può. Abbiamo imparato ad apprezzare più che le
dietrologie le inchieste che si concludono con l’arresto degli
omicidi. Il caso D’Antona è ancora aperto. Ora si apre il dossier
Biagi e sentiamo addosso qualcosa a metà tra il brivido e la
recriminazione per le approssimazioni dell’indagine sul delitto di
via Salaria, finita nel vuoto per errori evidenti e fughe di
notizie.
Abbiamo imparato, ahinoi, in un lungo apprendistato - vien da dire:
un interminabile dottorato -, che in pochi paesi è stato così
lungo e approfondito, che l’unico modo certo per sconfiggere il
terrorismo delle Br o comunque targato è quello che passa per la
strada della rinuncia all’uso di questi delitti nel conflitto tra
le parti politiche. Anche nei momenti di maggiore tensione - ma sì,
maggiore anche di quella che oggi divide la maggioranza dall’opposizione,
maggiore perché allora c’erano anche terribili linee di divisione
internazionale che oggi non ci sono più - la risorsa vincente della
democrazia era che, contro il terrorismo, ci sono tutte le parti
politiche.
L’omicidio di Biagi, come gli altri di quella lunga catena,
rompono il patto della convivenza, sono un problema per tutti. D’Antona
lavorava per il ministro del lavoro Bassolino, Biagi lavorava per il
ministro del Lavoro Maroni. Che siano onorati nello stesso modo da
tutti. Ma che altro possiamo fare in un paese civile se non questo?
Che altro, mentre ci auguriamo, e chiediamo, che i loro assassini
vengano trovati e puniti dalla giustizia?
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