Shostakovic e il Concerto per violino
Francesco Roat
Shostakovic, Ysaye, Concerti per violino N° 1 e 2, Amitié, David e
Igor Oistrach, Orchestre e Direttori vari, BBC/ 4060-2, Distr. Sound
and Music
URSS, 1947. Il timore delle purghe staliniane angustia anche i
musicisti russi, tiranneggiati dall’epuratore di regime Zdanov,
per il quale è esecrabile artificio borghese tutto quanto non
rientra nello stucchevole repertorio retorico/celebrativo all’insegna
di un melodismo romantico alquanto melodrammatico quasi sempre in
bilico tra il folklore popolar-socialista e l’epicità da fanfara.
Dagli strali dell’inquisitore deve guardarsi pure Shostakovic
(quantunque insignito nel 1946 del prestigioso Ordine di Lenin) che
in quell’anno prende a lavorare al suo primo Concerto per violino.
Ma non è certo un periodo favorevole per lavori di un intimismo
astratto così sofferto e straniante, come appunto quello espresso
in tale composizione orchestrale o in altre più o meno coeve (ad
esempio il Quartetto per archi N°4 e il Ciclo ebraico).

Perché il concerto possa uscire allo scoperto occorrerà attendere
il 1955. Nel frattempo il dittatore georgiano è venuto meno e anche
l’astro di Zdanov ha cessato di essere il centro intorno al quale
per così tanto tempo aveva ruotato l’intero mondo musicale
sovietico. Sull’autocensura alla quale Shostakovic si sottopose
(benché malvolentieri) - accettando di congelare in attesa di tempi
migliori le composizioni di cui si diceva -, solo un accenno, per
quanto amaro, da parte dello stesso musicista è riscontrabile nella
sua autobiografia, dove possiamo leggere che: “Nessuna di queste
opere poté essere eseguita allora. Bisognò aspettare la morte di
Stalin. Ancora non riesco a rassegnarmici. La Quarta sinfonia è
stata eseguita ben ventiquattro anni dopo che l’avevo composta”.
Ma torniamo al Concerto per violino che, dopo gli anni di
ibernazione, fu eseguito per la prima volta da David Oistrach, al
quale si debbono suggerimenti tecnici sul fraseggio violinistico,
accolti positivamente da un Shostakovic ben lieto di assecondare il
più celebre violinista della Scuola sovietica. E giusto di Oistrach
è la straordinaria interpretazione del primo e del secondo Concerto
per violino (rispettivamente si tratta di due pezzi registrati dal
vivo, l’uno nel 1968, con la Philarmonia Orchestra, sotto la
direzione di Gennady Rozhdestvensky, l’altro nel 1962, con l’Orchestra
sinfonica di Stato dell’URSS, sotto la direzione di Evgeny
Svetlanov) riproposti agli appassionati del grande esecutore russo
in un recente CD della BBC.

Scandito il quattro tempi, il primo Concerto si apre con uno
splendido Notturno in cui all’introduzione cupa e mesta dell’orchestra
subito risponde il violino con una melodia struggente e tersa - resa
con limpidezza e bravura esemplari da Oistrach - ma che, rigettando
la tradizionale vocazione solistica di stampo romantico, Shostakovic
evita di esaltare narcisisticamente a scapito del coro strumentale.
Segue uno Scherzo assai elegante in cui è sin troppo palese il
riferimento alla Decima Sinfonia.
Quindi una Passacaglia nella quale il violino, rubato il tema, nella
cadenza finale compie un liristicheggiante a solo d’intensa
cantabilità. Infine l’ultimo movimento - che ancora una volta
rimanda alla Decima - una Burlesca introdotta da un violino fattosi
meno malinconico e più vivace, dal timbro squillantemente ardito,
che esplora ora audaci sonorità, ora battute popolaresche lungo un
vero e proprio pezzo di bravura, che Oistrach esegue magistralmente.
Meno noto del primo Concerto, il secondo vede il violino in
posizione privilegiata rispetto all’orchestra senza trombe e
tromboni, che lo asseconda lungo tre movimenti dal tono affranto ed
elegiaco. Cuore dell’opera è l’Adagio centrale, in cui la voce
solista dialoga mestamente col sottofondo orchestrale, in uno
scambio di battute dai toni cupi; per giungere ad un Allegro finale
che, come sottolinea David Nice nel libretto (peccato però che esso
non sia stato tradotto in italiano), “non ha nulla dell’ambiguo
trionfalismo del suo predecessore”.
Il CD termina quindi con un’opera artisticamente di minore
pregnanza: Amitié, breve poema per due violini di Eugène Ysaye, in
cui al “re David” si affianca il figlio Igor, che dialoga col
padre con la consueta raffinata maestria; come rimarca l’applauso
caloroso del pubblico con il quale la registrazione si chiude.
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