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A Bologna la censura della memoria
Giancarlo Bosetti
E’
un punto di arrivo di riflessioni che devono essere state laboriose,
e non senza intimi contrasti, quello a cui è approdata la
maggioranza di centrodestra del Consiglio comunale di Bologna (dieci
voti contro nove in una seduta che non doveva essere di quelle più
affollate) se si è spinta a dare un contributo di respiro, diciamo
così, storico alla fame di verità intorno alla strage di Bologna
del 2 agosto 1980, quella in cui morirono 86 persone e 200 ne
rimasero ferite.
L’apporto consiste nell’invito rivolto a famigliari e parenti
delle vittime a “prendere in considerazione l’eventualità di
abolire la parola ‘fascista’ sulla lapide della stazione”. Il
sindaco Giorgio Guazzaloca non era presente ma deve avere avuto
qualche parte della faccenda. Forse il suo ruolo è consistito nel
mitigare la pretesa affacciata da tempo da Alleanza nazionale di
dichiarare d’ufficio infondata la pista nera e nel diplomatizzarla
invitando le famiglie a “pensarci su”.
Il sindaco deve avere pensato che il momento di distrazione indotto
dalle imprese di Bin Laden e dallo scenario di guerra si presentava
come favorevole a questo rugginoso regolamento di conti storici
invocato alla sua destra. Finora non se l’era sentita. Nell’annuale
appuntamento davanti alla stazione per l’anniversario si era
limitato a invocare giustizia “come tutti i bolognesi” ma gli
era capitato anche di prendersela contro i benefici di legge
accordati ad alcuni dei riconosciuti responsabili dell’attentato,
che sono, come si sa, figure del terrorismo di destra.
Difficile certo sostenere che il mantenere su quella lapide la
parola “fascista” appaghi il bisogno di verità dei famigliari
dei morti e di tutti noi italiani umiliati da anni di depistaggi e
controdepistaggi intorno a questa e altre stragi (da piazza Fontana
a Ustica, che accadde, per inciso, solo un mese prima di Bologna e
che forse è a Bologna collegata da misteriosi fili). Tuttavia
togliere quella parola equivarrebbe a cancellare quel poco, molto
poco, che la magistratura è riuscita a decifrare di quella trista
impresa, dei suoi scopi, degli obbiettivi di comunicazione, di quel
che qualcuno voleva dire a qualcun altro con il linguaggio fragoroso
della morte di massa.
Di sicuro la riconoscibile e riconosciuta matrice di destra dell’attentato,
fino alle ultime sentenze e condanne minori per personaggi di destra
di contorno pronunciate nel giugno del 2000, non soddisfa né il
desiderio di giustizia né quello di verità di chi non sia proprio
accecato da spiriti di fazione. Sapere che alcuni dei killer, come
Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, che altri protagonisti e altri
interpreti secondari, di questa impresa appartenessero al terrorismo
di destra ci dice probabilmente meno di quello che non ci dica, sull’altro
versante, il sapere che le Brigate Rosse erano di sinistra.
Ma cancellare questa parzialissima conoscenza dei fatti ha soltanto
la conseguenza di offendere animi feriti, di insultare un’altra
parte politica, di esporci allo spettacolo di una suprema banalità:
quella del tifoso che non conosce altro modo di celebrare se stesso
che non sia il gesto osceno rivolto agli avversari.
Le imprese di questa maggioranza - quella che amministra Bologna -
sono il frutto delle lacune di chi non ha saputo impedirle di
vincere le elezioni due anni fa, nonostante il discreto e storico
vantaggio di voti da cui partiva. E’ una legge inesorabile, questa
sì, della democrazia. Ma non è detto che le proporzioni siano
sempre aritmeticamente perfette. Può anche accadere, a Bologna come
ovunque, che le cantonate, gli sfondoni, di chi governa siano
peggiori dei peggiori demeriti di chi ha perso le elezioni. E’
già accaduto e ancora accadrà.
Se possiamo permetterci una raccomandazione: il sindaco di Bologna
“prenda in considerazione la eventualità” di ritirare la
mozione. In subordine suggeriamo all’Associazione dei famigliari
delle vittime di cancellare oltre alla parola “fascista” anche
la parola “strage”, sostituendola con uno spazio bianco.
Aggiungendo sotto una dedica: al sindaco Guazzaloca. E di lasciare
tutto così, per sempre.
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