
|
I lettori scrivono
Da: Giuseppe Palazzolo giuseppe.palazzolo@katamail.com
A: caffeeuropa@caffeeuropa.it
Data: Martedì, 4 dicembre 2001 5:54
Oggetto: La stanza del figlio
Gentile Redazione,
da piu' di un anno vi seguo con interesse e curiosita', e apprezzo in particolar modo
l'attenzione che riservate alla pluralita' delle espressioni dell'uomo. Da un articolo di
Umberto Curi sulla Stanza del figlio ho tratto alcune ispirazioni per un articolo che ho
scritto per Ricerca, il mensile della FUCI.
Ve lo mando, con i miei complimenti per l'ottimo lavoro svolto finora.
Alla prossima
Giuseppe Palazzolo
Una lettura della Stanza del figlio
Inizio del film: il protagonista, dopo la quotidiana corsa mattutina, chiede un bicchiere
dacqua; lo spettatore si siede rassicurato: ecco il Nanni Moretti che conosciamo,
quello che alla fine di Caro diario conclude una vicenda tragica - il cancro, la
lunga vicenda della diagnosi e la difficile lotta per la salute - con una lezione di
essenzialità e di (apparente) semplicità. Il film si concludeva infatti con una cura
scoperta dal paziente e non ordinata dai medici - che sanno parlare bene ma non vogliono
ascoltare: un bicchiere dacqua, la mattina, prima di colazione. Moretti non lascia
indietro il suo piccolo scrigno di "sapienza", costruito attraverso
lintelligenza dellesperienza e impiega la prima parte del film a restituirci
queste piccole verità: stare al mondo, dice Giovanni Sermonti ai suoi pazienti, significa
imparare a convincersi che non tutto dipende da noi, e che ci si possa e ci si debba
"perdonare", trovando una prospettiva "esterna", sottratta alla nostra
cattiva coscienza. Ma Sermonti-Moretti predica bene e razzola male: è sempre lui al
centro della narrazione filmica, ritroviamo il consueto narcisismo morettiano, anche se
addolcito da una matura ironia. Sermonti in famiglia è un gentile tiranno: pretende che
tutta la famiglia canti con lui le canzoni delladolescenza, si arrabbia
scherzosamente quando parla ma nessuno lo ascolta, e i figli interloquiscono con la madre.
Guardingo spia la figlia che fa i compiti con un compagno che ha labitudine di
fumarsi qualche canna. Porta tutta la famiglia a vedere la partita di tennis del figlio e
fatica a capire le ragioni degli altri: della moglie che legge il giornale, della figlia
che chiacchera con il ragazzo e del figlio Andrea che non affronta il match con la
necessaria carica di agonismo, ma soltanto per divertirsi, trasgredendo implicitamente al
nome che il padre gli ha imposto: andreia, forza e prodezza. Il figlio atteso,
amato, coccolato, di Aprile è diventato grande. E crescendo si è reso
indecifrabile al padre che continua a proiettare su di lui le proprie attese e le proprie
idiosincrasie: insomma, non gli toglie gli occhi di dosso, cinematograficamente parlando,
quindi contemporaneamente da una prospettiva reale e simbolica. Giovanni è preoccupato
per il furto del fossile a scuola, ma Andrea preferisce confidarsi con la madre. Una
famosa scena del film è la passeggiata del padre in corridoio, con le porte a vetri che
si aprono in successione attraverso il luminoso appartamento familiare: il padre si
accerta dello spazio della propria vita che egli possiede (o crede di possedere). Richiama
unaltra scena pluricitata, quella di Ecce Bombo con la carrellata
allindietro della macchina da presa che mostrava in successione, come in un gioco di
specchi, Valentina, la sorella del protagonista, Michele, impegnata a progettare con i
suoi compagni loccupazione della scuola, e quindi Michele stesso che contempla
basito il gruppetto e infine il padre impalato alle spalle del figlio. In Ecce Bombo
è la metafora della distanza tra le generazioni, e di uno spazio familiare frammentato
dai molteplici sguardi dei personaggi - sguardi che non si incontrano; nella Stanza del
figlio, invece è lo sguardo e il movimento del padre che rassicurante unifica lo
spazio. E la visione dello spazio è fondamentale nel cinema di Moretti, continuamente e
quasi ossessivamente costruito sulla dimensione dicotomica dentro/fuori, esterno/interno,
e che rappresenta una valida chiave di lettura anche di questo film.
A gettare nella più profonda crisi le sicurezze di Giovanni (Sermonti-Moretti) interviene
la morte del figlio, che rappresenta, come nella più classica delle tragedie, la metabolè,
il mutamento di fortuna che rovescia il felice stato iniziale in dolore e sofferenza senza
fine. Umberto Curi, dalle pagine del "Mattino" e di www.caffeeuropa.it , ha persuasivamente
dimostrato come la struttura della tragedia soggiace, sia da un punto di vista formale che
tematico, allintera tessitura filmica; anche se conclude affermando
lincapacità, da parte del regista, di cimentarsi adeguatamente con la dimensione
del tragico. Credo invece che Moretti, come novello Edipo, porti a compiuto sviluppo la
vicenda tragica proprio quando le proprie conquiste, la propria "sapienza", la
propria tranquilla felicità interiore, si dimostra allimprovviso fragile e
sbrecciata come gli oggetti della casa che scopre allimprovviso rotti e malamente
aggiustati. La verità del dolore lo disarma, lo priva di quella distanza immunizzante che
aveva messo tra sé e i casi dei propri pazienti: ma nello stesso tempo la cognizione del
dolore non riesce a sortire alcun effetto catartico: il regista ci mostra il dolore senza
infingimenti, in maniera impudica quasi, lontanissima da quel compiacimento a cui la
televisione ci ha abituato. E lo spettatore è disorientato, disturbato dagli scoppi di
pianto, dalla lunga sequenza della chiusura della bara, dallimpossibilità di
comunicare la sofferenza anche alle persone care. Giovanni Sermonti si scopre il Michele
Apicella che a Bianca (ancora Laura Morante), nellomonimo film confessava: «Perché
tutto questo dolore? Io mi devo difendere!».. E si difendeva fuggendo dalle relazioni
affettive, dallamore di Bianca, o tentando di aggiustare le relazioni di amici e
conoscenti, immunizzandole dalla vita anche con la morte, come fa simbolicamente quando,
preso possesso dellappartamento, procede con la disinfestazione dei servizi
attraverso il fuoco. Un amico in unoccasione lo ammonisce: «Michele, cerca di
capire ogni tanto cosa succede veramente!». È bene a questo punto rilevare come la
sofferenza è sempre stata una componente importante del cinema di Moretti: essa assume il
volto di Olga, una ragazza napoletana affetta da schizofrenia, in Ecce Bombo, o di
un don Giulio affranto per il suicidio della madre nella Messa è finita, o lo
stesso Moretti malato di Caro diario. Come ha notato Michele Serra, la visione
politica di Moretti nasce proprio come tentativo di proporre risposte - in un certo senso
"laiche" - alla sofferenza universale. Ma a differenza delle opere precedenti
nella seconda parte del film manca la distanza rassicurante dellironia, di quei
birignao e di quei paradossi che attraverso il loro intellettualismo scoprivano la
costruzione dellopera, denunciandone i meccanismi narrativi. Lintensa
recitazione dello stesso Moretti ci presenta un realismo davvero insolito - normalmente il
cinema morettiano si distingue per il suo iperrealismo o surrealismo - a cui lo spettatore
partecipa con commozione. Il protagonista non riesce a elaborare il lutto, ritorna con la
mente al mattino in cui ha preferito recarsi da un paziente piuttosto che correre con il
figlio, così come ripercorre ossessivamente una traccia musicale di Michael Nyman. Non
riesce a perdonarsi perché non riesce ad aprirsi al dolore degli altri, della moglie in
primo luogo; il dolore si fa urlo silenzioso, non si trasforma in racconto, trattenuto
comè da un gesto muto di Giovanni. Nel labirinto in cui è precipitato - e che ha
come centro di gravità unassenza, la stanza vuota del figlio - non cè parola
che salva. La figlia Irene non riesce a portare pace, eiréne, al padre: è
significativo come entrambi i figli non compiono la missione iscritta nei loro nomi. Reca
la notizia che i compagni di scuola di Andrea hanno deciso di ricordarlo con una messa, ma
la celebrazione e le parole del sacerdote non offrono alcun conforto a Giovanni.
Lintervento del prete - che può apparire retorico, vuoto, di circostanza - serve in
realtà a confermare la convinzione del protagonista: al di fuori di una logica di fede il
dolore appare senza senso, senza giustificazione, senza redenzione possibile. Circostanza
ancora più significativa se consideriamo che Sermonti è uno psicologo, che sulle
capacità guaritrici e lenitive della parola ha basato la propria attività; tanto è vero
che decide di abbandonare la professione, di dichiarare fallimento.
Ma forse dal labirinto unuscita è possibile: a indicarla appare Arianna,
unamica di Andrea conosciuta al campeggio, che forse riuscirà a sciogliere quel
"garbuglio" che Giovanni raffigura sul foglio della lettera destinato proprio
alla ragazza.
Dopo le immagini di interni - casa studio, chiuso labirinto in cui Giovanni insegue il
garbuglio del suo dolore - lo spazio aperto del mare illuminato da un sole di fine inverno
- e che questa volta appare di fronte, e non alle spalle come in Ecce Bombo -
presenta un completo capovolgimento di paradigma. Giovanni e la moglie finalmente
ritrovano il sorriso. Quindi la scena finale: Arianna si allontana in autobus, e noi
attraverso i suoi occhi osserviamo i tre - padre, madre e figlia - passeggiare sulla
spiaggia a testa bassa, in tre direzioni diverse. Non è il lieto fine, non è nemmeno
lintervento di un deus ex machina; è una risposta, possibile e incerta. La
scoperta dellaltro - lamore estivo del figlio, un aspetto del figlio che si
ignorava - è anche la scoperta di uno sguardo altro, a cui permettere di frugare, scavare
e anche sanare il proprio dolore. Uscire da una comprensione esclusivamente privata del
dolore - per quanto intenso e ineffabile possa essere - vuol dire uscire da un equivoco di
sufficienza e di onnipotenza, quello che la moglie rimprovera a Giovanni. Ma questa
soluzione è affidata a pochi fotogrammi, a uno sguardo e a una traccia musicale: quel
disco di Brian Eno impiegato sui titoli di coda è infatti lo stesso ascoltato da Giovanni
nel negozio in cui si era recato alla ricerca dei ricordi musicali del figlio.
Giuseppe Palazzolo
giuseppe.palazzolo@katamail.com
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da
fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |
|
  
|