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La mia “rarity” personale



Ludovica Valori




Nell’era della completa e perpetua reperibilita’ di merci, informazioni e persone, il termine “introvabile” e’ quanto mai relativo. Un clic e via, tutto si trova, si conosce, si puo’ comprare online. Sempre che si possieda una carta di credito.

Dato che non ne ho una, forse posso riservarmi di usare il termine in questione per un libro che Amazon classifica come “out of print” - quindi oggettivamente non troppo conosciuto ne’ richiesto - ma che mi offre, usato, ad un prezzo anche abbastanza ragionevole: per un americano, beninteso.

Nelle librerie “vere”, qui a Roma, e’ fuori catalogo, e sembra non conoscerlo proprio nessuno: altri punti a favore della preziosa aura di “introvabilita’”. Neanche sui banchetti dell’usato l’ho mai visto, eppure ne spulcio abbastanza. Insomma, a questo punto posso sbilanciarmi: questo libro e’ “introvabile”! … Almeno per me. Quindi assume tutta un’altra statura, un altro fascino, rispetto ad altri libri che so di poter sfogliare, o comprare, in qualunque momento.

Non mi stupisce troppo che non lo ristampino: non e’ certo un libro allegro o “da ombrellone”, anzi: e’ a meta’ tra il romanzo autobiografico e l’autoanalisi di uno che sta per morire e lo sa. L’autore, Fritz Zorn, e’ infatti malato di cancro alla gola e sente, nei suoi ultimi giorni, la necessita’ di raccontare la sua vita. O meglio, la sua non-vita.

Figlio di una famiglia della borghesia “bene” svizzera, Zorn ne ha assorbito suo malgrado il perbenismo, l’accidia e l’ipocrisia: in breve, l’incapacita’ di vivere. In casa sua non si sgarra mai, non ci si sfoga, non ci si deve lamentare ne’ si puo’ gioire apertamente dei propri successi: tutto e’ improntato ad un atteggiamento di rigido e composto understatement.

Un imprinting indelebile, un addestramento alla freddezza che in eta’ adulta Zorn non riuscira’ a scrollarsi di dosso. Finche’ tutte le “lacrime non piante”, tutto cio’ che egli si e’ negato in quanto “difficile” - e cioe’ le esperienze fondamentali per la vita di una persona, amicizie amori e via dicendo - si materializzano in questo male terribile, che lascia allo scrittore solo il tempo di raccontarlo, come per ammonire chi legge affinche’ non compia lo stesso errore: non appena il romanzo viene pubblicato, nel 1977, Zorn muore.

Ha 32 anni. Ed e’ veramente ed estremamente arrabbiato: non c’e’ un briciolo di autocommiserazione in quello che scrive. Lo dimostra lo stesso pseudonimo che si e’ scelto (“Zorn” in tedesco significa “ira”). E’ come se il tumore, manifestandosi, lo costringesse a “svegliarsi” per esprimere finalmente la sua angoscia. Zorn trasforma la malattia nell’arma piu’ potente per combattere la sua “guerra totale” contro quelle che ritiene essere le sue cause.

In Italia questo libro e’ uscito per Mondadori nel 1986 con il titolo Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo: riferimento a una celebre incisione di Albrecht Durer, densa di simboli e allegorie, che appare anche sulla copertina. In realta’, non e’ che il Diavolo c’entri molto: il titolo originale del testo e’ Mars: e’ proprio di una guerra che si parla, del conflitto interiore tra un istinto che non sa come manifestarsi e una ragione “politicamente corretta” che comprime l’anima e divide la vita in compartimenti stagni, evitando come la peste qualsiasi cambiamento, qualsiasi emozione non pianificata.

Non e’ un libro scritto particolarmente “bene”, per quel che mi ricordo. E’ scarno, a volte anche pesante nella sua intransigenza: ma ha qualcosa che, all’epoca in cui mi capito’ di leggerlo (mi fu prestato circa dieci anni fa da un amico che poi ho perso di vista), mi fece molto pensare. E questo qualcosa, a volte, mi e’ stato anche utile.

Capita spesso di rinunciare a tante cose per amor di “tranquillita’”, di “correttezza”; si trascurano aspetti (solo apparentemente) “improduttivi” della vita, e si trovano anche alibi a bizzeffe per farlo. Ci si abitua a vivere risparmiandosi per un eterno “domani mattina” in cui si deve lavorare, essere perfetti, controllati e nel pieno delle proprie facolta’… in tutto questo non c’e’ assolutamente niente di male, per carita’. Pero’ ci si abitua talmente a questo modello di “ottimizzazione delle emozioni”, che poi si finisce per applicarlo anche quando non ce n’e’ alcun bisogno.

E’ facile cascarci, e difficile riprendersi. Allora forse puo’ servire a qualcosa ricordarsi d’aver letto questo libro, per dirsi che in realta’ nulla e’ davvero “difficile” o “faticoso”, se vogliamo davvero farlo, e che a volte potremmo lasciare da parte i buoni e “convenienti” insegnamenti della nostra famiglia - o della nostra classe sociale, o del nostro ambiente lavorativo, a seconda dei casi. Che questo poi avvenga per un’ora soltanto o per il resto della nostra esistenza, e’ una decisione che spetta naturalmente solo a noi.

Se avessi in casa questo libro, se lo possedessi fisicamente piuttosto che con la memoria, certo non avrebbe piu’ l’aura della rarita’: sarebbe meno “mitico”, ma non per questo lo considererei meno degno di essere sfogliato spesso, cosi’ come faccio con tanti altri bei libri.



Link

L'incisione di Durer alla quale fa riferimento il titolo alla traduzione italiana: http://www.ukans.edu/~sma/durer/
ritter/ritter.htm
  (in inglese)
Dallo Spencer Museum of Art, e' possibile ammirarla fin nei minimi particolari

L’autore
 (in francese)
Note biografiche su Zorn e un'analisi di "Mars"


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