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Dannosa l'arroganza di Tabucchi



Corrado Ocone



Nei caldi giorni di agosto si è svolto, sulle pagine interne del Corriere della sera, un botta e risposta degno di attenzione fra Antonio Tabucchi e Mario Andrea Rigoni, autorevoli firme del quotidiano milanese. Sia Tabucchi sia Rigoni si sono rivolti al Presidente della Repubblica Ciampi: il primo per chiedergli, in una accorata e indignata “lettera aperta”, di concedere la grazia ad Adriano Sofri; il secondo per contestare i toni e gli argomenti usati dall’autore di Sostiene Pereira per perorare un provvedimento che comunque anch’egli auspica.

L’appello di Tabucchi, uscito il 17 agosto, gronda, come si è detto, indignazione. Ed è perentorio nell’affermare che “la condanna di Sofri, Bompressi e Pietrostefani è scandalosa” e, “anzi, è ripugnante”. Ciò risulterebbe chiaro, sempre secondo Tabucchi, sia dalle carte processuali, sia soprattutto da quanto emerge da “un libro di un illustre studioso (Carlo Ginzburg, Il giudice e lo storico, Einaudi) che smonta una per una le falsità dell’accusa mostrando le contraddizioni, le incongruenze, l’irragionevolezza e l’inconsistenza di questa ignobile montatura. Tale libro è tradotto in tutta Europa, rappresenta un’accusa per l’Italia e un motivo di vergogna per la coscienza di ogni italiano, non è mai stato smentito da chicchessia e non è mai stato preso in considerazione da tutti i giudici che hanno celebrato i numerosi processi, a conferma di quanto le istituzioni italiane tengano in disprezzo, più che le opinioni, le convinzioni documentate degli studiosi e degli intellettuali”.

Tabucchi offre poi, velocemente, diverse altre argomentazioni a favore della tesi della “montatura” processuale. Considerato il suo modo di ragionare da un punto di vista un po’ super partes, è interessante notare come esse siano simili a quelle che, da un’ altra prospettiva, diametralmente opposta, usa Berlusconi per sottrarsi al giudizio dei tribunali: per Tabucchi “l’opinione pubblica e la coscienza dei cittadini” sono dalla parte di Sofri, come dimostrano le 170 mila firme raccolte in tutta Italia qualche anno fa; l’unico elemento di prova per i giudici è la parola dei cosiddetti “pentiti”; l’Italia non è uno Stato di diritto; la sua storia recente è costellata di indelebili vergogne. Una simmetria impressionante, appunto, con le tesi “garantiste” del leader di Forza Italia: non è affatto stemperata dal richiamo finale, “politicamente corretto” ma sicuramente non pertinente, al “revisionismo selvaggio” della storiografia di destra.

Rigoni ha perciò colto l’essenza della questione quando, in una seconda lettera aperta a Ciampi, pubblicata dal quotidiano di via Solferino il 20 agosto, ha fatto notare che appelli come quello di Tabucchi sono interni a un gioco a cui bisogna mettere fine e che è esso sì un vero scandalo per il nostro Paese, la misura della sua scarsa cultura e coscienza liberale: qui da noi “la purezza e il rigore del diritto rischiano continuamente di soccombere agli interessi e alle ideologie della peggior natura”. Per cui se indaga sui miei amici, la magistratura è un’istituzione serva del potere; se se la prende con i miei nemici, ogni attacco ad essa è un attacco alla democrazia.

Con l’affermare ciò ovviamente non si vuole affatto dire, come d’altronde non dice Rigoni, che la grazia a Sofri non sia legittima e che, come minimo, la sua condanna e la sua carcerazione non siano sospette. Si vuole dire che i casi e i loro attori, contrariamente a quel che avviene spesso in Italia, vanno giudicati concretamente, individualmente, indipendentemente dal colore politico e dal ruolo sociale dell’imputato. La legge deve essere uguale per tutti: per i politici potenti, di destra e di sinistra, come per gli intellettuali. E soprattutto gli intellettuali non hanno credenziali maggiori degli altri cittadini nel giudicare fatti di ogni sorta e non possono far pesare l’ autorevolezza che hanno per sottrarre ai giudici le loro prerogative.

Ciò non toglie che essi debbano essere costantemente vigili e attenti nel segnalare abusi o incongruenze, ma non più o meno di qualsiasi cittadino che abbia a cuore le sorti del proprio Paese. L’ intellettuale non ha in nessun modo un ruolo privilegiato nel discorso pubblico, vale a dire a prescindere dalle sue competenze specifiche. “Pensiamo che i processi, invece che ai giudici, dovrebbero essere affidati agli intellettuali?”, chiede giustamente Rigoni. Il quale dimostra, perciò, come ho già detto di avere ben compreso quiello che io ritengo il “centro” del discorso, oggettivamente arrogante e fazioso, di Tabucchi: quell’argomento che va con forza respinto, in primo luogo dagli uomini di cultura. All’intellettuale bisogna chiedere di essere sempre ben conscio del limite che egli per primo deve porre alla sua azione. E del pericolo rappresentato dalla hybris intellettuale, da cui possono nascere i peggiori mali, come la storia dimostra. E’ bene stare attenti sempre!

Ma detto ciò, vorrei concludere in modo “edificante”, per così dire, questo mio intervento. E anche, forse, in modo inusuale. Vorrei proporre alla vostra attenzione la figura di un “intellettuale” ben conscio dei suoi limiti e del suo ruolo, che ha riflettuto molto sugli errori suoi e della sua generazione e che, come tutti coloro che li ha vissuti fino in fondo, li ha veramente metabolizzati e superati. Un intellettuale che nei suoi interventi da editorialista dispensa continuamente acume e buon senso.

Uno che, negli ultimi tempi, avendo intensificato i suoi interventi sul quotidiano la Repubblica, ha conquistato la mente e il cuore di molti lettori. Vorrei proporre quest’uomo alla vostra attenzione come un punto di riferimento. Per stile e per contenuti. Persino per costruire qualcosa sulle macerie su cui, a sinistra, ci troviamo ad operare. Il suo nome, come avrete forse capito, è Adriano Sofri.

Probabilmente il processo a Sofri è un assurdo processuale. E probabilmente questo è un fatto. Pesante proprio nella sua fattualità, che le parole grosse (“magistratura corrotta”, “delitto di Stato”, ecc.) rischiano addirittura di alleggerire. Probabilmente. Ciò che però non è probabile, che è anzi sicuro, è che Sofri è oggi una bella testa e una brava persona. Se in uno stato democratico la pena non può dare minimamente l’impressione di essere una vendetta, ciò veramente può bastare. La voce di Sofri va restituita alla società. Ci serve. Oggi più che mai.

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