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           Un pensatore libero e indipendente 
             
             
             
            Stefano Gattei 
             
             
             
            “Lo stato minimo è lo stato più esteso che possiamo
            giustificare. Uno stato più esteso viola i diritti delle persone”.
            Questa, in estrema sintesi, la tesi principale di Anarchia, stato
            e utopia (1974), il libro più famoso e controverso di Robert
            Nozick, nato a Brooklyn nel 1938 da una famiglia di ebrei russi, e
            spentosi a Boston lo scorso 23 gennaio, all’età di 63 anni, a
            causa di un tumore allo stomaco. 
             
            Accostatosi alla filosofia con interessi squisitamente politici, a
            partire dagli anni Sessanta Nozick frequenta la Columbia University,
            dove si occupa di filosofia della scienza e ottiene un M.A. nel
            1961. È così portato ad approfondire questioni inerenti al
            concetto di “spiegazione”, ed entra in contatto con Carl G.
            Hempel (1905-1997), uno dei maggiori rappresentanti del
            neopositivismo logico in America, con cui consegue il Ph.D. a
            Princeton nel 1963. Ben presto però abbandona l’ambito
            esclusivamente analitico per abbracciare tematiche di più ampio
            respiro. Insegna alla Rockefeller University e passa infine a
            Harvard, dove diventa ordinario a soli trent’anni, nel 1969, e ha
            il suo ufficio nella prestigiosa Emerson Hall. 
             
            Mente fra le più brillanti del panorama filosofico contemporaneo,
            persona dalla profonda cultura e dai vastissimi interessi, dopo il
            grande successo del suo primo libro Nozick abbandona la riflessione
            prettamente politica e pubblica Spiegazioni filosofiche
            (1981): “vecchie domande hanno stimolato questo saggio: la vita ha
            un significato? Esistono verità etiche oggettive? La nostra
            volontà è libera? Qual è la natura della nostra identità, del
            nostro sé? La nostra conoscenza e comprensione deve osservare
            limiti immutabili?”. 
             
            Questioni fondamentali della filosofia affronta anche il successivo La
            vita pensata, del 1989, in cui Nozick cerca di rispondere a
            interrogativi quali “perché la felicità non è l’unica cosa
            che conta? Come potrebbe essere l’immortalità, e che senso
            avrebbe? I beni ereditari dovrebbero passare di generazione in
            generazione? Le dottrine orientali dell’illuminazione sono valide?
            Che cos’è la creatività, e perché la gente indugia nell’affrontare
            progetti promettenti? Che cosa perderemmo se non provassimo mai
            alcuna emozione ma potessimo comunque avere sensazioni piacevoli? In
            che modo l’Olocausto ha cambiato l’umanità? Che cosa non torna,
            quando si pensa soprattutto alla ricchezza e al potere? Una persona
            religiosa può spiegare perché Dio permette che ci sia il male? Che
            cosa c’è di particolarmente pregevole nel modo in cui l’amore
            passionale altera una persona? Che cos’è la saggezza, e perché i
            filosofi la amano tanto? Che dire del divario tra ideali e fatti?
            Esistono cose più reali di altre, e possiamo noi stessi diventare
            più reali?”. 
             
            I suoi libri più recenti sono La natura della razionalità
            (1995), in cui viene analizzata la funzione dei principi nella vita
            quotidiana e il motivo per cui non agiamo semplicemente per
            capriccio o per interesse personale, e Puzzle socratici
            (1997), una raccolta di saggi, articoli e interventi critici, che
            comprende anche una serie di brevi racconti filosofici. Lo scorso
            anno è invece uscito Invarianze. La struttura del mondo
            oggettivo, in cui Nozick guarda alla natura della verità e dell’oggettività,
            esaminando la funzione di una coscienza soggettiva in un mondo
            oggettivo, e studia il concetto di verità in ambito etico,
            discutendo se essa sia relativa a una cultura o dipenda da fattori
            sociali. Il suo era un meditare eclettico, un “pensare ad alta
            voce” che non fuggiva tematiche di interesse generale, spesso
            snobbate dal mondo filosofico accademico. 
             
            Tuttavia, il lavoro più noto e più discusso di Nozick rimane Anarchia,
            stato e utopia, che al momento della sua pubblicazione intendeva
            offrire un’alternativa concreta ai modelli astratti di giustizia,
            e in particolare a quello descritto da John Rawls (1921-) in Una
            teoria della giustizia (1971). Contro le tesi di Rawls Nozick
            propone una teoria storica della giustizia sulla scia della
            posizione libertaria di Murray N. Rothbard (1926-1995). In sostanza,
            egli sostiene che “la proprietà di una persona è giusta se la
            persona ha diritto a essa in grazia dei principi di giustizia nell’acquisizione
            e nel trasferimento, o del principio di rettificazione dell’ingiustizia”.
            All’America giovane di allora, scossa dallo scandalo del Watergate
            e ormai fatalmente avviata alla prima sconfitta internazionale della
            sua storia, seguita dal ritiro delle truppe dal Vietnam, il testo di
            Nozick diede uno slancio di speranza e di ottimismo. 
             
            L’assunto di fondo di Anarchia, stato e utopia è infatti
            che “gli individui hanno dei diritti; ci sono cose che nessuna
            persona o nessun gruppo di persone può fare loro (senza violare i
            loro diritti). Tali diritti sono tanto forti e così di vasta
            portata da sollevare il problema di che cosa lo stato e i suoi
            funzionari possano fare, se qualcosa possono”. È il problema
            centrale di Nozick: quanto spazio lasciano allo stato i diritti
            degli individui? “Uno stato minimo”, risponde, “ridotto
            strettamente alle funzioni di protezione contro la forza il furto,
            la frode, di esecuzione dei contratti e così via, è giustificato;
            qualsiasi stato più esteso violerà i diritti delle persone di non
            essere costrette a compiere certe cose, e non è giustificato”. E
            aggiunge: “lo stato minimo è allettante, oltre che giusto” -
            esso è “l’unico moralmente legittimo”, “l’unico
            tollerabile”. 
             
            Due implicazioni di tale visione sono che lo stato non può
            utilizzare il proprio apparato coercitivo allo scopo di far sì che
            alcuni cittadini ne aiutino altri, o per proibire alla gente
            attività per il suo proprio bene o per la sua propria protezione.
            La proposta di Nozick consiste dunque nella difesa dei diritti
            inviolabili degli individui, i quali vivono all’interno di uno
            stato minimo che si limita a proteggere i propri cittadini
            dalla violenza, dal furto e dalla frode, e che controlla il rispetto
            dei contratti. Si tratta di una concezione individualistica: l’individuo
            va difeso contro l’ingerenza e l’intervento dello stato. 
             
            Si presenta però naturale l’obiezione anarchica: non sarebbe
            allora meglio se lo stato non esistesse affatto, essendo per sua
            stessa natura immorale? Ma Nozick respinge immediatamente tale
            obiezione elaborando una teoria di come sarebbe potuto nascere lo
            stato, anche se - è lui stesso a riconoscerlo - non è certo nato
            così. Egli parte dallo “stato di natura” teorizzato da Thomas
            Hobbes (1588-1679) e da John Locke (1632-1704), nel quale gli
            individui sono pronti a farsi giustizia da soli contro gli
            usurpatori dei propri diritti. Mentre però Locke sostiene che si
            esce dallo stato di natura e si entra nello stato civile per mezzo
            di un contratto o di un accordo, Nozick afferma che dallo stato di
            natura si giunge allo stato minimo non per contratto, ma spontaneamente,
            per opera di quella che Adam Smith (1723-1790) aveva chiamato “mano
            invisibile”, e attraversando fasi successive. In un primo momento,
            gruppi di individui possono unirsi per amicizia, difesa reciproca o
            spirito civico, formando “associazioni di mutua protezione”.
            Tali associazioni incorrono però presto in numerosi inconvenienti e
            difficoltà a carattere interno o esterno, che vengono risolti con
            la lotta o con l’accordo. Si arriva allora a quella che Nozick
            chiama “associazione protettiva dominante”, che giudica le
            opposte rivendicazioni degli individui e fa valere, con la forza, i
            loro diritti. 
             
            All’interno di uno stato di questo genere possono però ancora
            esistere gruppi (è il caso della mafia, o del Ku-klux-klan, per
            esempio) che fanno anch’essi uso della forza, e tuttavia nessuno
            sarebbe disposto a chiamare “stato” tali associazioni. La
            condizione necessaria per l’esistenza di uno stato, conclude
            allora Nozick, “è che esso (o qualche persona, od organizzazione)
            annunci che punirà come meglio saprà (tenendo conto dei costi da
            affrontare, della possibilità, delle altre cose più importanti che
            dovrebbe fare, e così via) tutti quelli di cui scoprirà che hanno
            fatto uso della forza senza il suo esplicito permesso”. 
             
            Un ordinamento del genere costituisce uno “stato ultraminimo”:
            esso si riserva il monopolio di ogni uso della forza, esclusa la
            forza necessaria per l’autodifesa immediata, e fornisce servizi di
            protezione e di applicazione dei diritti soltanto a chi compra le
            sue polizze di protezione e di applicazione dei diritti. Lo “stato
            minimo” auspicato da Nozick si distingue da quest’ultimo perché
            in esso i cittadini che possono pagano le tasse affinché a tutti
            siano garantite protezione e applicazione dei diritti. È la
            concezione liberale classica dello stato minimo come “guardiano
            notturno”, il cui compito consiste nel far rispettare i vincoli
            collaterali che discendono dalla inviolabilità degli individui, i
            quali non sono mezzi per lo stato, ma devono essere trattati da
            questo come fini. 
             
            Nello scrivere Anarchia, stato e utopia Nozick ha seguito il
            modello di indagine adottato da molti dei grandi scrittori giuridici
            e politici, da Hobbes ai giorni nostri. Le sue ricerche nel campo
            della teoria dei diritti e dei doveri privati si proponevano di
            illustrare il motivo per cui gli individui dovessero fedeltà allo
            stato. A questo proposito, sebbene egli abbia brillantemente
            mostrato come i singoli, per salvaguardare la propria sicurezza,
            diano vita a organizzazioni protettive estese, non è però riuscito
            a esplicitare come queste scelte personali siano in grado di
            generare un’associazione protettiva singola, che assuma su
            di sé i caratteri distintivi dello stato (Nozick stesso si è
            sempre astenuto dal fare ricorso a ipotetici contratti sociali). 
             
            Tale difficoltà a chiudere il cerchio è tuttavia meno importante.
            In un campo quale la filosofia, in cui prevale l’incisività delle
            domande sulla forza o sulla pretesa certezza delle risposte, il
            contributo più importante di Nozick rimane quello di aver dato
            nuova voce alla tradizione liberale classica. Nel farlo, egli ha
            dimostrato di essere in primo luogo un pensatore libero e
            indipendente, che ha avuto il coraggio di far sentire la propria
            voce contro i modi di pensare tradizionali a favore dei governi e
            dei poteri economici onnipervasivi, imponendosi così come uno dei
            grandi filosofi politici del ventesimo secolo. 
             
            
            
             
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