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La Nona di Mahler



Francesco Roat




Gustav Mahler, Symphony N° 9 - Kindertotenlieder, Jascha Horenstein, Janet Baker, BBC LEGENDS 4075-2


La Nona di Gustav Mahler, che a livello di cronologia compositiva si situa fra la Sinfonia di Lieder Das Lied von der Erde (Il canto della terra) e la Decima (purtroppo incompiuta causa il decesso dell’autore), è così strettamente legata e affine a tali Opere al punto di far parlare H.F.Redlich di una “Trilogia della morte”. Infatti queste partiture, che rappresentano il più maturo e complesso contributo creativo di Mahler, non solo sono state scritte nell’ultima fase della sua vita ma sono segnate dalla presenza tematica della morte non già come motivo allegorico o riflessivo, sebbene quale vissuto, quale condizione spirituale di chi, come il compositore boemo, si sentiva prossimo al venir meno e andava dolorosamente sperimentando - soprattutto a livello psichico - la precognizione di un commiato definitivo.

Non a caso l’ultimo movimento de Das Lied von der Erde è intitolato Der Abschied (il congedo) e in esso viene celebrato il distacco dalla vita, come recita nel finale il contralto (“Still ist mein Hertz und harret seiner Stunde” - Silenzioso è il mio cuore e aspetta la sua ora). Ma se nel Canto della terra il “congedo” dall’esistenza è all’insegna della quiete e della rassegnazione in un clima meditativo rimarcato dal testo dell’antica poesia cinese messa in musica da Mahler, nella Nona noi assistiamo alla familiarizzazione, quasi all’esercizio d’un programmatico (e consapevole) predisporsi a morire. Ha ben detto Ugo Duse: questa sinfonia “è l’esperienza della morte vissuta razionalmente, della morte come certezza conquistata”. Opera che prelude all’Andante-Adagio della Decima - l’unico movimento di quella interamente completato dall’autore - che testimonia un reiterato e commosso addio al mondo.

E’ pur vero che un po’ in tutti i suoi lavori, sia sinfonici che liederistici, Mahler ribadisce un’attenzione talvolta angosciosa e ossessiva a temi come la caducità, la perdita o la nostalgia nei confronti d’una esistenza tanto effimera quanto amata. Ma nella Nona, ha sottolineato con ardita metafora Adorno, ci troviamo a che fare con “una musica della reminiscenza congedata”. Sebbene sia un distacco estenuato, che esita a compiersi. Un congedo affidato, come era nel progetto della Decima, a due ampi tempi lenti (che nella Nona racchiudono due tempi brevi: rispettivamente un Laender e un Rondò-Burleska) da sempre privilegiati dal registro poetico/espressivo mahleriano.

Nel primo in cui, guarda caso, compare fra le tante citazioni un richiamo estrapolato dalla parte finale del Canto della terra, assistiamo ad una serie di frammentazioni melodiche oscillanti tra il patetico, il nostalgico e il mesto. Nell’ultimo Adagio, che dà l’impressione di non voler mai finire, dismesso il tono ironico e dissacratorio dei due movimenti centrali, Mahler opta per un lirismo alquanto luttuoso e melanconico ma insieme pervaso da una accettazione pacata nei confronti di quell’ineluttabile per antonomasia che è costituito dalla morte.

Il CD targato BBC-Legends ci ripropone uno straordinario concerto del 1966 (gli anni sessanta segnarono giusto la cosiddetta Mahler renaissance), in cui, a capo della London Symphony Orchestra, vediamo misurarsi con la Nona uno Jascha Horenstein assai controllato e poco incline ad abbandoni melanconici ed estenuazioni tardoromantiche. Un direttore di grande sensibilità e correttezza esecutive, la cui maestria - come notò a seguito di quella memorabile interpretazione R. Crichton - si può collocare tra l’austerità di un Klemperer e la delicatezza di un Walter, sommando insieme attraverso una vigilanza estremamente intelligente la forza espressiva del primo alla grazia del secondo.


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