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Se l'Ulivo smette di litigare sul Cavaliere



Giancarlo Bosetti




C’è stato un accenno di discussione, nelle file del centrodestra, prima durante e dopo, sulla opportunità e la natura di una manifestazione dell’Ulivo, cioè dell’opposizione, contro la maggioranza per protestare contro una legge nulla sul conflitto di interessi e contro la condotta del primo ministro in materia di giustizia. Berlusconi ha detto che “spira il vento dell’odio”, ma in verità la manifestazione non dava affatto questa impressione. Il buon risultato di partecipazione dovrebbe bloccare una contestazione del tutto inutile su una materia ovvia come questa: una buona, grande e pacifica manifestazione fa bene a chi la fa e male a chi la critica in maniera troppo grossolana.

I bussolotti con l’elastico messi sul naso alla maniera di Pinocchio non sono un segno di odio o di guerra, ma semplicemente di critica e di dissenso. Queste due cose - critica e dissenso - come si impara nelle prime lezioni di scienza politica, almeno nell’area della cultura liberale, sono la quintessenza della democrazia, o se vi piace Popper, come a chi vi scrive, della “società aperta”. A chi poi ci tiene a ricordare, come per esempio Buttiglione, che l’ampiezza delle manifestazioni non corrisponde al numero dei voti, viene sinceramente voglia di ricordare che la cosa è ben nota e che la qualità di un sistema politico libero si misura più ancora che da quanti consensi può contare chi sta al governo, da quanto liberamente vi può fluire il dissenso.

Naturalmente la maggioranza non è tenuta a condividere - mancherebbe altro… - le manifestazioni dell’opposizione. E’ sufficiente che non cerchi di impedirle, e neppure di presentarle come indebite “spallate”. La cultura di questa maggioranza di governo tende troppo spesso a pencolare in direzione di un “maggioritarismo” radicale. Che cosa vuol dire? Vuol dire scordarsi che quello di maggioranza non è un principio di legittimazione unico, esclusivo e assoluto, che il popolo la sovranità la esercita “nei limiti” posti dalla Costituzione, la quale può essere anche modificata ma a certe condizioni. Il bello delle democrazie liberali è che ci si deve preoccupare sempre delle minoranze. La loro salute si misura più dalla salute della minoranza che da quella della maggioranza. Ed è bene continuare così.

Il successo della manifestazione di piazza San Giovanni può dunque far bene a tutti, all’Ulivo ma anche, moltissimo, alla Casa delle libertà, dove i professori in grado di insegnare i principi di cui sopra sono numerosi anche se non sempre si fanno sentire a squarciagola. La denuncia avanzata da un classico come Alexis de Tocqueville, nel suo La democrazia in America, 170 anni fa, del pericolo di una “tirannide della maggioranza” viene di solito agitata da chi sta all’opposizione. Dopo gli alti e bassi di questo lungo periodo vien voglia di dire che sarebbe bene non farla passare mai di moda, anche se alle orechie di chi governa suona sempre un po’ stonata.

Una opposizione più carburata di quella che abbiamo visto negli ultimi mesi fa bene non solo a se stessa ma a tutti quanti perché può migliorare le prestazioni del governo. E che abbia fatto un passo avanti nel senso dell’unità è la condizione di tutto il resto. A quanti del Polo hanno sostenuto che il centrosinistra è diviso su tutto e che trova la sua unità solo contro il Cavaliere, segnalo che questa analisi è decisamente sbagliata perché è vero proprio il contrario che, almeno finora, il centrosinistra è diviso soprattutto sul Cavaliere. Il paradosso è proprio questo: che gli aspetti del potere di Berlusconi (conflitto di interessi, conflitto con la giustizia, priorità, diciamo così, personali: rogatorie e falso in bilancio) che alimentano i sospetti di “regime” sono quelli dividono di più il centrosinistra.

Il che vuol dire che i punti deboli del primo ministro italiano, quelli che rimbalzano continuamente sulla stampa, anche minore, in tutto il mondo, sono quelli che nutrono una rovinosa divisione nel centrosinistra, tra settori più radicali e “indignati” che accusano altri settori di condiscendenza o addirittura di complicità e collusione con un potere giudicato illegittimo, e viceversa settori più moderati e preoccupati del contenuto politico del berlusconismo che accusano gli altri di estremismo. Su questo la divisione è più forte che su ogni altro tema perché il contrasto si alimenta di aspetti morali: le accuse di “collaborazionismo” - ma anche quelle di disperato autolesionismo - sono assai pesanti, perché, come direbbe D’Alema, “scavano un fossato”.

Dunque è vero l’opposto: il centrosinistra può rimettere insieme i pezzi col Bostik, come propone Chiambretti, ma il Bostik qui è proprio un minimo di accordo che va trovato nel giudizio su Berlusconi e il suo governo. Il primo passo è quello di non usare le differenze di giudizio su questo, proprio sul Cavaliere, come un corpo contundente gli uni contro gli altri. E forse la manifestazione di sabato a Roma è servita proprio a questo. Non ha messo tutti d’accordo, come si è visto da qualche fischio, che era meglio evitare, all’indirizzo di Luciano Pellicani, ma ha sdrammatizzato le differenze che rimangono.

Di Berlusconi e del conflitto di interesse si può discutere senza coltello tra i denti con buonsenso ed empirismo, come suggerisce Piero Ostellino sul Corriere, attribuendo poteri sanzionatori alla legge Frattini e controllando che l’Antitrust si muova sui casi sospetti, ma non si può neppure accettare - e sia detto senza accusare Ostellino di berlusconismo, proprio non se lo merita - che qualunque soluzione “vera” sia per ciò stesso irrealistica, perché qui ci avviteremmo in una tautologia dell’impossibile, basata sul postulato di una incurabile anomalia italiana. Del resto lui conosce bene il pensiero non solo di Giovanni Sartori, ma anche quello del suo collega americano Robert Dahl: se il potere economico diventa potere politico, la democrazia corre dei rischi. Dunque provvedere bisogna.

 


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