Quinta tappa:
Sarasota
Italo Moscati
Quello che segue è il quinto di una serie di resoconti scritti da
Italo Moscati, storico del cinema, sceneggiatore e regista, di
ritorno da un viaggio negli Stati Uniti svolto fra la fine del 2001
e l'inizio del 2002.
Sarasota si allunga sulla costa della Florida. Le spiagge sono ampie
e incastonate nel verde. Dietro gli alberi si alzano le
fortificazioni degli alberghi di lusso. Di lusso, ma anche meno
lussuose o addirittura modeste, sono le case che si stringono le une
alle altre, tenendosi per mano, davanti a un fazzoletto di terra, e
hanno un occhio piccolo e uno grande: la porta di legno con un
sottile reticolato, e la serranda del garage. Pigmei sotto i giganti
Hilton e Holyday Inn, di vetrocemento con colori e vezzi
architettonici coloniali.
American Beauty 1.Dentro ognuna di queste minuscole case, le più
modeste, stanno seduti a tavola alle ore comandate le famiglie che
lavorano e che il cinema - il film di Sam Mendes, American Beauty -
ci ha proposto in stereotipi spesso acutamente rinnovati. C’è il
padre Kevin Spacey, che porta il parrucchino e ha insoddisfazioni
nell’impiego perché sogna un tranquillo posto allo spaccio degli
hamburger. C’è la madre Annette Bening, che è donna d’attacco
e sogna anche lei: vuole essere una donna in carriera, e cercando
trova carriera e amante. Infine, c’è la ragazza Thora Birch , che
si annoia a scuola, mette da parte i soldi per rifarsi il seno e
intanto mostra le tette che ha al ragazzo, abile commerciante in
erbe e annessi, venuto ad abitare lì di fronte.

American Beauty 2. Superate le case degli Spacey e famiglie simili,
ci sono altre case di bambola. Più eleganti, più costose. Sono
dentro parchi sorvegliati; per entrare, servono tesserini speciali
elettronici e comunque si passa sotto lo sguardo della guardia di
turno con grossa pistola al fianco. Le case sono infilate in mezzo
ai prati e ai laghetti, entrambi artificiali. La mattina, per
rigovernare la serra, plotoni di militi con il badile, il tagliaerbe,
i guanti e gli stivali si presentano compatti sui campi per dare
battaglia ai rovi, alle foglie ribelli, agli animali non contemplati
dall’etologia gradita, ad esempio vanno bene gli scoiattoli, male,
malissimo, i topi; vanno bene gli aironi tirati su con lo yogurt,
vanno male, malissimo i piccioni, topi dell’aria.
Dentro queste casupole, con piscine che sembrano catini, jacuzzi che
sembrano lavastoviglie, vivono gli atleti dell’eterna giovinezza.
Splendidi signore e signori che si alzano all’alba per correre,
sbrigano qualche commissione, si siedono al computer per controllare
le e-mail, mangiano un ravanello e si preparano allo stravizio del
cocktail della sera. Sono brave persone che hanno messo tutti i
sogni nel cassetto e fanno ogni sforzo per rendere ogni giorno
uguale all’altro, allo scopo forse di annullare il tempo e di
immaginare che il calendario rallenta.
Né gli uni né gli altri, in questa fase del terrore dalla lunga
barba, mostrano gran voglia di accompagnare qualcuno a visitare un’altra
casa, quella dello scrittore Stephen King che nei pressi possiede
una seconda residenza, quella per le vacanze; mentre la prima sta
nel Maine, è fantasiosa, pare un castello in miniatura e Internet
è colma di immagini che la mostrano inquietante e labirintica, il
covo della creatività horror.
Gli abitanti di American Beauty 1 e 2 non ci vanno. L’autore di
Misery non deve morire ricorda invece, anche soltanto a citarne il
nome, che Misery può morire e che la morte è dietro l’angolo.
Alla tranquilla gente di Sarasota, e a quella meno tranquilla, ci
pensa la tv, che verrà a tenere alta la tensione. Si badi bene: la
tv che verrà, non quella che c’è. Ma, prima di congedare la tv
che c’è, o che c’era, nella tempesta delle emozioni collettive
dell’11 settembre, il ricordo di una risposta al panico e alla
sfiducia in agguato dietro gli inni, le mani sul cuore, il
patriottismo.
Eccola la risposta . Nelle casupole, le famiglie alla Spacey o le
famiglie degli atleti dell’eterna giovinezza, hanno assistito per
settimane a correzioni in diretta di fiction ispirate all’attualità.
Una di queste storie, a metà fra invenzione e cronaca mimata, l’ho
vista anch’io. Si tratta di una serie di telefilm dedicata agli
angeli: Touched by an Angel.
Chissà come era stata pensata originariamente la vicenda di uno di
questi telefilm. Al centro della vicenda ci sono un professore e un
ragazzo. Il professore, nella New York dell’11 settembre, non si
trova più e non ci sono tracce di dove cercarlo. Ogni tentativo per
rintracciarlo fallisce e, verso la fine del telefilm, qualcuno
rinviene il suo portafoglio vicino alle macerie delle Torri Gemelle.
Del professore, del suo corpo, niente, nessun segno. Ecco che appare
l’ Angelo. Il ragazzo, amico dello scomparso,che ha partecipato
alle ricerche, si inginocchia davanti allo spettacolo del Ground
Zero e decide di fare qualcosa per ricordare il professore, per non
lasciare che l’album dei caduti si chiuda in fretta, per impedire
che quella persona finisca per perdersi come migliaia di altre nella
polvere dei grattacieli infranti. Il ragazzo si arruolerà. Andrà a
combattere. Fine del telefilm. I cuori battono. Ma incalza la
pubblicità.
Lo spot che torna e ritorna, incidendo nella spaventata American
Beauty 1 e 2 di Sarasota, è un collage di frasi d’orgoglio e di
citazioni di discorsi del presidente Bush. Volti freschi, volti d’ogni
colore, voci di molti mestieri, voci anonime si alternano sfoderando
sorrisi di rivincita. Spicca nel folto gruppo di personaggi comuni
la figura allampanata di un cameriere dai capelli bianchi che tiene
un tovagliolo nella mano destra, e lo stringe, lo impugna come se
fosse una clava; e dice con forza, scandendo le parole: “American
courage!”
Questa tv della fierezza e della sfida al futuro, a poco a poco, si
è dissolta nelle attese vane, nella macina delle imprese e degli
inseguimenti senza risultato. Lo spot è stato sospeso e non è
stato sostituito. Gli angeli sono in sospeso tra cielo e terra,
disoccupati, nel fioccare delle bombe e delle guerre che non si sa
quando sono cominciate ma non si sa neanche quando si concluderanno.
La tv che verrà, guarda avanti. La CNN ha commissionato a un gruppo
di esperti e di sceneggiatori un lavoro di indagine. Il canale dell’informazione
e degli approfondimenti intende guardare nella sfera di cristallo
con i competenti della politica e della fantasia. Si vuole sapere
cosa accadrà, come cambierà l’America e con lei il mondo, se
Osama Bin Laden dovesse vincere: sfuggire alla cattura;
riorganizzare la “guerra santa” con i talebani e i devoti dei
fondamentalismi che fecondano il deserto delle religioni armate;
trovare alleati nei paesi arabi oggi moderati ,e sconfiggere l’America
di Bush, dopo averla spaventata; così mostrandola a tutti noi come
una vera e propria “tigre di carta”, nonostante la sua potenza
ostentata che nulla può contro la fede che distrugge i grattacieli
e smuove le montagne.
Non ci sono indiscrezioni, per ora, sullo sviluppo del progetto. La
CNN è ,in termini contemporanei, una sorta di comitato che scavalca
le notizie e le rilancia, quando serve e le notizie esauriscono la
loro intima energia comunicativa, ricordandosi di Orson Welles, il
Welles della famosa trasmissione radiofonica sull’arrivo dei
marziani che trascinò per strada, sconvolti dalla notizia, migliaia
di americani. Nel caso specifico la CNN esplora un futuro come se si
trattasse di un videogame e fa squillare l’allarme; ovvero, l’America
può e anzi deve pensare alla sconfitta.
American Beauty 3. Contro questi scenari in corso di immaginazione
da parte degli autori ingaggiati dalla CNN, che avranno comunque un
gran pubblico una volta terminati e mandati in onda, si schierano
tutti gli americani. Gli americani non possono neppure ammettere
come ipotesi di fantasia la sconfitta, soprattutto gli americani
silenziosi, apparentemente tranquilli, che abitano a Sarasota, un’altra
isola felice dell’antica terra promessa. La pace duratura è in un
ritardo che si aggrava sempre di più. Anche a Sarasota conoscono
bene la situazione e sanno che non ci si può fidare fino in fondo
delle parole di rassicurazione o di rivincita pronunciate dai capi,
a cominciare dal presidente; ma neanche per un istante possono o
vogliono credere che l’allarme sia fondato.
Una lunga, radicata fiducia sostiene questa convinzione. E’ la
convinzione, fatta propria da sessanta intellettuali americani, non
tutti conservatori, che gli Usa stiano combattendo una “guerra
giusta” contro una “guerra santa”. La “guerra giusta”,
secondo questi intellettuali, può essere decretata soltanto dagli
americani poiché ispirano le azioni a valori ineccepibili - difesa
della democrazia, della libertà, della morale universale - , valori
accompagnati da una forza non soltanto morale che dà all’azione
la necessaria, indispensabile rapidità. La “guerra giusta”
contro la “guerra santa” e l’”asse del male”, come la
principale scelta, la sola, che rivela la faccia gladiatoria della
bellezza americana. Ovunque nel paese. E anche nelle piccole case di
Sarasota, ricche o modeste che siano. Fortini dell’inquietudine
esistenziale e dell’eterna giovinezza.
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