Se chiedi
chi erano i Beatles
Roberto Bertinetti
"Settantacinque per cento di pubblicità, venti per cento di
pettinatura e cinque per cento di rapidi lamenti". Questa,
secondo un critico musicale degli anni Sessanta, la magica ricetta
impiegata per lanciare a livello planetario i Beatles. Bastava per
far diventare il gruppo "più popolare di Gesù Cristo",
come rilevò Lennon, per riassumere il miracolo della loro eternità
artistica? Persino banale ribadire ora, in morte di George Harrison,
che quella spiegazione era completamente errata.
Ma cosa, allora, ha trasformato quattro modesti
epigoni del rock Usa originari di Liverpool, che debuttarono cercando
fortuna in Germania (localini amburghesi pieni di fumo, teppistelli
e spogliarelliste) in icone mondiali della cultura pop, in ineludibili
punti di riferimento per milioni di persone dallinizio dei
Sessanta ad oggi?
Una straordinaria e mai superata capacità di dar voce, attraverso
le canzoni, alle utopie e alle paure dei giovani, che proprio allora
- e per la prima volta - cominciavano a diventare padroni delle
proprie vite, decisi a trasformare una naturale fragilità anagrafica
in atto di sfida al mondo degli adulti. "Dimenticate le cose
cattive, non vi servono. Prendete solo la musica, le cose buone,
perché sono la parte migliore, quella che vi offriamo più volentieri",
sosteneva proprio George Harrison.

"Pensate, il mondo potrebbe essere bellissimo,
se solo fossimo capaci di volerlo", gli faceva eco John Lennon.
Nei Sessanta molte cose stavano iniziando a cambiare e i Beatles
offrivano le parole giuste (semplici, chiare, dirette) per indicare
una direzione di marcia, per tenere a bada langoscia generata
dalla scoperta della distanza, a volte enorme, tra i desideri giovanili
e la realtà.
Lala del genio deve averli a un certo punto sfiorati anche
sotto il profilo musicale, se è vero che, partendo da una tavolozza
limitata a una dozzina di accordi, hanno finito per diventare un
modello valido sia per i metallari più scatenati che per raffinati
compositori davanguardia come Luciano Berio. Da quando, nellottobre
1962, Love Me Do esce nei negozi di dischi e comincia a scalare
la vetta delle classifiche il rapporto tra le forze sociali non
è stato più lo stesso. Quel brano rappresenta il primo rintocco
delle campane della rivoluzione giovanile che da allora avrebbero
suonato a distesa nellintero occidente, mentre lidea
dellamore diventava larchitrave di un progetto politico
fondato sulla tolleranza e sulla ricerca della pace universale.

"A un certo punto essere i Beatles è diventato
fonte di enorme stanchezza e la fine del gruppo è stato un modo
per poter riprendere quota nelle nostre esistenze individuali",
disse George Harrison dopo lo scioglimento della band. A partire
dal dicembre 1970 ciascuno dei quattro ragazzi di Liverpool ha iniziato
il proprio percorso personale. Quello di John Lennon terminò nel
1980, quello di George Harrison è appena finito.
I Beatles, invece, restano e resteranno. Perché le loro canzoni
rappresentano la colonna sonora di una storia tutta contemporanea
che ancora non si è chiusa e, insieme, il perno un progetto culturale
così forte da poter passare, integro, dai padri ai figli.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei
commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |