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E Bologna da la sveglia alla sinistra intorno alle 6,30



Ettore Colombo



Ripartire da Bologna. Per chi cerca di capirne qualcosa in più andando a scovare “le anime” della sinistra intellettuale, culturale e politica che, nella città delle due Torri, ha disotterrato l’ascia di guerra, sembra la cosa più normale, visti i mille girotondi che fioriscono in giro per l’Italia. E invece così non è. Perché Bologna mantiene le sue peculiarità anche nei profili e nelle intenzioni di chi vuole “dare la sveglia” ai partiti dell’Ulivo che, dalla batosta elettorale, latitano o sonnecchiano, a Roma.

Del resto, la sanno lunga, sul tema, in città, non fosse altro perché - sempre a proposito di sconfitte - è proprio qui che suonò, ben tre anni fa, nell’ormai lontano maggio del 1999, il primo e drammatico de profundis per la coalizione di centrosinistra e per gli eredi dell’ex Pci in particolare, grazie alla perdita secca delle elezioni per il sindaco, che videro l’inaspettato e clamoroso trionfo del centrodestra guidato dal “macellaio” Giorgio Guazzaloca.

Una sconfitta dal sapore epico, che fece il giro del mondo e che ebbe il sapore amaro della disfatta, considerando che Bologna era stata, per un intero cinquantennio, il cuore di quella che - nella mitologia più che nella storiografia - veniva chiamata con enfasi “l’Emilia rossa”, bandiera e orgoglio di quei comunisti italiani, che senza essere mai riusciti a conquistare il potere centrale, bene amministravano però quello locale. Del resto, non è un caso che la sconfitta arrivò dopo mesi di litigi sul nome del candidato, sul programma, sul ruolo dei partiti, fino ad arrivare a scegliere - secondo il peggior rito dei veti incrociati - una gentile signora il cui nome non ricorda più nessuno, nemmeno a Bologna, e che - a prescindere dai meriti personali - svolse una campagna elettorale di basso profilo, mentre l’intera federazione emiliana dei Ds e quella bolognese in particolare veniva “commissariata” da Roma.

Ecco perché tre anni dopo, ma con ben due anni d’anticipo rispetto alla nuova scadenza amministrativa in cui le incapacità attitudinali e politiche della giunta di destra e dello stesso sindaco (afflitto, peraltro, e a lungo, da una triste serie di guai fisici, dolorosi e personalissimi) sono arrivate al pettine, un numero cospicuo di importanti e non “personaggi” (e “persone") della città hanno pensato, scritto, firmato e reso pubblico - ben prima, per intenderci, dell’urlo di Moretti - un documento che hanno chiamato, con un felice gioco linguistico poi ripreso fino all’abuso dai leader nazionali del centrosinistra persino dal palco della manifestazione di San Giovanni, “6.30”. L’ora, appunto, “della sveglia” da offrire alla città, alla sinistra e soprattutto al suo ceto politico.

Un testo che gli stessi firmatari (tra più importanti Luisa Brunori, Roberta Amorotti Cavazzuti, moglie dell’economista ed ex onorevole diessino Filippo, l’avvocato Renzo Costi, lo psichiatra Sergio Molinari, il notaio Federico Stame e l’amministratore delegato della Zanichelli Federico Enriques) definiscono “minimalista” perché, senza eccessivi giri di parole e con una chiarezza encomiabile per dei “professori”, chiede - con la classica formula della lettera aperta - ai partiti della sinistra di definire, qui ed ora, le procedure e le caratteristiche del futuro candidato sindaco cui verrà affidato il compito di sconfiggere Guazzaloca, nel caso si ripresenti, o comunque il candidato del centrodestra.

Sarà perché l’opposizione, in consiglio comunale si è fatta sentire poco, sarà perché i Ds sono ancora terremotati dal commissariamento subito e dal continuo “rovesciamento di alleanze” interne, sarà perché la Margherita, privata della linfa vitale dei comitati Prodi di cui molti dei protagonisti del gruppo “6.30” di oggi facevano parte nel 1996-’98, stenta a decollare, in città, certo è che i promotori della “sveglia”, dai 120 primi firmatari che erano, sono arrivati in un battibaleno alla bellezza di quasi duemila firme. Firme che non fanno altro che salire, e che - dopo una prima e un po’ caotica assemblea, tenutasi in una sala di palazzo Marescotti, oggi sede del Dams, ma ieri sede provinciale del Pci, nei suoi “anni d’oro” - organizzeranno presto altre riunioni e incontri, a marzo. In realtà, dopo la prima scossa fornita dal gruppo della “Sveglia”, la sonnacchiosa città felsinea ha cominciato ad alzarsi presto, al mattino, e così di gruppi e gruppetti ne sono spuntati davvero tanti, da “Giustizia e costituzione”, fondato dal docente Francesco Berti Arnoaldi e dallo stesso notaio Stame, già intellettuale di punta della città negli anni Settanta, che ha promosso una catena umana in piazza Maggiore per esprimere solidarietà alla magistratura sottoposta all’attacco del Governo, al gruppo “Nuova Giustizia e Libertà”, forte di 300 adesioni e guidata da Laura Grassi, ex assessore ulivista all’urbanistica nell’ultima giunta di sinistra della città, quella guidata da Walter Vitali, ma soprattutto avvocato e membro del collegio di parte civile nel processo per la strage del 1980, fino al circolo fondato dal filosofo Stefano Bonaga, “Citoyens”, che promette iniziative clamorose sul fronte della “libera informazione” e alle provocazioni dello scrittore Stefano Benni, che, dopo aver firmato il documento della “Sveglia”, ora s’è svegliato a tal punto da voler fondare un partito...

Volendo capirci qualcosa in più del nocciolo duro e più serio del gruppo “6.30”, siamo andati a cercarne e intervistarne i protagonisti, anche se stanarli non è stato facile: i professionisti, quelli veri - non “della politica” - un po’ hanno da fare (nel senso che lavorano) un po’ sono schivi. Di natura. “Il nucleo originario del gruppo era quello del primo comitato Prodi nato in città”, spiega l’avvocato Costi, gentile e cordiale, “ha lavorato anche per l’elezione suppletiva di Arturo Parisi alla Camera e dunque abbraccia un’area che, nata prodiana, oggi si colloca a metà strada tra Democratici e Ds, ma che negli ultimi anni, disgustata dai riti del centrosinistra, si era allontanata, delusa, dall’Ulivo.

Gli elementi principali che oggi ci hanno spinto ad uscire allo scoperto sono fondamentalmente due: un giudizio radicalmente negativo sulla gestione della città operata dall’attuale giunta Guazzaloca e il desiderio che, alla prossima tornata elettorale amministrativa, si verifichino le spaccature e le liti registrate nel corso della campagna precedente. Spaccature e veti incrociati che ci hanno portati dritti dritti alla sconfitta. Abbiamo voluto dare ai partiti del centrosinistra la sveglia per tempo, ecco. Ma pur essendo usciti allo scoperto molto prima, quasi un mese, esattamente, dello show morettino siamo stati confusi dai giornali - da Repubblica a l’Espresso - nella massa indistinta dei girotondi.

Beh, noi c’entriamo poco con quelle forme di protesta e la nostra critica è da un lato più circoscritta ai problemi locali, della città, e della amministrazione, e dall’altro vuole interloquire con la classe politica nazionale dell’Ulivo e non cercare, più o meno velatamente, di abbatterla né di sostituirla”. “Non siamo e non vogliamo diventare un soggetto politico organizzato”, continua Costi, “né rubare il posto e il mestiere ai politici di professione, ma di certo siamo gente che, svegliandosi presto, al mattino, non è soddisfatta, per usare un eufemismo, di come viene condotta l’opposizione, a Bologna come a Roma. Vogliamo che i partiti escano allo scoperto, avanzino programmi e candidati, e - restando ben ancorati ai nostri ruoli di professionisti, professori, studenti e casalinghe, come mia moglie, Iginia Gazzotta, tanto per far capire che non siamo solo uomini né solo ceti medi - vogliamo combattere un clima soffocante e ottundente, quello che si è respirato nelle stanze del centrosinistra dalla sconfitta in poi, fino a un paio di mesi fa.

Certo, ora c’è stato il Palavobis, i girotondi, la mobilitazione non solo di Moretti, ma di molti altri intellettuali, artisti, attori, eccetera. Ma i nostri accenti e le nostre scelte sono ben diverse: non c’interessa sparare sul quartier generale, i partiti rappresentano ancora molto, nel nostro Paese, e come spiegava Weber la politica è una professione e la democrazia diretta non funziona più dai tempi dell’Atene di Pericle. Anche al nostro interno abbiamo avuto diversità di accento, su questo punto. C’era chi diceva, anche tra noi, ‘è inutile cercare di dialogare con i partiti, sono dei morti che camminano’. Io non sono d’accordo. Come però, dall’altra parte, non è stato piacevole sentirsi dire, dal segretario regionale dei Ds, ‘le voglio vedere una per una, queste 200 firme’. Beh, gliene abbiamo appena spedite duemila…”.

Federico Enriques, amministratore delegato della Zanichelli, è uomo severo e di poche parole, infastidito più che incuriosito dal giornalista che pone domande, ma non si tira indietro e spiega: “Quello che ci ha mossi è la tristezza sconfinata che nutrivamo, leggendo dell’attuale scena politica. Mi sentivo depresso, dalla sconfitta elettorale in poi. Bene, grazie a questa iniziativa, oggi mi sento molto più felice, sono tornato sereno e combattivo. Tra di noi, e questo ci tengo a dirlo, non ci sono però solo intellettuali, grandi avvocati, eminenti professori universitari e imprenditori di successo, ma anche persone che fanno lavori forse meno di grido, ma non meno importanti: commercianti, sindacalisti, artigiani.

Il limite della nostra iniziativa sta nelle nostre conoscenze, certo, e dunque il passaparola, la comunicazione orale e via email, strumento adoperato e abusato, certo, ma senza disprezzare il caro, vecchio, telefono e l’incontro viso a viso, e dunque è stato più facile raggruppare esponenti delle professioni e dei ceti medi, ma il gruppo ora è cresciuto, si è allargato. La nostra debolezza sta nelle energie e nel tempo che possiamo mettere a disposizione per un progetto del genere, visto che tutti lavoriamo, ma abbiamo ottenuto già grandi risultati con pochi o nulli mezzi a disposizione che non fossero il passaparola e le case di amici: E ne siamo soddisfatti”. Soddisfatti e felici, come sa bene chiunque si svegli presto, al mattino, magari intorno alle “6.30”, senza non pensi solo a sé, alla sua famiglia, al suo lavoro. Ma anche alla società che ha intorno.

 


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