I lettori scrivono
Da: Silverio Tomeo <silvtome@tin.it>
A: <caffeeuropa@caffeeuropa.it>
Data: Venerdì, 1 marzo 2002 9:00
Oggetto: Il sogno di governare senza opposizione
Il sogno di governare senza opposizione (al massimo una opposizione di
comodo o parolaia) è destinato a naufragare, già in questi primi
mesi di governo dell’anomalo centrodestra all’italiana. I tre
filoni della protesta del movimento dei social forum, della FIOM e
della CGIL che hanno preso atto della fine della concertazione e dell’illusione
del riformismo dall’alto e del movimento democratico degli
autoconvocati sui temi della democrazia e della legalità, stanno
forse per saldarsi. Tutto questo non configura affatto una ripresa del
conflitto incompatibile per un paese europeo, democratico, normale.
E’ singolare leggere sulla grande stampa non ancora acquisita alla
multiproprietà mediatica del presidente del Consiglio la propaganda
della teoria che un paese moderno e globalizzato non ha bisogno di
questa sinistra, anzi non ha affatto bisogno della sinistra, andrebbe
forse bene una sinistra residuale e accomodante facile da cooptare nel
quadro delle necessità del neoliberismo.
Le vecchie e storiche classi dirigenti italiane hanno spesso
manifestato una pulsione al regime, anche nella forma di una
democrazia bloccata e autoritaria. Il modello di più modernizzazione
e meno democrazia è uno dei tratti storici che si ripresenta spesso
sulla scena moderna del politico. L’occasione di una chiusura
autoritaria del conflitto è amplificata dal clima creato dalla guerra
globale permanente in atto, che a breve rischia di entrare nella fase
successiva e ulteriore.
Nella società del rischio, sosteneva il sociologo tedesco Ulrich Beck
già nel 1986, pensando soprattutto ai rischi globali dell’ambiente,
il pensiero democratico è di fronte a sfide completamente nuove: “La
società del rischio ha insita una tendenza ad un “legittimo”
totalitarismo di difesa dai pericoli, che, partendo dal diritto di
evitare il peggio conduce, com’è fin troppo noto, al “peggio
ancora”. Gli “effetti politici collaterali” degli effetti
collaterali minacciano l’esistenza di un sistema politico
democratico che si trova davanti al dilemma o di fallire di fronte ai
pericoli prodotti strutturalmente, oppure, servendosi di “sostegni”
autoritari e repressivi, di sospendere principi democratici
fondamentali”.
Il bilancio degli anni ’90 è ancora da fare, da pensare, e
certamente non è semplificabile. In ogni caso è crollato da quasi
dieci anni un regime politico autocentrato, a tassi insostenibili di
corruzione e illegalità, quando non di concezione e pratica criminale
dell’agire politico, ed è iniziata una lunga transizione che è
andata via via ad impantanarsi. Studiosi della politica come
Gianfranco Pasquino e Sergio Fabbrini hanno parlato di riformismo
senza riforme o al massimo di riforme senza riformismo, in ogni caso
di cambiamento politico senza trasformazione istituzionale, e tutto
questo dà il segno dell’instabilità della situazione italiana, a
livelli di guardia che ne fanno spesso oggetto di monitoraggio
preoccupato in Europa e non solo.
Non si tratta di strillare al regime, naturalmente, ma i fatti di
Genova del luglio dello scorso anno cos’altro sono stati se non una
prova di regime, per quanto fallimentare? Gli atti del governo
Berlusconi sono andati rapidamente nella direzione della difesa dei
corposi interessi del premier, nell’attacco al sistema dei diritti
sociali del lavoro, nella privatizzazione della scuola e della
sanità, nella liberalizzazione delle impunità più varie (rogatorie,
falso in bilancio, diritto europeo, ambiente), nel pugno duro contro i
migranti, nell’attacco all’indipendenza della magistratura, e più
avanti, probabilmente, nello stravolgimento costituzionale.
Che i rappresentanti delle vecchie leadership della sinistra politica
e dei democratici centristi stiano annaspando lo vedono tutti, non
hanno voluto e saputo ragionare sul dopo 13 maggio, sul dopo Genova,
sul dopo 11 settembre. Si sono illusi di essere classe dirigente. Non
hanno rinnovato le culture poliche, hanno riproposto disquisizioni
ottocentesche tra riformismo e massimalismo, vanno tuttora discettando
tra il raccordo dell’originale riformismo del PCI degli anni ’70 e
il lato migliore del riformismo del PSI degli anni ’80, come propone
seriamente il professore Beppe Vacca. Il declino dei DS e le liti in
quello che resta del centrosinistra non sembrano accidentali, forse
non avranno un esito felice, per nessuno. Ripartire da un patto per l’opposizione
è doveroso ma non è sufficiente a prefigurare nuovi progetti e nuove
leadershep. La traversata del deserto sarà lunga, meglio attrezzarsi.
Ora il ceto medio riflessivo, come lo definisce lo storico Paul
Ginsborg, l’intellettualità diffusa, la società civile di
sinistra, se vogliamo, i democratici senza troppe appartenenze, si
autoorganizzano e marciano per la democrazia, a difesa dello stato di
diritto. Il cosiddetto movimento no-global si diffonde a rete, si è
speso nel nuovo pacifismo, nella difesa dei diritti dei migranti e
della prospettiva multiculturale, nella globalizzazione della
solidarietà e dei diritti, nel riaffacciare ostinatamente una utopia
democratica e possibile, cosmopolita e non organicista, dopo il
Novecento, che tiene conto di una dimensione planetaria delle
contraddizioni a cui è stata spesso molto al disotto la subpolitica
che ha affascinato per anni la nostra angusta sinistra politica.
Silverio Tomeo
Lecce, 1° marzo 2002
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