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Lottizzazione,virus invincibile



Giancarlo Bosetti




Se la materia fosse la biologia e la prova scientifica fosse quella di trovare, isolare un virus, e poi liquidarlo con un vaccino, ci sarebbe da fare i salti di gioia e puntare diritti al Nobel, perché qui il virus salta fuori al microscopio in modo inconfondibile, si mostra di faccia e di profilo, fa dei lunghi balletti sulla piastrina illuminata sotto il microscopio, scodinzola lieto e quasi dice "occhèi" davanti agli occhi festanti dei giovani ricercatori che si mettono a "battere cinque" l'uno con l'altro. "E' lui".
Invece niente feste nel caso nostro. Qui la materia è "scienza politica". Non siamo proprio in laboratorio ma quello che vediamo ripetersi negli anni è sempre lo stesso esperimento, stessa provetta (viale Mazzini), stessa posta in gioco (il controllo della tv), stesso virus (nome scientifico: lottizzazione). I giornalisti e i ricercatori lavorano con la stessa passione dei biologi e fanno le stesse scene festose quando lo riconoscono: "E' lei", ma non si mettono a danzare e a "battere il cinque" perché sanno che qui il vaccino non si troverà mai. Dunque son dolori, doglie e parti interminabili di vicedirezioni, e capidivisione, e capiservizio fino a riempire tutti i lunghi corridoi e sottoscala da Saxa Rubra a Palermo.
Quando Fini ha bloccato le nomine, lasciando di sasso Berlusconi e Pera, e Rossella (che pensava di trasferirsi da una direzione del gruppo a un'altra direzione dello stesso gruppo nel lieto contesto di una nomina dei cinque consiglieri condivisa dall'opposizione) sostenendo che non riconosceva come "suo" Agostino Saccà, candidato alla direzione generale, ha come santificato il ben noto virus, "la lottizzazione" con la lealtà e la franchezza di chi non parla di una malattia ma della salute del "suo" bambino. I tempi in cui ci si scandalizzava perché Bruno Vespa confessava che le direzioni dei Tg erano apertamente in quota dell'uno o dell'altro partito sono lontani. Il livello di assuefazione al virus è assai più avanzato. Gli anticorpi non entrano più in azione; si convive come vecchie coppie collaudate. La lottizzazione viene apertamente proclamata come pratica democratica. Le differenze tra centro-destra e centro-sinistra si assottigliano: la prima pratica con un entusiasmo dichiarato e a testa alta quello che la seconda pratica sotto un velo di vergogna e a sguardo abbassato; è vero che ai tempi del pentapartito c'era chi come Craxi queste cose le diceva a voce tonante, ma poi era prevalso un certo pudore (vista anche la fine fatta da Craxi), che è per lo meno un indizio di resipiscenza, di un dubbio che "così non va bene". Seconda differenza: nonostante la sua endemica litigiosità il centrosinistra su queste cose litigava un po' meno e quando decideva di nominare un consiglio di amministrazione ci riusciva al primo colpo. Qui invece è scontro duro: nonostante il patto di ferro, quello di non sfasciare per nessuna ragione la coalizione, sulla Rai questa regola cede al richiamo della foresta: prima di tutto i "nostri" alla Rai. Dalle minacce di Bossi e dal clamoroso stop di Fini si è capito che su tutto è possibile un compromesso ma non sulla televisione. C'è una terza differenza tra centrosinistra e centrodestra: che anche qualora la Rai venisse consegnata interamente all'opposizione, alla maggioranza resterebbe sempre metà del sistema televisivo. Vale a dire che per avere quella situazione di equilibrio che piacerebbe al Quirinale, Berlusconi dovrebbe commettere una follia e rinunciare completamente alla Rai. Ma questi sono dettagli della situazione italiana che interessano soltanto all'estero e a Sylos Labini. Dunque lasciamoli da parte.
Più interessante esaminare la condotta del centrosinistra che è in un certo senso obbligata, almeno fino a che non ci sarà qualcuno capace di produrre quei lampi di fantasia, quelle rotture del tran tran che a volte salvano le situazioni (e la vita politica di chi ci riesce). E' obbligata perché con una sconfitta alle spalle, e una maggioranza come questa che controlla il sistema della comunicazione in modo paragonabile forse soltanto alla Russia di Putin, riunciare anche a "punteggiare" il paesaggio con un paio di poveri pioli piantati nel consiglio di amministrazione sarebbe davvero difficile. Ma è un "obbligo" condizionato alla mancanza di fantasia e alla difficoltà di un percorso che passi, ora e per sempre, dalla critica della lottizzazione e dalla rinuncia ad essa. La spartizione per quote politiche non è né l'unico modo né il migliore di gestire la presenza pubblica nel campo dell'informazione. Esiste una vasta letteratura sulla neutralizzazione del broadcasting pubblico. Si può praticare un'altra via, che ho descritto già in numerosi articoli su giornali, riviste e libri, in lungo e in largo, saccheggiando pubblicazioni valorose. La via è già praticata in taluni paesi del mondo, che ne sembrano soddisfatti. Si nomina un amministratore unico, da parte di una autorità intermedia frapposta fra governo ed ente televisivo, lo si sottrae per tempi di insediamento e durata al controllo politico parlamentare ed elettorale, si stabiliscono condizioni minime di garanzia per le parti politiche e poi lo si lascia lavorare.
Si capisce che non è mai il momento giusto, agli occhi di un partito politico, per rinunciare ad occupare una porzione di potere mediatico. Non lo è quando si sta in maggioranza (e che? vuoi mettere? proprio adesso, dopo anni di penuria?), non lo è quando si sta all'opposizione (e che? vuoi mettere? proprio adesso, in anni di penuria?). Dunque se non è mai il momento buono per cominciare (la volta che ci si andò più vicini fu il governo Ciampi che nominò i "professori" con De Mattè, ma fu solo una fase di transizione, anche se meritoria dal punto di vista della cultura politica e fu spazzata via da Berlusconi nel '94). Dopo fu una altalena di consigli e presidenti: chi vinceva metteva i suoi. Le messe in guardia venivano e vengono considerate generalmente non come autentiche riserve sul metodo da un punto di vista semplicemente liberale, ma come idiozie da anime belle. La sapienza cinico-realistica della sinistra e della destra converge su questo ferocemente.
Sulla sordità liberale del centrodestra italiano è azzardato fare scommesse, date certe premesse. Chi avesse nutrito speranze di questo genere su Fini, ieri le ha viste seppellite per sempre sotto quel "non riconosciamo come nostro" ("noi" di An) qualcuno che avrebbe dovuto fare il direttore generale della Rai, e dunque guidare una macchina destinata a produrre professionalità informativa. Casini, che qualche scrupolo ce l'ha, sembra abbia battuto l'idea di una soluzione neutrale, ma è rimasto a sua volta sepolto dalle aspirazioni di parte, della parte sua.
Quanto alla capacità del centrosinistra di ribaltare la situazione, c'è anche qui poco da scommetterci. La preoccupazione vitale è quella della "sopravvivenza televisiva", dunque sia la Margherita che i Ds volevano e vogliono qualcuno che fosse "loro", esattamente come Fini.
La qualità delle persone indicate per quell'incarico purtroppo non riuscirà a modificare una situazione critica. Personalmente mi figuro un giorno in cui i leader del centrosinistra capiranno che questa strada era ed è sbagliata, che l'idea di "punteggiare" il paesaggio con dei "loro" era frutto di una equivoca interpretazione della democrazia come "arte di prendere". E che tutti i momenti sono buoni per cominciare una storia nuova, sia della Rai che della cultura politica nazionale. Tutti i momenti sono buoni per cominciare a fare, e far fare, dei passi indietro dalla occupazione politica del sistema televisivo. Anche quelli in cui a governare è il proprietario dell'altra metà.

 


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