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Qualcuno che pensa di essere Dio



Giancarlo Bosetti




“E’ di più, molto di più”. I commentatori, i giornalisti, gli specialisti di politica estera non riescono a trovare la spiegazione di tutto questo, come avviene di consueto, nella dinamica dei conflitti in corso. Sono costretti a sollevare lo sguardo dalle miserie e dal sangue quotidiano della striscia di Gaza, dall’inferno ceceno, dai tormenti balcanici. Cercano qualcosa più in alto, cercano una visione con orizzonti infiniti. Sono spinti a guardare al globo tutto intero per cercare l’accumulo di odio necessario per armare un progetto sanguinario così grande e così spettacolare e anche per cercare l’accumulo di quattrini necessario realizzarlo.

Cercano, gli specialisti, grandezze equivalenti al risultato: sventrate le twin tower, paralizzata New York, incendiato il Pentagono, colpita Capitol Hill, impossibile persino dire quanto tempo ci vorrà prima di sapere quante sono le vittime. Ci vuole un bacino di raccolta, di odio e di denaro, grande come il mondo intero per arrivare a queste vette di fantascienza, che soltanto Hollywood qualche volta ha immaginato con produzioni costose come il budget di uno stato africano. Ma in quel caso il denaro ritorna, è business, è show-business. In questo caso capitali forse cento volte maggiori se ne vanno per uno scopo che somiglia a quello di una guerra, somiglia a una dichiarazione di guerra, a una sfida; è uno spettacolo sì anche questo, ma del genere che produce morte vera.

La forza della sfida è certa, ma non si vede il volto dello sfidante. Certo lui vuole che lo immaginiamo grande, immane, come le divisioni che attraversano il mondo intero, certo è qualcuno che vuole che il fragore dello scontro sia rumoroso come la collisione delle civiltà, come il clash of the civilizations di cui ci ha parlato nel suo libro Samuel Huntington, fornendoci tante cartine che rappresentano il globo diviso in due o tre colori con linee di contatto, di conflitto, di faglia, come le carte sismiche.

E’ qualcosa “di più”, certo, dei tormentosi, ordinari conflitti. E’ una sfida che ha la forza assurda e prepotente della trascendenza, della “santità”. Essa è lanciata da qualcuno che sicuramente si inebria di assoluto, dell’assoluto della giustizia e della energia divina, come sempre i terroristi, chi più chi meno. E’ una sfida che ci ricorda come nelle religioni, tutte, è depositato un giacimento di odio capace di millenni di guerre. E’ vero che c’è una parte del mondo, Gerusalemme, dove le linee delle carte geografiche di Huntigton si incontrano più volte in grovigli inestricabili, perché Dio decise di passare di lì per tre volte sotto diverse spoglie lasciandone tracce in Sacre Scritture confliggenti. L’autore, il regista, lo scrittore dell’impresa di ieri vuole che sentiamo, dietro la sua mano, la stessa potenza che ci ha dato i libri sacri. Lui sicuramente è uno che nei suoi libri sacri, e nella loro assoluta esclusiva verità, ci crede.

Contro tanta trascendente esibizione di forza abbiamo nelle nostre mani soltanto i poveri strumenti della ragione, il cacciavite e le pinze della democrazia, gli ordinari desideri di pace di tanta gente comune, la polizia, i magistrati, i politici con tutti i loro umani banali difetti, e quando occorre l’esercito. E’ una battaglia che gli americani hanno già fatto e vinto altre volte con la pazienza e il coraggio necessari. Anche altre democrazie la conoscono, quella battaglia, e l’hanno vinta anche loro. Solo, questa volta sembra più grande e insidiosa di quanto mai sia stata negli ultimi cinquant’anni. La tendenza generale della civiltà moderna ci dice che vince chi rifiuta il terreno sacro, divino della sfida e della vendetta, e si attiene al terreno umano e laico, talvolta banale, ma non imbelle quando serve, della democrazia.

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