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Smettere di pensare
e di parlare? Proprio no
Guido Martinotti
Non condivido il forzato entusiasmo e neppure il sollievo per una
soluzione pressochè unanime del voto in parlamento sulla guerra.
Visto che i nostri soldati erano praticamente già stati inviati e
che non li si sarebbe comunque potuti fermare, il coraggio civile
imponeva di dare l’appoggio all’operazione, ma non l’assenso
incondizionato a tutta la politica americana. E così ha fatto con
molta fatica, ma lodevolmente, la sinistra italiana, esprimendo
dubbi che sono condivisi dalla grande maggioranza dei cittadini
italiani e di altri paesi e da autorità non sospette come il
Generale Wesley Clark.
Il cuore rimane pesante per la convinzione che non la guerra a Bin
Laden, ma questa particolare operazione militare possa rivelarsi un
errore costoso, pericoloso, controproducente e sostanzialmente
governato dal Califfo Virtuale. Mi auguro di sbagliare, ma se la
spedizione in Afghanistan si rivelasse una trappola? In ogni caso è
lì che Bin Laden ha voluto che i soldati americani andassero. E lo
si deduce da un particolare molto commentato (anche se non da questo
punto di vista) cioè la luce diurna nella cassetta trasmessa da Al
Jeezira immediatamente dopo gli attacchi aerei notturni su Kabul. La
discrasia temporale è la prova che la mossa americana era stata
anticipata (il che, in una partita strategica, equivale a voluta) da
Bin Laden. Mentre, per il momento, nulla di quel che sappiamo ci
dice che dalla nostra parte si sia ancora anticipata una sola mossa
del Califfo Virtuale.
Siamo quindi obbligati ad andare in Afghanistan, ma cerchiamo di
farlo con austerità. E invece no: occorrevano le fanfare e quindi
la manifestazione a stelle e strisce che, come avvio della “rivoluzione
culturale del nuovo secolo” annunciata il giorno prima dal
proponente non è sembrata proprio entusiasmante, ma ha conseguito
il risultato, non so se voluto o meno, di contrapporre un
americanismo mediocre e acritico all’antiamericanismo inossidabile
di Bertinotti. Tuttavia sul piano della pura e semplice logica
calcistica ha vinto il Chievo di Casarini e degli altri, non la
macchina supersponsorizzata di Forza Italia.
1 a 1 sul campo dell’opinione pubblica italiana e 3 a 1, almeno,
secondo i numeri in piazza. I vari Schifani, con le loro facce di
ruolo, avranno il loro bel daffare e, per mitigare il flop,
hanno già pensato di inventare la battuta, detta con aria quasi
contrita, “che la sinistra ha sbagliato a non andare”. Ma non
riusciranno a convincere neppure se stessi, perché chiunque sia
abituato alle argomentazioni da bar sport che caratterizzano Forza
Italia, capisce benissimo che quando la festa è ben riuscita non
hai nessun bisogno di far sapere in giro che ci si è divertiti. Lo
dici solo quando sospetti di aver preso una sòla.
Questi bravi liberali, non si rendono conto di aver seguito un’altra
delle mosse imposte da Bin Laden, sintetizzata in modo perfetto
dalla sinistramente grottesca affermazione dell’onorevole La
Loggia (da allora scomparso dalle scene, ma non credo per questo) a
conclusione del primo Gabinetto dei Ministri dopo l’11 Settembre.
“D’ora in poi saremo un po’ più americani e un po’meno
liberi”. Non commento, limitandomi a notare che il liberalesimo
della Casa delle Libertà in pochi giorni si è sciolto come il nero
sui baffi di Vittorio Emanuele II quando c’era troppo sole durante
le parate. Subito dopo La Loggia, ci pensa l’onorevole Schifani,
che, da portavoce del governo, in una delle trasmissioni più
seguite dagli italiani, si rivolge a uno dei leaders dell’opposizione
con queste parole: “lei deve (sottolineo deve) solo stare zitto.
Lei deve tacere!”.
Per arrivare al liberalesimo del professor Panebianco che sfodera il
latinorum per intimare il silenzio, perché in tempo di guerra si
deve sostanzialmente smettere di pensare e, come si diceva una
volta, non bisogna disturbare il manovratore. Tutte queste persone
non capisono di essere pedine di Bin Laden, cioè di andare
esattamente nella direzione prevista dal Califfo Virtuale. Il quale,
nell’attacco alle basi della società americana sta avendo un
grande appoggio da tutti coloro che cedono al terrore (appunto) e
contribuiscono a fomentarlo in molti modi, dall’uso incauto dei
media, alle invocazioni al silenzio e alla censura, alla
costituzione di un Ministero degli interni, della cui mancanza gli
americani si sono sempre vantati, alla chiusura delle frontiere,
persino alla quasi invocazione della tortura.
Le prime fasi di questo conflitto hanno rivelato molto
chiaramenteche siamo stati gettati in una battaglia
mediatico-ideologica in cui l’avversario la sa molto lunga su di
noi, mentre noi ne sappiamo assai poco su di lui. Qui non si sta
combattendo tanto per questo o quel pezzo di terra, ma per un modo
di vita, in parte economico e in parte culturale. Il nostro
avversario usa la stessa tecnica dei retrovirus, o se vogliamo delle
arti marziali orientali: entra nel sistema e rivolge le nostre
risorse contro di noi. Gli aerei contro le nostre torri, ma anche i
nostri intellettuali contro le nostre libertà e istituzioni.
Se diamo retta alle reazioni scomposte cui abbiamo assistito si ha l’impresssione
che andremo nella direzione desiderata dal Califfo senza che lui
muova un dito. Che ne rimane della civiltà americana se gli si
tolgono la libertà vera (non quella dei simil-liberali nostrani) l’
habeas corpus e la capacità di accogliere gli immigrati?
Speravamo che qualcuno lo spiegasse durante la manifestazione di
Roma, ma si è parlato d’altro. Per quanto ci riguarda faccio
notare che è bastato un giorno perché dal “silete” di
Panebianco si sia passati a Libero con le liste di
proscrizione, l’unico vero grande strumento che questi liberali
municipali hanno in testa
Fare una manifestazione non in favore di un’idea o di una
politica, ma di un paese che, benchè alleato (e da alcuni di noi
profondamente amato), rimane pur sempre una nazione straniera con i
propri interessi e obiettivi, comporta alcune contraddizioni del
tutto evidenti a chiunque non sia accecato da spirito partigiano e
dal gusto del gesto clamoroso diretto non contro Bin Laden, ma
contro l’avversario interno. A parte la ripugnanza per
manifestazioni spontaneamente organizzate dal governo, che ricordano
periodi bui della nostra storia, coinvolgere il Premier in
una piazzata va contro la buona creanza istituzionale (qualità di
cui comunque scarseggia una maggioranza demagogica e populista come
questa) non fosse altro che perché espone il capo del governo a
brutte figure se il risultato non è superlativo.
Ma urta anche il buon senso politico perché, significa vincolare
(con una cambiale garantita di persona) l’azione di governo a una
politica internazionale che rimane comunque piena di interrogativi.
In secondo luogo, portando il Premier in piazza sotto altre
bandiere lo si obbliga a una lealtà sopra le righe nei confronti
degli USA. Lealtà che non è stata espressa da nessun altro leader
europeo - escluso Blair, che però ha imparato l’inglese prima di
aver letto le tre “I” del programma di Forza Italia - e che
implica, tra l’altro, una conduzione militare sulla quale non può
esercitare controllo. Come risulta dal fatto (tenuto in sordina, ma
piuttosto grave) che le nostre truppe sono al servizio degli
americani e sotto il loro diretto comando - condizione che nessun
militare accetta con piacere.
In terzo luogo chi si drappeggia di bandiere americane (e capisce il
senso di questa azione, che non riguarda un nuovo capo di
abbigliamento) impegna la nostra opinione pubblica ad accettare a
scatola chiusa la politica di un altro paese. Politica che in quel
paese è il risultato di dibattiti anche accesi, da cui noi italiani
verremmo esclusi perché potremmo solo dire si o no alle decisioni
del paese di cui abbiamo impugnato la bandierina, secondo le vecchie
tradizioni di “o Franza o Spagna”. Anzi se dovessimo accettare
le paludate intimazioni, saremmo ridotti a dire soltanto di si, e
solo con gli occhi e con la testa o agitando la manina, o meglio la
bandierina.
Infine la marcia nascondeva un’altra e ben più grave
contraddizione. Ci si è detto e ridetto che dobbiamo combattere Bin
Laden perché è il nemico della nostra civiltà. Ma la nostra
civiltà è forse simboleggiata dalla bandiera americana? E’
difficile far credere che non esista altro spazio nell’Occidente
di quello coperto dal lenzuolo a strisce e a stelle che tutti i
giornali di destra ieri portavano con ostentazione in prima pagina.
Tra l’altro appropriandosi di un simbolo con le cui basi ideali
hanno poco in comune. Basti pensare che alla manifestazione
partecipavano due partiti, dei quali uno viene da una tradizione
politica che, in passato, a quella bandiera ha dichiarato guerra e
contro i cui soldati ha sparato e l’altro, non molto tempo fa, ha
mandato illustri emissari a stringere la mano al despota con il
quale erano in guerra tanto la bandiera a stelle e a strisce che
quella italiana (della quale, detto en passant, si è ricordato solo
Libero: per il Foglio e il Giornale, l’Italia
serve solo quando fa comodo).
Ma, dice Ferrara a La Stampa, sono piccolezze,”non ci vedo
niente di male” e di bandiere ne abbiamo viste tante. Appunto.
Però in Piazza del Popolo mancava quasi del tutto quella europea,
salvo un pezzo di Nona suonato come la rapida genuflessione che
fanno i fedeli tra l’ite missa est e l’aperitivo al bar
in piazza. E purtroppo non era una dimenticanza, ma l’intero senso
della vicenda. Nell’eterno rincorrere il più potente, il governo
Berlusconi ha già deciso che i maggiori vantaggi si ricaveranno
dall’alleanza diretta con l’America ed è quindi opportuno che
le stelle yankee eclissino quelle europee. Dimenticandosi
però che questa volta la scelta non è tra “Franza o Spagna”
perchè, per quanto a fatica e con difficoltà, l’Europa siamo
anche noi.
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