Lo zaino e la valigia/On the road
Claudio Santamaria con Antonia Anania
Forse a qualcuno sarà sfuggito in Ecco fatt,o l’esordio
cinematografico di Gabriele Muccino del 1998, o ne L’assedio
di Bernardo Bertolucci,sempre dello stesso anno, ma sicuramente
Claudio Santamaria non è sfuggito al pubblico ne L’ultimo bacio
dove era Paolo, che sogna e organizza il viaggio della sua vita per
fuggire da tutto e tutti, dimenticare con difficoltà la ragazza che
lo aveva lasciato, abbandonare il negozio di arte sacra di famiglia,
ammortizzare la morte del padre, ricominciare una nuova vita, in
camper e con uno zaino con pochi vestiti.
Anche la borsa delle vacanze (“più che uno zaino, meno di una
valigia”) di Santamaria contiene pochissime cose, qualche vestito e
palline da giocoliere per un viaggio che è tutto da decidere (“comunque
al mare, al sole, forse in Croazia o in Sicilia con il traghetto”)
ma che sicuramente sarà “una fuga di riposo” dopo un anno di
cinema e ancora cinema.

In Almost Blue di Alex Infascelli, Claudio era Simone Martini,
il ragazzo cieco che aiuta il commissario a trovare il colpevole e che
collega i colori con le musiche e le voci - quella del commissario è
appunto almost blue. In Amarsi può darsi di Alberto Taraglio
era il protagonista, Davide incerto. E sempre quest’anno ha
interpretato altri personaggi che saranno nelle sale nella prossima
stagione.
Ma non chiedetegli a quale dei tanti si sente più vicino perché li
dimentica -almeno così ci dice- soprattutto quelli degli anni
passati: “Non ricordo il personaggio che interpretavo in Almost
blue, e anche il personaggio di Ecco fatto comincia a
vacillare nella mia memoria, a diventare un po’ vago e offuscato,
per cui forse sono più vicino a Paolo de L’ultimo bacio ma
solo perché è l’ultima cosa che ho fatto”. Dimentica per
riappropriarsi dei personaggi che sarà in futuro.
Caffè Europa gli ha chiesto di raccontare dei suoi ‘luoghi,
viaggi e vagabondaggi’ come ragazzo (ha 27 anni), come attore, come
amante dell’arte (è diplomato al Liceo artistico e ancora oggi si
cimenta in sculture originali, per esempio con l’acciaio). Viaggi
‘on the road’, in auto perché a lui del viaggio “piace lo
spostamento. Mi piace guidare e sentire che la strada scorre sotto le
ruote. L’aereo è necessario per le mete lontane ma non si avvertono
i chilometri che passano, non si sente l’evoluzione del viaggio. E l’arrivo
è troppo repentino…”.
Prima di raccontarci delle scorribande giovanili, viaggiamo nei
ricordi: c’è un luogo d’infanzia, al quale è particolarmente
affezionato?
Sì, è il paese di mia mamma, Senise, in Basilicata. Un paesello
piccolo piccolo in provincia di Potenza che fa 10.000 abitanti ed è
stupendo, fatto di pietre, ha una parte vecchia arroccata sulla
montagna che è una bellezza, con vicoli larghi neanche un metro. E
poi il paese dove andavo al mare, Policoro, sulla costiera ionica. Lì
ho trascorso tutte le estati della mia infanzia; lì ho i parenti, mia
nonna. Mi piaceva e mi piace ancora ritornarci, perché ci sono le mie
radici ed è un posto poco conosciuto, dove non c’è il caos del
turismo di massa.
E invece il luogo al quale è legata la sua adolescenza? E quello di
adesso?
Sempre Roma. Quando avevo 14, 15 anni incontravo i miei amici ai
baretti vicino casa dei miei, e qualcuno di questi bar esiste ancora,
ma adesso il luogo della mia vita è la casa che ho preso in affitto
da poco: la sto arredando con il mio gusto un po’ d’aspirante
artista e un po’ d’aspirante architetto.
Parliamo di set cinematografici. Le è mai capitato durante un
viaggio, di aver riconosciuto delle strade o delle città che aveva
già visto come location di un film anche non suo?
Sì, Cuba, ma nel modo contrario: ho visto Buena Vista Social Club
di Wim Wenders subito dopo essere stato a Cuba e ho riconosciuto e
ritrovato moltissimi dei luoghi che avevo visitato in viaggio.

E a proposito di cinema ci racconta un suo viaggio degno di una
commedia cinematografica?
In Spagna con la macchina, anni fa. Eravamo on the road con due
macchine che naturalmente non potevano rimanere attaccate, per cui ci
siamo persi. Io per di più avevo la valigia nell’altra macchina e
dunque avevo perso tutti i vestiti. A quel tempo poi non c’erano
ancora i cellulari (a parte che non ne porterei mai uno in viaggio).
Noi siamo andati per caso in un paesino di cui avevamo già parlato
con gli altri, un posto allucinante, una Riccione spagnola, sulla
costa catalana.
Ormai mi ero messo l’anima in pace: avrei fatto la vacanza senza
vestiti. Poi vedo uno da lontano con la maglietta che avevo in
valigia, e ho pensato: “Guarda quello che ha la maglietta come la
mia!”. Mi avvicino e mi accorgo che quello era un mio amico e che
quella era la mia maglietta, mentre un altro aveva addosso i miei
pantaloncini, un altro una fmia elpa: avevano rotto il lucchetto,
aperto la valigia e mi avevano razziato il guardaroba, perché
credevano che tanto non ci saremmo più rivisti per l’intera
vacanza.
Siamo stati lì per alcuni giorni anche se a me non piaceva la
confusione del luogo. Allora siamo andati a Barcelona: i miei amici
volevano tornare indietro, mentre io proponevo di scendere e
continuare verso la Costa del Sol, per perlustrare la zona. Insomma
siamo tornati indietro col risultato che abbiamo perso le chiavi della
macchina. Andava tutto storto, ma sono sicuro che è stato un segno
del destino: glielo avevo detto io di andare avanti!
Viaggiare da solo o viaggiare in compagnia, sono dunque due
filosofie?
Sì, per me dipende da come sto al momento. Questo per esempio non
è il momento giusto per andare via con una persona. Da solo in
viaggio sto bene: non ho voglia di relazioni umane, di scambiare
parole con qualcuno che conosco e neanche con quelli che non conosco,
voglio stare tranquillo, in silenzio, a respirare la terra che
attraverserò. Lo so, adesso la penso così, poi potrà anche
succedere il contrario, se ci saranno vecchietti affacciati alla
finestra non potrò fare a meno di chiedere loro un’informazione, ma
al momento penso che con più probabilità gli scatterò una foto.
Quali sono le foto di viaggio che riguarda più spesso?
Le foto della Patagonia, un viaggio che non dimenticherò, in cui ho
sentito prepotente la potenza della terra del fuoco, le grandi distese
desertiche, il clima rigido…. Un posto di quel genere non l’ho
visto mai più.
Abbiamo parlato di borse, zaini e valigie, quali sono le cose che
Claudio Santamaria non porta mai in viaggio?
Il telefonino e il suo caricabatteria, un tavolo, una sedia, la
sveglia e parecchi pensieri, e il cinema perché è tutto l’anno che
lo sto masticando, vedendo, facendo, è da un bel po’ che non penso
ad altro. Lo lasciamo a casa e lo riprendiamo alla fine di agosto.
Neanche un film in videocassetta?
No, neanche quelli che amo di più, i film di Jim Jarmusch Ghost
dog e Dead man con Johnny Depp e lo straordinario Down
by law in cui basta dire che recitano insieme Tom Waits, John
Lurie e Roberto Benigni, e che è in bianco e nero, e si è detto
tutto. Neppure Guerre stellari di George Lucas, con Yoda, uno
dei miei eroi.
Allora parliamo di un’altra arte,:quale museo consiglia di vedere in
giro per il mondo?
A Roma anziché un museo, vi consiglio La Chiesa di Sant’Ignazio di
Loyola che sta tra il Pantheon e Via del Corso, a Piazza di Sant’Ignazio,
appunto. E’ una chiesa del Seicento che all’interno, sulla volta
della navata centrale, ha un gioco di prospettiva che è una bellezza,
raffigura una cupola finta, con angeli, beati, santi e un cielo con
una profondità immisurabile. Poi se qualcuno ha la fortuna e i soldi
per andare a New York consiglio di visitare il Guggenheim Museum, che
è bello anche per le strutture architettoniche.
E un quadro davanti al quale bisogna assolutamente rimanere assorti
per mezz’ora?
Non sta al Guggenheim ma al Museo di Van Gogh di Amsterdam, è il
primo quadro in ordine d’apparizione, l’unico ritratto che Van
Gogh fece a se stesso mentre dipingeva: lui sta davanti alla tela con
una specie di guanto-manicotto sul quale ci sono i colori. Di quel
quadro mi piace la presenza: ti avvicini, lo guardi negli occhi e
senti che Van Gogh c’è, senti la presenza di un uomo.
Claudio Santamaria quest’anno si è cimentato anche in un corso di
danza balinese tenuto da Tapa Sudana: le piace Bali o viaggiare verso
danze di luoghi lontani?
Più che Bali o in generale i luoghi lontani, mi piacciono le cose
che mi ricreano, che mi rigenerano, perché mi rimettono in gioco.
Quello era solo un seminario, ne avrei seguito un altro in Umbria,
sempre diretto da Tapa Sudana, se non fossi stato impegnato a girare
un film. In quel primo seminario si esploravano il canto, la danza, l’espressione
fisica, il tai chi, i kata con i bastoni, si imparava a disegnare e
costruire le maschere di carta…
Tra un corso e un film, che cosa fa Santamaria a settembre?
Mangia i fichi settembrini, e gira La vita come viene di
Stefano Incerti con Stefania Sandrelli. Le riprese cominciano il 20
agosto, dunque è un film che nasce sotto il sole: agosto per me è
sinonimo di caldo.
Dopo L’ultimo bacio, un altro film con la Sandrelli: ci
sono tre aggettivi che la descrivono?
Ci provo: distratta, vitale, ma proprio vitale, e affascinante. In
realtà ne L’ultimo bacio non abbiamo girato esattamente
insieme, solo in un paio di scene siamo sullo stesso piano sequenza,
per esempio in quella del matrimonio di Giovanna Mezzogiorno e Stefano
Accorsi. La vita come viene sarà un’occasione per rivedersi
e lavorare assieme.
Che cosa significa per lei ritornare a casa, che cosa le viene voglia
di fare appena arrivato?
Primo apro le finestre, secondo prendo la chitarra elettrica, l’attacco
all’amplificatore e comincio a suonare. Rimetto in moto tutto il
meccanismo, e metto la musica altissima. Non voglio stordirmi, ma
riappropriarmi completamente dello spazio.
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