Il bilancio sul Kossovo
Marco Calamai
Sono passati più di due anni dalla fine della guerra che ha visto la Nato, per la prima
volta dalla sua fondazione mezzo secolo fa, impegnata in uno scontro bellico. Una guerra
in qualche modo ancora "anti-comunista" poichè si trattava di fermare la
brutale aggressione in Kossovo decisa dalla Yugoslavia, lultimo paese in Europa che
non aveva ancora avviato la transizione democratica. Il governo
"nazional-comunista" di Belgrado era, nel 1999, ben più autoritario (e
corrotto) di quello che aveva governato il regime nella convulsa fase post-titoista.
Milosevic si era aggrappato al mito della razza serba e del nazionalismo nel tentativo di
salvare se stesso e il suo regime, in una sorta di mascheramento teatrale (sappiamo bene
che non fu commedia bensì tragedia) che doveva servire a sopravvivere a quel fatidico
1989 che aveva spazzato via tutti gli altri regimi comunisti dellEuropa orientale.
Paradosso della storia, lintervento si è verificato quando il blocco sovietico, e
cioè il nemico che aveva spinto le potenze occidentali a creare la Nato, si era già
completamente sfaldato.
Sono note le conclusioni di quella guerra. A Belgrado la crisi sociale e
politica, già evidente ancora prima dei bombardamenti Nato, ha provocato (o forse solo
accelerato), un anno fa, il crollo del regime sciovinista e aggressivo di Milosevic. In
Kossovo, subito dopo la resa di Milosevic, si è installato un governo bicefalo,
lUNMIK (United Nations Mission ad Interim in Kosovo), costituito da rappresentanti
dei diversi partiti kossovari (compresa una piccola componente serba la cui presenza ha un
valore politico-simbolico di primaria importanza) e da rappresentanti delle Nazioni Unite.
LUNMIK - sotto la guida del Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle
Nazioni Unite - ha il compito di gestire la transizione politica di quella che viene
formalmente chiamata una provincia della Federazione Yugoslava, in coerenza con la ben
nota Risoluzione ONU (Consiglio di Sicurezza) 1244 e che prevede, per il Kossovo - secondo
lo spirito degli Accordi di Rambuillet la cui non firma da parte di Milosevec aveva
innescato i bombardamenti Nato - un regime di sostanziale autonomia dalla Yugoslavia ma,
è importante sottolinearlo, non lindipendenza.
Insieme alle Nazioni Unite sono entrate in Kossovo le truppe della KFOR (Forze armate del
Kosovo). Ben presto la loro presenza si è rivelata cruciale non solo per proteggere gli
albanesi del Kossovo da eventuali minacce da parte della Yugoslavia di Milosevic ma anche
per proteggere la piccola minoranza serba rimasta in Kossovo (tra le 100 e le 200 mila
persone) dai rischi altissimi della ritorsione albanese come hanno dimostrato i tanti
episodi di violenza etnica antiserba degli ultimi due anni.
Richiamo qui questi fatti, largamenti conosciuti dallopinione pubblica, poichè mi
sembrano centrali per tentare un primo bilancio, necessariamente molto approssimativo, di
una delle esperienze in ogni caso più significative della storia europea degli ultimi
decenni. Un bilancio, che, in questa sede, intende concentrarsi su uno degli aspetti forse
meno noti (in quanto meno raccontati dai media sempre alla caccia di eventi spettacolari)
ovvero il peso dei fattori sociali , economici e culturali nella complessa vicenda
politica kossovara durante gli ultimi due anni .
I grandi mutamenti degli anni Novanta
La società kossovara è stata profondamente segnata dai traumatici e convulsi avvenimenti
degli anni Novanta. In effetti, per comprendere quanto avviene oggi in Kossovo è
necessario tornare indietro e capire cosa ha comportato, dal punto di vista sociale e
politico, la stretta autoritaria sancita formalmente dalla nuova Costituzione serba del
1990.
Discriminazione istituzionale
Il nuovo centralismo voluto da Milosevic colpisce duramente i funzionari pubblici
kossovari della maggioranza di etnia albanese (passata, a causa della alta natalità, dal
70% della polazione nel 1972 al 90% circa nel 1990) i quali abbandonano i diversi organi
dellamministrazione statale. Non si tratta tanto, formalmente, di licenziamenti
politici imposti da Belgrado con la forza, quanto di scelte volontaria, espressioni di
quel boiccotaggio di massa nei riguardi dei serbi che ha segnato in modo crescente la
protesta « albanese » negli anni Novanta.
I poteri locali (non solo in Kossovo ma in tutta la Yugoslavia) erano stati, daltra
parte, già drasticamente ridotti dalla nuova Costituzione. Va ricordato, a questo
riguardo, che nella Yugoslavia di Tito, con lintroduzione negli anni Cinquanta
dellautogestione (self-management) nelle imprese (elemento originale caratteristico
della via yugoslava al socialismo) si era anche consolidata una forte esperienza di
autogoverno a livello locale (e ciò malgrado i limiti politici imposti dal partito
unico).
I municipi, anche se comunque sottoposti al controllo dallalto (la provincia o la
repubblica), godevano di ampi poteri. Tito aveva cercato di consolidare il consenso
sociale verso il suo regime recuperando lantica e radicata tradizione di
auto-governo ereditata dallesperienza storica dellImpero Ottomano. Durante il
lungo periodo della dominazione turca, infatti, ogni villaggio eleggeva un anziano che
agiva in pratica da sindaco.
Queste figure, dotate di grande prestigio e autorità nei loro terrritori, furono spesso
protagoniste delle rivolte contro il dominio turco. La nuova costituzione serba del 1990
rappresenta un colpo molto duro a questa tradizione e viene vissuta dagli albanesi del
Kossovo come una scelta orientata soprattutto a colpire i diritti acquisiti in Yugoslavia
durante il regime di Tito .
Discriminazione nei luoghi di lavoro
Tecnici e dirigenti di etnia albanese vengono espulsi dal management delle aziende, in
particolare delle social owned company e dalle cooperative agro-industriali il che
comporta una rapida dequalificazione tecnico-professionale che oggi rappresenta uno dei
limiti più seri per una ripresa produttiva nelle miniere (tradizionalmente la principale
risorsa economica in Kossovo), nelle industrie e nel settore agro-industriale. Ma la social
exclusion colpisce anche i lavoratori meno qualificati.
Migliaia di kossovaro-albanesi vengono sostituiti da lavoratori serbi con gravissime
conseguenze sui livelli di reddito e di consumo. Dopo la guerra molti di questi
lavoratori, che si sono organizzati in nuovi sindacati "anti-serbi", torneranno
nei vecchi centri produttivi sperando di recuperare in modo stabile i posti di lavoro
perduti dieci anni prima e chiederanno al governo UNMIK di ripristinare salari e diritti
sindacali .
Discriminazione nella qualità del Welfare
Il Kossovo diviene, negli anni Novanta, la provincia yugoslava meno "protetta"
sul piano sociale. Un dato emblematico: il sistema pensionistico (un tempo garantito a
tutti i lavoratori del settore pubblico) copre, nel 1999, soltanto 32.511 anziani (dato
World Bank) su un totale di circa 1.800.000 cittadini kossovari. E facile concludere
che in pratica solo la minoranza serba riceve le pensioni durante gli anni Novanta.
Altro dato: la crisi del tradizionale sistema sanitario che, anche se arretrato e spesso
inadeguato, prima del 1989 comunque garantiva a tutti i kossovari, come agli altri
cittadini della Yugoslavia, assistenza ospedaliera e farmaceutica praticamente gratuita
(era normale, ad esempio per interventi chirurgici particolarmente complessi, essere
ricoverati gratuitamente negli ospedali più attrezzati di Belgrado).
Tra il 1990 e il 1992, la gestione del sistema sanitario si concentra a Belgrado e le
risorse finanziarie vengono distribuite a livello regionale in modo chiaramente
discriminatorio. La maggioranza degli albanesi del Kossovo- il 50% dei quali neanche
possiede la Social Insurance Card richiesta dalle autorità per accedere al Health
Insurance Coverage - non è più in grado di utilizzare lassistenza sanitaria
pubblica. In effetti è crollata la tradizionale base finanziaria del sistema: il Health
Insurance Fund.
Questo fondo veniva alimentato dai contributi dei datori di lavoro, dal Pension Fund
e dal Federal Solidarity Fund. Attivando questo fondo lo Stato titoista aveva
per un lungo periodo dirottato importanti risorse verso le regioni meno sviluppate ed in
particolare verso il Kossovo, la provincia storicamente più povera della Yugoslavia, con
un reddito pro capite circa dieci volte inferiore a quello della Slovenia, la repubblica
più ricca.
Un fenomeno analogo si verifica nellistruzione pubblica là dove Belgrado-oltre a
ridurre drasticamente le spese per libri, edifici scolastici e attrezzature didattiche-
impone leliminazione di ogni contenuto albanese dalla didattica . Una decisione,
questa, che ha avuto sicuramente un effetto esplosivo nella spinta albanese verso
lindipendenza.
La reazione dei kossovari albanesi alla svolta autoritaria di Belgrado
Questo fenomeno, unico nella recente storia europea per la sua estensione e la sua
radicalità, rappresenta un fattore chiave per capire il salto culturale e politico che
esprime la società civile in Kossovo nellultimo decennio del millennio. Si è
parlato molto - nei media e nei tanti libri dedicati al Kossovo - della guerriglia
albanese in Kossovo (la nascita e la successiva crescita dellUCK). Meno noto invece
è il fenomeno della reazione politica di massa alla discriminazione serba.
I kossovari albanesi, colpiti ed umiliati dalla svolta politica a Belgrado, hanno reagito
dando vita ad una capillare rete autogestita (fondamentale è stato fin dallinizio
il contributo finanziario dei circa 400 mila kossovari che lavorano allestero) di
organizzazioni politiche, sindacali e assistenziali. Tra queste, in particolare,la
Fondazione Madre Teresa che ha assistito in modo davvero esemplare larghe fascie della
popolazione colpite dalla social esclusion. Cè un dato, a questo proposito,
che parla da solo. Nel settembre 1999 (secondo la Banca Mondiale) tra le 800 e le 900 mila
persone (circa il 50% della popolazione kossovara) riceveva una qualche assistenza dalla
Mother Theresa Foundation.
Osservando il fenomeno nello specifico emergono alcuni dati quanto mai eloquenti. Lo
sviluppo di un sistema di assistenza sanitaria autofinaziato dagli albanesi del Kossovo,
ad esempio, il quale ha non solo distribuito medicinali e organizzato forme di primo
intervento e di controllo medico ma ha perfino provveduto alla formazione professionale di
centinaia di medici ed infermieri al di fuori del sistema scolastico e sanitario
ufficiale.
Questi lavoratori sanitari, finita la guerra - dopo aver lavorato per anni come volontari
ricevendo modesti stipendi finanziati da raccolte locali e da fondi provenienti dai
kossovari espatriati - sono entrati nelle strutture sanitarie pubbliche e hanno preteso il
riconoscimento dei loro titoli di studio e la garanzia di un lavoro stabile.
Una dinamica analoga si è avuta nel settore dellistruzione. La reazione dei
kossovari-albanesi alla nuova politica scolastica di Belgrado è davvero impressionante.
La maggior parte degli studenti abbandona le scuole pubbliche e si affida ad un sistema
parallelo dellistruzione, anchesso auto-finanziato (maestri e professori
ricevono un modesto stipendio) che arriva fino a coprire il 10-20% dei costi del vecchio
sistema statale, e che usa vecchi edifici abbandonati oppure abitazioni private.
Di grande interesse, a questo riguardo, il ruolo svolto dal sindacato degli insegnanti e
professori di etnia albanese il quale, nato al di fuori del sindacato ufficiale
allinizio degli anni Novanta, provvede a gestire le scuole sul piano
logistico-amministrativo e a garantire una complessa e diffusa rete di solidarietà nei
riguardi delle famiglie dei tanti docenti espulsi dalle scuole ufficiali.
Cè infine un altro fenomeno, anchesso tipico della cultura radicata nella
popolazione albanese-kossovara, che è sicuramente fondamentale per capire il fenomeno
della protesta e della resistenza alla social exclusion imposta dalle autorità
serbe. Si tratta del collante che lega in modo profondo i nuclei familiari di etnia
albanese. Il membro della familia con lo stipendio più alto, spesso un lavoratore
espatriato, ha il dovere morale (qui cè probabilmente una forte influenza della
tradizione musulmana) di farsi carico non solo della moglie e dei figli ma anche degli
altri membri del nucleo familiare che hanno bisogno di assistenza. E proprio questo
tipo di famiglia allargata e coesa , ad esempio, che impedisce labbandono degli
anziani i quali, nella stragrande maggioranza dei casi, vengono comunque tenuti in casa e
mantenuti da figli e nipoti.
Si spiega così che non ci siano in Kossovo, salvo rarissimi casi, anziani che chiedono
lelemosina. Così come non ci sono prostitute kossovare di etnia albanese malgrado
la presenza di migliaia di militari e di funzionari internazionali. Altro fenomeno,
questo, di grande interesse sociale e politico che pure è stato solo raramente notato dai
media internazionali (lopinione pubblica straniera spesso pensa che Pristina, la
capitale del Kossovo, sia diventata una specie di nuova Saigon).
In una società in cui lo Stato è stato per secoli (prima con la dominazione turca,
successivamente con quella serba) vissuto come una entità estranea ed ostile, la società
albanese (non solo in Kossovo ma anche in Albania e nelle zone di etnia albanese in
Montenegro e Macedonia) si è organizzata per clan e per famiglie, con vincoli interni di
solidarietà e di fedeltà estremamente radicati .
Siamo qui di fronte ad un fenomeno che fa degli albanesi nei Balcani un gruppo etnico dai
tratti culturali originali e in ogni caso profondamente diversi da quello delle
popolazioni di origine slavo-ortodossa. Una realtà socio-culturale che semmai ricorda per
molti aspetti alcune regioni italiane come la Calabria e la Sicilia nelle quali la
società si è analogamente organizzata al di fuori e spesso contro lo Stato ufficiale. In
questa società i vincoli familiari e di clan, sono diventati storicamente centrali dando
vita non solo a forme di solidarietà positiva ma anche a degenerazioni delittuose come
quella della Mafia siciliana.
Sarebbe molto interessante tentare, ma non è questo il compito di questo articolo, uno
studio comparativo tra la struttura sociale e culturale di certe zone italiane del Sud e
quella tuttora dominante (purtroppo anche sul piano dellorganizzazione criminale) in
alcune zone dei Balcani. Mi limito in questa sede a questo accenno per sottolineare la
complessità sociale che ha trovato davanti a sè la comunità internazionale
quando,-attraverso lUNMIK e la KFOR - ha deciso di intervenire per riportare e
garantire la sicurezza e la democrazia nel Kossovo.
Volendo quindi riassumere lesperienza sociale vissuta dalla maggioranza di etnia
albanese in Kossovo nel decennio che precede i bombardamenti Nato, si può in definitiva
parlare di una protesta collettiva che si è trasformata in autogestione dal basso. Questa
esperienza, vissuta in alternativa al potere serbo, ha contribuito in modo forse decisivo
a diffondere nella società civile a livello di massa la coscienza della propria identità
etnica e culturale.
E proprio in questi anni che lidea della indipendenza come obiettivo storico
finalmente a portata di mano si afferma nella coscienza collettiva dei kossovari di etnia
albanese. In questo quadro si colloca la scelta del referendum, deciso e realizzato al di
fuori della legge, che vede negli anni novanta il trionfo plebiscitario dei fautori
dellindipendenza e il grande successo personale del moderato e pacifista Rugova. Ed
è ancora in questo contesto che si spiega lesplodere del terrorismo antiserbo.

Terrorismo che, da un certo momento in poi, si trasforma, con la
crescita dellUCK, in vera e propria guerriglia, sostenuta certamente da alcuni paesi
occidentali (Stati Uniti e Gran Bretagna in primo luogo) ma comunque appoggiata da larghi
settori della popolazione (nelle città e nelle campagne) e foraggiata dai kossovari di
etnia albanese che lavorano allestero.
Dopo la guerra
Quando lUNMIK, nellestate del 1999, assume in prima persona la gestione della
amministrazione pubblica a tutti i livelli (dal governo centrale ai Consigli municipali),
si trova a dover guidare il difficile e inedito compito di governare, nel cuore
dEuropa, una popolazione con grandi aspettative sia sul piano politico che su quello
economico-sociale. Sul piano politico i kossovari di etnia albanese sono convinti, a
grandissima maggioranza, che la « tutela » delle Nazioni Unite sia una tappa necessaria
ma comunque transitoria verso lindipendenza.
Grati ai paesi occidentali e soprattutto agli Stati Uniti che considerano i veri artefici
dellintervento militare, intuiscono a livello di massa che, al di là del
radicalismo verbale che spesso accompagna i discorsi dei leader politici, è storicamente
necessario saper attendere con pazienza lo sviluppo degli avvenimenti. Sul piano economico
e sociale, viceversa, emergono due modi, profondamente diversi, di concepire la svolta
radicale provocata dalla guerra e quindi due diversi tipi di atteggiamento nei riguardi
delle scelte dell'UNMIK .
Il mito del "come eravamo prima del 1990"
.
Una componente importante della società kossovara si aspetta, dopo la guerra , non
soltanto la fine delle pratiche discriminatorie praticate dalle autorità serbe e
legittimate dalla nuova Costituzione del 1990, ma anche il ripristino della situazione
socio-economica precedente al fatidico 1989. I lavoratori albanesi espulsi
dallapparato produttivo nei primi anni novanta chiedono dunque di rioccupare i
vecchi posti di lavoro e pretendono il rispetto dei tradizionali diritti sindacali. Si
tratta di una massa importante di cittadini di età superiore ai quaranta e spesso ai
Cinquanta anni che spera dunque che larrivo delle Nazioni Unite rappresenti la
possibilità di ritornare a quel sistema di regole e garanzie che la vecchia Yugoslavia di
Tito, nel suo periodo migliore, aveva costruito garantendolo non solo alla popolazione
serba, ma anche alle minoranze etniche e alle regioni meno sviluppate.
Questa generazione esprime, come in altre parti dellEuropa dellEst, la
nostalgia del vecchio Stato Sociale del periodo socialista che comunque, per alcuni
decenni, aveva garantito alla maggioranza della popolazione, anche se a livello minimo,
sicurezza sociale (pensioni, indennità di disoccupazione e altre forme di protezione
sociale) ma anche lavoro, istruzione, assistenza sanitaria. La nostalgia del passato, che
in ogni caso non è ideologica (in quanto il "potere comunista" viene in ogni
caso identificato con il "potere serbo", il che spiega tra laltro perchè
in Kossovo non esista, almeno per il momento, un partito post-comunista), è il riflesso
di una profonda insicurezza e diffidenza nei riguardi di quella transizione da una
economia statalista ad una economia di mercato che ha caratterizzato e tuttora per molti
aspetti caratterizza in modo traumatico la vicenda politico-sociale dei paesi ex comunisti
dellEuropa Centro-Orientale.
Emblematica è la situazione del complesso Trepca, il più grande gruppo
minerario-industriale del Kossovo le cui strutture impiantistiche, in gran parte ancora
quelle degli anni Sessanta, si sono degradate negli anni Novanta fino al punto di
diventare in gran parte inutilizzabili. Tuttavia allUNMIK mancano i mezzi finanziari
per mettere in moto un processo di riconversione e ammodernamento degli impianti. Sulla
situazione e sulle prospettive del gruppo Trepca viene realizzato uno studio, affidato ad
un consorzio internazionali di imprese di ingegneria, che in realtà resta privo di
conclusioni operative.
Gli esperti capiscono subito che di quel elefentiaco complesso ben poco si può ormai
salvare. Daltra parte, limpossibilità di avviare la privatizzazione nel
quadro politico-giuridico della Risoluzione Onu 1244 paralizza qualsiasi iniziativa. Ai
lavoratori di Trepca viene tuttavia conferito un salario, certo non adeguato a garantire
una sopravvivenza sicura ma in ogni caso di grande valore simbolico perchè viene
interpretato dai lavoratori come il segno di una possibile ripresa della produzione e come
una salvaguardia dei livelli di occupazione.
Riconversione, riduzione degli organici, taglio di interi settori produttivi non più
competitivi rappresentano comunque una pericolosa minaccia per una generazione di
lavoratori che spera invece di tornare a vecchi tempi. A questa generazione, daltra
parte, appartengono numerosi quadri sindacali che stentano culturalmente ad adattarsi ad
una visione e ad una pratica delle relazioni industriali di tipo occidentale
(contrattazione collettiva, partecipazione negoziale ai processi di ristrutturazione e di
privatizzazione,..) opponendo una forte resistenza ai mutamenti resi ormai non più
rinviabili dalla nuova collocazione del Kossovo nello scenario internazionale. Un fenomeno
tipico di resistenza di fronte al nuovo, vissuto come una minaccia alla propria
sopravvivenza economica ed occcupazionale, che conoscono bene i dirigenti delle
organizzazioni sindacali internazionali impegnate ad aiutare i sindacati kossovari sul
piano organizzativo e politico in questa fase difficile della transizione.
Il mito delloccidente
Laltra faccia della medaglia, è rappresentata dai kossovari che non hanno vissuto,
per ragioni anagrafiche, il regime yugoslavo ante 1990 e quindi non sono in grado di
rimpiangere tradizionali pratiche economiche e politiche. Parliamo qui di una massa
decisamente maggioritaria della popolazione, ovvero dei cittadini i quali, alla fine degli
anni Ottanta, non avevano ancora venti anni. Un calcolo preciso non è stato ancora fatto
ma probabilmente si tratta di circa il 70% della attuale popolazione della quale i giovani
con meno di 25 anni , rappresentano, da soli, più del 50%.
Il problema numero uno per questi kossovari è il livello drammatico della disoccupazione,
probabilmente assai vicino al 50% (stime parziali poichè non è stato ancora realizzato
uno studio sistematico sul mercato del lavoro in Kossovo), più alto nelle campagne che
nelle città. Una situazione oggettivamente tra le più gravi in Europa. I giovani
albanesi del Kossovo, tuttavia, sono probabilmente i più inclini, rispetto ad altri paesi
dellEuropa centro-orientale in transizione, ad accettare le nuove regole del mercato
e i valori dominanti delloccidente.
Detto altrimenti siamo di fronte ad un atteggiamento non passivo di fronte alle
"novità" e alle "incertezze" della modernizzazione capitalistica che
senza dubbio favorisce e rende meno traumatico, a livello psicologico, il processo di
transizione. Tocchiamo qui con mano gli effetti "positivi" che sono tipici di
quella accelerazione verso la modernità che spesso accompagna eventi traumatici come i
conflitti civili e militari. La guerra contro il "nemico serbo" ha in effetti
avvicinato i kossovari albanesi ai simboli e ai valori occidentali, fino al punto che il
filo-americanismo è in Kossovo dominante, specie nelle giovani generazioni.
Gli albanesi kossovari hanno visto nelle truppe Nato, e in primo luogo negli americani, la
forza che è stata in grado di "cacciare i serbi" e di garantire ad una
popolazione umiliata sul piano etnico,sociale ed economico, quella sicurezza, quella
protezione che non aveva mai avuto, salvo forse durante lepoca di Tito. Chi ha visto
le immagini della giornata nazionale di protesta organizzata dai sindacati albanesi in
Kossovo il 27 febbraio del 2001, è sicuramente rimasto colpito dalla significativa
presenza di bandiere americane nella manifestazione. Una manifestazione che pure era di
aperta critica nei riguardi dellAmministrazione UNMIK perché intendeva richiamare
lattenzione del Protettorato Onu sullesigenza di approvare una Legge sul
Lavoro coerente con i Principi Fondamentali della OIL
(Organizzazione Internazionale del Lavoro) e simile a quelle adottate in gran parte dei
paesi occidentali .Un dato davvero emblematico che dimostra come gli americani siano visti
dagli albanesi del Kossovo non solo come i più fidati tra gli amici occidentali, ma anche
come il riferimento più forte di una nuova visione del mondo. Un fenomeno, questo, che
richiederebbe ben altro approfondimento di quanto si intende fare in queste pagine e che
sorprende non solo per la sua "radicalità" e la sua "singolarità" ma
anche e forse soprattutto perchè questo dato si manifesta in una società culturalmente
condizionata dalla religione islamica anche se la pratica religiosa è diventata da molto
tempo (uno degli effetti della modernizzazione voluta da Tito) un fenomeno evidente
soltanto tra gli anziani.
Un dato politico è comunque certo: in Kossovo non pare che ci sia spazio, almeno per il
momento, per quei fenomeni di fondamentalismo islamico che stanno da tempo scuotendo
numerosi paesi musulmani e suscitando tanta apprensione ed inquietanti interrogativi,
specie dopo i terribili attentati terroristici negli Stati Uniti e linizio dei
bombardamenti sullAfghanistan-nel mondo occidentale. Detto in altre parole: il
radicalismo kossovaro-albanese esiste tra i giovani ed è anche molto diffuso, ma si
manifesta secondo logiche e tendenze del tutto opposte al radicalismo musulmano più
estremo come quello, tanto per citare un caso oggi evidente agli occhi del mondo,
anchesso emblematico dei talibani in Afghanistan.
La transizione al mercato.
Il fatto che un particolare tipo di Welfare, espressione "autogestita" della
società civile, si era in qualche modo dimostrato in grado di rispondere alle istanze
più immediate ed urgenti della popolazione kossovara sul piano scolastico, sanitario
ecc., ha senza dubbio reso meno urgente lavvio delle prime riforme socio- economiche
da parte del governo ONU. A questo va aggiunto un altro dato decisivo: la diffusa presenza
(almeno fino al primo semestre del 2001) di un numero particolarmente vasto di Agenzie ONU
e di altre istituzioni internazionali.
Tra queste lAgenzia Europea per la Ricostruzione del Kossovo, nata per iniziativa
dellUnione Euroepa dopo il conflitto, che ha dato un contributo significativo alla
ricostruzione delle case distrutte dai serbi durante i bombardamenti Nato e alla
realizzazione di opere infrastrutturali di grande importanza per la ripresa economica come
la riabilitazione di strade, ponti, centrali elettriche ecc. Queste organizzazioni hanno
supportato lazione dellUNMIK con notevoli mezzi, soprattutto nel primo anno.
Basti pensare allazione di tante ONG di varia matrice ideologica (cattoliche,
protestanti, musulmane, laiche ecc) le quali hanno potuto gestire, grazie alleffetto
psicologico provocato dalla repressione serba prima e dalla guerra dopo, notevoli
quantità di aiuti materiali e di risorse finanziarie facilitando in questo modo
lazione di assistenza che era stata supportata negli anni novanta da organizzazioni
locali come, in primo luogo, la Fondazione Madre Teresa .
Il Welfare "autogestito", daltra parte, non è certo finito con
larrivo delle "forze di liberazione internazionali". Secondo dati della
Banca Mondiale, ad esempio, ogni cittadino di etnia albanese ha mediamente pagato "di
tasca propria", durante il 2000, circa 100 DM (marchi tedeschi) per le spese di
assistenza medica e farmaceutica. E molto probabile che un fenomeno analogo si stia
verificando anche durante il 2001. Si tratta evidentemente di una cifra certo assai
modesta se confrontata con gli standard occidentali, ma che tuttavia acquista ben altro
valore se si pensa che questa spesa ha rappresentato il doppio del budget sanitario
previsto dallUNMIK per lo stesso anno (calcoli della Banca Mondiale).
A questo fattore va senzaltro aggiunta, durante tutto il 2000 e in parte nel 2001,
lazione di decine di ONG (un fenomeno forse mai raggiunto in altri paesi) che hanno
fornito servizi sanitari ai settori più marginali e vulnerabili della società kossovara.
Per non parlare del lavoro di ricostruzione delle abitazioni, tuttora in corso in molte
zone, che è stato sostenuto e finanziato dalle più diverse organizzazioni umanitarie.
Basti pensare che solo la cattolica Caritas ha aiutato, con mezzi materiali e con
lassistenza tecnica, a ricostruire centinaia di case nelle zone più colpite dalla
violenza serba durante il conflitto.
Tutto ciò ha permesso allUNMIK di rinviare le scelte più difficili relative al
nuovo Welfare per il Kossovo per altro suggerite della Banca Mondiale secondo il modello
della sostenibilità fiscale applicato alle altre realtà dellEuropa
Centro-Orientale uscite dal comunismo . Solo ora lUNMIK, alla vigilia delle elezioni
legislative di novembre, ha approvato o si appresta ad approvare importanti regolamenti
destinati a condizionare le condizioni di vita dei lavoratori e della popolazione
kossovara in genere. Tra queste la Legge del Lavoro e la nuova struttura del sistema
pensionistico, che dovrebbero fare da riferimento alle future scelte sociali ed economiche
del governo kossovaro che uscirà dalle elezioni generali del prossimo novembre.
Si tratta di scelte che hanno suscitato e continuano a suscitare forti polemiche. La
recente approvazione della Legge sul Lavoro (Labour Law), ad esempio, è stata preceduta
ad un faticoso dibattito durato circa un anno e mezzo che ha messo in evidenza le profonde
incertezze del governo UNMIK di fronte alla necessità di delineare un quadro coerente di
regole (necessarie anche per facilitare lavvio di investimenti internazionali) in un
settore delicato e cruciale come quello delle condizioni di lavoro e delle relazioni
industriali.
Fatto sta che liniziale proposta di Labour Law, elaborata dal Department of Labour
and Employment dellUNMIK con la collaborazione della OIL (Organizzazione
Internazionale del Lavoro) è stata progressivamente svuotata di contenuti provocando
malumori e proteste non solo dei sindacati (kossovari e internazionali) ma perfino una
lettera di Collin Powel, Capo del Dipartimento di Stato Usa, il quale, dopo la giornata di
protesta del 27 febbraio 2001, ha chiesto allOnu di approvare una proposta di legge
coerente con i Principi generali della OIL. Si è così verificato un paradosso davvero
nuovo sul piano internazionale : la nuova Amministrazione repubblicana di Bush ha espresso
sul piano sindacale in Kossovo posizioni più esplicite di quanto abbiano fatto, ad
esempio, i governi europei, compresi quelli socialdemocratici.
Per certi aspetti simile, è stata la vicenda, tuttora non conclusa nel momento in cui
scrivo queste note, relativa alla riforma del sistema pensionistico. Anche qui
lUNMIK ha preferito rimandare scelte certo non facili. Fatto sta che da ormai due
anni in Kossovo lo Stato (daltra parte lUNMIK non dispone delle risorse
finanziarie per coprire questa voce di spesa) non paga più pensioni né altre forme di
Protezione Sociale (esclusi piccoli alle persone più vulnerabili finanziati dai donors
internazionali e amministrati dallo stesso Unmik).
Proprio nel momento in cui scrivo queste note si confrontano in Kossovo due ipotesi di
riforma pensionistica : quella, sostenuta dallOIL, di un sistema pensionistico
interamente publico finanziato dai contributi dei lavoratori e degli imprenditori e nei
primi anni anche dallo Stato; quello, coerente con la strategia della Banca Mondiale, di
un modello misto privato-pubblico, finanziato in parte dalle entrate generali dello stato
e dei donors (che dovrebbe garantire una sorta di pensione minima a tutti) ed in parte
dalla contribuzione obbligatoria dei lavoratori e degli imprenditori ai fondi pensione.
Una formula, questa, la cui applicazione appare in verità assai difficile da immaginare
nella realtà sociale e finanziaria del Kossovo oggi.
La pace sociale
La situazione sopra descritta non si è ancora espressa in forme esplicite di protesta
sociale e di antagonismo politico. I kossovari, al di là dei limiti e dei ritardi che
hanno segnato lazione delle Nazioni Unite sul piano economico e sociale, si sono
sentiti in ogni caso protetti e garantiti dalla solidarietà internazionale e dal lavoro
più generale compiuto in tanti campi dallUnmik.
Quando parlo di protesta sociale mi riferisco in particolare a due dati emblematici sopra
ricordati:
- il fenomeno dellelevata disoccupazione giovanile, che caratterizza in generale le
società in transizione alla economia di mercato ma che nella società kossovara,
soprattutto a causa dellalto tasso di crescita demografica, rappresenta un dato
drammatico. In mancanza di investimenti interni ed intternazionali, per il momento non
prevedibili, questa situazione è destinata a restare critica e potrebbe ulteriormente
aggravarsi se, come già sta avvenendo, gli aiuti internazionali al Kossovo tenderanno
progressivamente a calare.
Quello che appare certo è che la diffusione del self-employment e delle piccole
imprese - favorita e stimolata da diverse organizzazioni internazionali come la Banca
Mondiale l ILO, lAgenzia Europea per la Ricostruzione del Kossovo e la stessa
Unmik attraverso programmi di assistenza tecnica e crediti agevolati - non può certo
risolvere un fenomeno così ampio e profondo come quello di una generazione priva di
sbocchi professionali e in gran parte impreparata per le qualifiche richieste dal mercato.
- il crollo inevitabile, per ora solo rinviato, dei livelli occupazionali nei settori
tradizionali delle miniere e dellindotto industriale provocata dalla crisi del
settore e dallinvecchiamento degli impianti ,così come la riduzione degli organici
nella Pubblica Amministrazione e nei Servizi pubblici (energia elettrica, trasporti
pubblici) avviata dallUNMIK, pur con grande moderazione, per ragioni di bilancio.
Sorge qui una domanda di fondo. Perché questi due fenomeni, che hanno colpito e
colpiscono sia i giovani, sia i lavoratori adulti, non è precipitata in forme di protesta
corposa e di massa? Perché, ancora, il ritardo nella ricostituzione di un Welfare statale
non ha suscitato reazioni apertamente negative da parte degli strati sociali più colpiti
dalla disoccupazione e dalla carenza di servizi sociali?
La risposta a questi quesiti può aiutare a capire molte cose dellattuale situazione
in Kossovo ed, anche, a tentare un primo bilancio dellazione di governo delle
Nazioni Unite, per la prima volta nella storia euroepa, in una regione particolarmente
delicata e in ogni caso traumatizzata dagli avvenimenti drammatici dellultimo
decennio del millennio.
In modo molto sommario si avanzano qui alcune ipotesi ed alcune spiegazioni :
- I kossovari hanno saputo sfruttare al massimo sia gli aiuti internazionali sia le
rimesse, non si conoscono le cifre ma sicuramente sono stati molto importanti, dei loro
parenti allestero. Quella rete di solidarietà collettiva di cui si è prima parlato
ha permesso, alimentata dai finanziamenti internazionali, di spostare in avanti decisioni,
comunque difficili, sul modello di Stato Sociale da adottare in Kossovo. Paradossalmente
è stato proprio il fatto che già nel 1990 era saltato il sistema di protezione sociale
della vecchia Yugoslavia, ad impedire che la nostalgia per "come eravamo prima del
1989" sia esplosa in modo clamoroso sul piano politico. Ciò naturalmente è stato
anche facilitato dalla composizione anagrafica della società kossovara , probabilmente la
più giovane in Europa.
- La stragrande maggioranza della popolazione kossovara di etnia albanese ha capito e
valorizzato levento « straordinario » dell intervento prima militare e poi
militare-civile della comunità internazionale attraverso le Nazioni Unite e la KFOR.
Tutto il resto, e quindi anche i limiti, della gestione governativa UNMIK (il punto vero
è che le Nazioni Unite non si erano mai prima misurate con una esperienza di governo), è
passato in secondo piano. Alcuni prevedevano, a questo proposito, che la luna di miele tra
gli albanesi del Kossovo e lUNMIK sarebbe finita o si sarebbe comunque sfilacciata
con il crollo del regime di Milosevic e con il progressivo riavvicinamento di Belgrado al
mondo occidentale (Usa, Unione Europea, Nato).
E invece ciò non è avvenuto, o meglio non è ancora avvenuto malgrado il calo degli
aiuti internazionali, per altro inevitabile, e il malumore dei settori più radicali del
nazionalismo kossovaro-albanese. La maggioranza della popolazione ha vissuto la grave
situazione economica e sociale come un dato di secondo piano rispetto al grande sforzo
compiuto dalla comunità internazionale ed in particolare dalle Nazioni Unite nella
ricostruzione democratica del Kossovo
- Nellottobre del 2000 si sono tenute le prime elezioni municipali libere nella
storia, e fatto ancor più significativo, nel novembre del 2001 si terranno le prime
elezioni legislative libere. L UNMIK lascerà il posto ad un governo interamente
kossovaro, anche se sottoposto al controllo dellONU. Questi due avvenimenti
politici, voluti dalle Nazioni Unite, hanno certamente contribuito ad alimentare
lopinione che i principali paesi occidentali stiano remando , pur senza dirlo
apertamente, a favore dellindipendenza del Kossovo. Il fatto che la nuova
Costituzione , approvata dallUNMIK e dai principali partiti kossovari albanesi, non
proponga come era stato auspicato da questi stessi partiti, il referendun postelettorale
sullindipendenza, non ha interrotto la luna di miele con lONU.
- Sicuramente decisiva, è stata la presenza della KFOR (le truppe internazionali
costituite non solo dai paesi della Nato ma anche da altri paesi come la
"filo-serba" Russia) e soprattutto il fatto che questa presenza è rimasta la
stessa anche dopo la fine dellembargo e lavvio di importanti aiuti
internazionali alla Yugoslavia. La KFOR ha rappresentato fin dal primo momento, la vera
"garanzia" dellappoggio internazionale e specie occidentale alla
popolazione di etnia albanese. Un appoggio che gli albanesi del Kossovo vivono come un
fatto decisivo, nella convinzione, diffusa ed estremamente radicata nel "senso
comune" della gente, che i serbi, anche senza Milosevic, "sono sempre gli
stessi" e che quindi solo con la presenza militare internazionale in Kossovo sia
possibile scongiurare la minaccia serba.
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