In attesa di sapere dove andare
Alessandro Ovi
Scritto giovedi’ 14 settembre, all’aeroporto di Edmonton,
Canada, durante le 16 ore di attesa del volo per tornare in Europa.
Il tassista della ‘Edmonton Cabs’, la faccia ovale, due spessi
baffi neri, mi fa entrare nella sua Chevrolet. ‘Eccomi; Edmonton
Shopping Mall’, gli dico. E lui:‘Ci vogliono venti minuti e
diciotto dollari; ne vale la pena. E’ il piu’ grande centro
commerciale del mondo. Tutto al coperto; ci sono anche due strade coi
negozi di Parigi, Roma, Londra, una gigantesca piscina con le onde e
la Caravella di Cristoforo Colombo, dove puoi anche sposarti se vuoi.’
Bene, andiamo…Tu , di dove sei?’
Da dove pensi che venga?’
Siria, Turchia..?’.
No, ..no, peggio; Iraq; sono qui da dieci anni. Saddam non mi amava
molto. Eppure, oggi non e’ bello essere venuti da li, non e’
affatto bello.…forse e’ stato lui. … E tu ?’
Italia; sono arrivato ieri, dovevo andare a Los Angeles da Parigi. Ci
hanno fatto atterrare qui dopo l’attacco a New York e Washington’
Europeo! Ho sentito che il Blocco Europeo sara’ con gli Americani
nella guerra; fate bene a stare assieme… ma da voi cose come ieri
non succedono.’
Perche’ dici cosi’?’
Voi il Medio Oriente lo conoscete meglio’
Allora, perche’ sei qui e non da noi?’
In Canada e’ tutto piu’ facile,.. c’e’ piu’ liberta’…
almeno fino ad oggi.’
Blocco Europeo’, lo avevo sentito nominare per la prima volta, la
mattina, alla televisione . Colin Powell lo aveva elencato in testa
alla lista degli alleati da avere al fianco nella ‘guerra’ ai
responsabili delle stragi del giorno prima.
Il giorno prima, il tremendo 11 settembre; mancavano due ore all’atterraggio
a Los Angeles quando il Comandante ci aveva informato che lo spazio
aereo americano era stato chiuso per motivi di sicurezza e che saremmo
atterrati a Edmonton in Canada.
Un po’ di sorpresa , qualche mugugno, ma nessuna preoccupazione a
bordo.
I due vecchietti seduti davanti a me si domandavano come avrebbero
fatto a prendere il volo per Papeete dove dovevano tornare dopo la
vacanza in Europa. Solo a terra, con le prime telefonate dai
cellulari, si era capita la gravita’ di quello che era successo.
Dirottatori suicidi, le due torri del World Trade crollate, colpiti il
Pentagono, la citta’ di Pittsburg, forse la Casa Bianca, almeno
15000 morti.
Nessuna protesta per le due ore di attesa ai controlli di passaporti e
bagagli prima di uscire dall’aeroporto; solo implorazioni, dei
passeggeri che non l’avevano, di usare un telefonino per rassicurare
o chiedere notizie. Ho dato il mio a Maria, Messicana, senza denti che
ha inutilmente cercato di chiamare il figlio a New York.
Ragazzi e ragazze canadesi, molto gentili, portavano bottigliette d’acqua
e pacchetti di biscotti alle persone in fila. Ci dicevano, sottovoce,
di immagini tremende degli aerei che colpivano come missili le due
grandi torri ed esplodevano.
Racconti sussurrati nel silenzio della affollatissima grande sala,
della dogana.
Io ero col mio collega francese Thierry e, una volta fuori, nell’atrio,
avevamo scelto, un po’ a caso, un albergo tra i tanti elencati su
tabelloni attaccati alle pareti. Avevamo scritto i nostri nomi, col
pennarello, di fianco al numero delle camere.

All’albergo, ci siamo trovati con un gruppo di
Giapponesi in fila silenziosi e con alcuni Russi, inconfondibili;
fumavano tutti e avevano pacchi di riviste in cirillico. Erano stati
bloccati nel loro viaggio dal Pacifico.
Siamo stati accolti, con un sorriso quasi ammiccante dalla direttrice,
una magra, anziana signora dall’accento francese, con tutti i
capelli bianchi:‘Voi siete i due europei…vero... le vostre camere
sono non fumatori, ma se volete potete fumare sul balcone...’. Era
canadese; nessuna Americana avrebbe mai pensato di dire una cosa cosi’.
Erano le tre del pomeriggio; per me le undici di sera. Una bistecca,
poi in camera dove e’ iniziato il lungo ‘zapping’ tra CNN, ABC,
CNBC, CBS, FOX…con le immagini tremende dell’attacco suicida; cosi’
irreali da sembrare l’effetto speciale di un film.
Commentatori molto bravi a costruire da ogni notizia una storia. Il
migliore, Peter Jennings il ‘monumento’ della ABC, per ore ed ore
sempre li’, pronto per ogni intervista, ogni conferenza stampa, con
una sintesi puntuale, un aspetto umano, un confronto con quanto detto
da altri.
Immagini ripetute, da angoli diversi , con voci di fondo e commenti
diversi ma con il comune crescente senso di una tragedia mai vista
prima in tempo di pace. Ma non eravamo piu’ in tempo di pace.
La parola ‘guerra’, sussurrata all’inizio, e’ venuta
rapidamente fuori come un un urlo.
Il giornale di Edmonton del giorno dopo avrebbe avuto nella pagina
dell’arte un fotomontaggio proprio dell’urlo di Munch, con
lontane, sullo sfondo, le due torri fumanti ed il cielo a stelle e
striscie.
Primi intevistati i grandi ex, Cohen, Scowcroft, Berger, Holbrook, i
soli subito disposti a parlare. Poi i protagonisti di oggi, Powell,
Ashcroft, Rumsfeld, e Bush appena ritornato alla Casa Bianca dopo il
viaggio di sicurezza fino in NebrasKa. Critiche velate a questa
assenza; ma il pericolo era reale, diceva il portavoce; questo l’intelligence’
lo aveva segnalato.
L’accusa di codardia agli attentatori criminali, l’appello all’unita’,
il grazie agli eroi caduti, il sostegno alle loro famiglie.
La ricerca di un consenso degli alleati, il Blocco Europeo in testa ,
per dare risposta al crescente desiderio popolare di azione contro i
terroristi, adeguata alla loro implicita dichiarazione di guerra.
Non solo giustizia o vendetta, ma un intervento capace di cancellare
con la forza il terrorismo, e tutti coloro che lo aiutano, dovunque;
in Afganistan, Pakistan, Iraq, Sudan, Libia, Siria... Ogni volta che
il terrorismo veniva menzionato, ecco le immagini ripetute di Osama
Bin Laden; lui nella sua tenda, lui che spara inginocchiato tra sabbia
e rocce, lui che parla ai suoi.
La soddisfazione di Powell che dice di aver trovato dal Blocco Europeo
totale sostegno subito; non era stato cosi’ nel Kuwait e nei Balcani,
faceva notare Jennings.
Le parole piene di dolore di Peres, il contrasto tra le condoglianze
di Arafat e la gioia sfrenata di donne, uomini e bambini Palestinesi
che sventolano bandiere dell’OLP, alternate alle immagini passate di
folle che bruciano assieme bandiere americane e israeliane. Nelle
grandi capitali mussulmane pero’ non tutti erano addolorati.
La mancanza di segni di solidarieta’ dalla Cina, la difficolta’ di
trovare un contatto con il Presidente del Pakistan.
Le conferenze di Giuliani, severo e commosso per le migliaia di ‘NewYorkers’
schiacciati sotto l’accartocciarsi delle due torri, e per gli amici
che aveva perso, capi della polizia e dei vigili del fuoco. Erano
accorsi sul posto coi loro ‘ragazzi’ e, per evacuare la prima
torre colpita dal Boeing della United, erano rimasti sotto il crollo
della seconda. Anche il Cappellano del Corpo era morto pochi minuti
dopo aver parlato al telefono con lui.
Ogni intervento intervallato dalle immagini dei due grattacieli che
inghiottono gli aerei e sputano enormi palle di fuoco. Sempre piu’
rallentate, sempre piu’ silenziose.
Col passare delle ore il frastuono dei crolli, le grida di errore, si
sono ovattate. L’immagine della gigantesca nube di povere e detriti
che avanza, intreccio di enormi palle grigie, e’ rimasta la sola con
una voce, quella del medico che la riprendeva dalla sua auto arrivata
vicino al crollo…‘Dio mio.. Dio mio.. arriva…spero di non
morire..’ poi il buio e solo il rumore di uno scroscio di detriti.
Si e’ salvato. Lo si e’ rivisto poi intervistato, tutto bianco di
polvere, Pierrot incredulo di cio’ che aveva vissuto.
Ma nessuna immagine di morti o di sangue. Non si sono piu’ visti i
corpi dei disperati che cadevano nel vuoto da quattrocento metri, ne’
i grappoli di persone che sventolavano teli bianchi sporgendosi dalle
finestre piu’ alte. E sarebbero tutti morti. L’orrore era lasciato
solo all’immaginazione.
Mi sono risvegliato nel mezzo della notte di Edmonton; i due
televisori erano sempre li’ a far vedere New York dove stava per
arrivare l’alba, e le capitali Europee gia’ ben alla luce del
giorno. Le borse erano scese di botto gia’ il pomeriggio del giorno
prima, Tokio un disastro, eppure la cosa interessava poco. Giuliani
era sempre li’ adesso in tuta col berretto da baseball. Aveva
aumentato da tremila a seimila il numero dei sacchi per cadaveri.
Le lettighe, a decine in fila vicino alla zona dei crolli, erano
vuote; medici a gruppi erano in attesa di feriti che, secondo uno di
loro, non sarebbero mai emersi da quelle macerie. Si trovavano per ora
piu’ parti di corpi che corpi interi.
Le storie principali cominciavano a delinearsi: la scuola di
pilotaggio in Florida dove due terroristi avevano imparato a volare, i
racconti delle telefonate con il cellulare dagli aerei dirottati, il
Pentagono forse colpito per errore al posto della Casa Bianca; Bush
che invita a non prendersela con i concittadini mussulmani, sua moglie
Laura che dice ai genitori di spiegare bene ai bambini cosa era
successo e di accarezzarli prima del sonno.
La giovane, con la sua bottiglia d’acqua, che , di ospedale in
ospedale, cerca il suo ragazzo che avrebbe dovuto sposare qualche
giorno dopo. Chirac che dichiara solidarieta’ totale, ma non sa bene
a fare che.
Noi aspettavamo sempre di sapere dove saremmo andati.
Quando il pomeriggio ci e’ stato detto che che non saremmo partiti
prima del mattino dopo, ho chiesto che si poteva fare per qualche ora
e mi hanno consigliato il grande Edmonton Mall.
Ero appena arrivato in questo trionfo del ‘kitch’ che il tassista
Iracheno ha letto sul suo computer che l’aeroporto sarebbe stato
riaperto in serata.
Sono subito rientrato in albergo. Falsa speranza.
Un’altra notte di dormiveglia e TV. Su Internet nulla di
interessante; tutto era successo in diretta davanti a tante telecamere
che la rete non poteva aggiungere nulla.
Ci hanno detto di andare in aeroporto la mattina alle nove.
Durante il tragitto ho guardato con piu’ attenzione cosa c’era
attorno.
Quando si dice Canada si pensa a grandi boschi, laghi, fiumi, montagne
rocciose; invece, si vedeva solo una grande autostrada in una pianura
senza fine. Mi sono ricordato che il nome della squadra di Hokey non
era Foglie di Acero, od Orsi Bruni, ma ‘Oilers’, i petrolieri, e
ho capito che qui la natura non era la prima nella lista dei tesori
della citta’.
Per vedere qualcosa di diverso bisogna arrivare alle Rocky Mountains,
quasi trecento chilometri di pianura, tutti uguali; da noi , in
Europa, dopo ogni ora di auto si vede qualcosa di diverso..’ aveva
detto il tassista.
Anche a lui avevo chiesto da dove veniva .
Dalla Polonia; mi chiamo Karol, come il Papa’
Quando sei arrivato qui?’
Quindici anni fa, quando c’era ancora il muro’
Hai avuto problemi a venire a lavorare in Canada?’
No, no,.. allora per noi era facile; ci consideravano dei rifugiati,
un po’ come oggi i Cinesi, i Vietnamiti, gli Arabi e gli Africani.
Adesso siamo Europei e qui non ci vogliono piu’ a meno che non
facciamo un lavoro speciale o abbiamo soldi. Io sono cittadino
Canadese, ma sono restato anche Polacco , perche’ appena posso
voglio tornare in Europa.’
All’aeroporto due ore in coda, per scoprire che la fila non era per
noi ma per un volo della United. Il nostro sarebbe partito quattro ore
dopo.
Ci hanno offerto sedie a sdraio sui marciapiedi al primo sole di due
giorni grigi, poi ci hanno sistemato nel salone di un Motel vicino,
dal nome giapponese, con bibite, panini e dolci su una ventina di
tavoli rotondi.
Di nuovo davanti ai televisori, con il ritrovamento miracoloso di
cinque vigili salvati dalla robusta scocca della loro auto; con Bush
che chiama alla guerra del bene contro il male; non una guerra tra
civilta’, ma della civilta’, di qualunque credo, contro la
barbarie. Nel sito internet aperto per raccogliere informazioni, nella
prima ora erano arrivate decine di migliaia di segnalazioni; l’informazione
diventava una inondazione.
Quando ci hanno detto che non avremmo proseguito per Los Angeles, ma
saremmo tornati a Parigi, solo Thierry ed io eravamo contenti. Tutti
gli altri no, ma neppure una parola di protesta. Maria mi ha richiesto
il telefonino e questa volta ha parlato con qualcuno a Tijuana; non
sapeva quando sarebbe tornata ed era senza soldi per stare a Parigi ad
aspettare.
Siamo partiti alle due di notte. Davanti a me, come all’andata, i
due vecchietti del Pacifico mi hanno detto che questa volta, dall’Europa
sarebbero tornati a Papeete via Tokio.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da
fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |