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Distinguere è un dovere morale
Corrado Ocone
Se vogliamo capire qualcosa di quanto è accaduto a Genova dobbiamo, a
mio avviso, compiere una serie di opportune distinzioni. A maggior
ragione in presenza di un governo poco credibile come questo di
destra. In effetti non si erano mai visti un così penoso
scaricabarile e una così evidente mistificazione dei fatti come
quella messa in atto in questi giorni dagli esponenti della
maggioranza. Dobbiamo distinguere perché dobbiamo prendere coscienza,
una volta per tutte, del fatto che nella confusione dei piani e nell'indistinzione
Berlusconi e compagni sguazzano a meraviglia. E' il loro habitat
naturale. Distinguiamo, è un nostro dovere morale.
PRIMA DISTINZIONE. La contrapposizione fra G8 e movimento anti-global
è foriera di equivoci. E tutt'al più fa parte di un gioco retorico a
cui tutti abbiamo un po' ceduto. Il G8 non è il "padrone del
mondo", né è composto solamente da politici cinici o alleati
delle multinazionali e degli affaristi (ci sono anche autorevoli
esponenti della sinistra fra i leader del G8!). Così come, d'altro
canto, il movimento anti-global non è motivato esclusivamente da
buoni sentimenti o da una sincera passione per le sorti dei
diseredati.
SECONDA DISTINZIONE. All'interno del movimento anti-G8 ci sono tante
anime: solidaristiche, pacifiste, riformistiche, ma anche premoderne o
luddiste. Se la varietà delle posizioni è una ricchezza, e va
coltivata, ciò non può significare che su alcuni temi di fondo (no
alla violenza, no alla riedizione di formule da vecchia "lotta al
sistema imperialista delle multinazionali") i leader del
movimento possano permettersi di essere ambigui. Voglio dire che, in
prima istanza, sono i leader del movimento che avrebbero dovuto
isolare i violenti. E, in seconda istanza, qualora non ci fossero
riusciti, avrebbero loro dovuto prendere misure adeguate al caso.
Persino, in ultimissima istanza, la decisione di annullare il corteo.
Ne avrebbe acquistato in credibilità tutto il movimento. Ma, forse,
il "richiamo della piazza", come quello della
"foresta", è atavico. O, semplicemente, ancora troppo
forte.
TERZA DISTINZIONE. Hanno fatto bene o male i DS a tergiversare prima e
a non aderire poi alle manifestazioni di Genova? Voglio subito
osservare: non avere avuto una posizione netta è stato, per i DS, un
segnale di debolezza, che si collega indubbiamente ai problemi di
identità e di leadership del partito. Da ciò consegue che non mi
convince Nadia Urbinati quando auspica che i DS continuino ad essere,
come un tempo, "partito di lotta e di governo". Oggi,
piaccia o non piaccia, non è più tempo di "mediazioni
dialettiche". Né l'ambiguità paga, almeno a sinistra.
Il fatto è che anche fra i Democratici di sinistra c'è un ampio
ventaglio di posizioni. Oltre ad esserci, anche come conseguenza,
un'animosa lotta per il potere. Il mio augurio è lo stesso espresso
dal senatore Debenedetti qualche giorno fa su Il Sole 24 ore:
sogno anch'io un partito che sia vicino ai deboli e che li garantisca,
ma che sia anche un partito che non abbia più un atteggiamento
preconcetto verso il (giusto) profitto e verso le modalità
capitalistiche (che vanno ovviamente temperate e controllate) di
creazione e diffusione della ricchezza.
QUARTA DISTINZIONE. Detto tutto ciò, va compiuta, secondo il mio modo
di vedere le cose, un'ulteriore ma importantissima distinzione. I
limiti del movimento, la cecità di molti suoi esponenti, le modalità
terroristiche di alcune frange, non possono servire da giustificazione
o da alibi né per le forze dell'ordine né per il governo. La
direzione e la gestione dell‚ordine pubblico è stata, a Genova, a
dir poco vergognosa: superficiale, approssimativa, reazionaria. E'
come se di colpo i limiti dei nostri servizi di sicurezza e delle
forze dell'ordine fossero venuti tutti alla luce. E' come se
l'impreparazione e la non adeguatezza di molti settori di questi
servizi e di queste forze a essere espressione di un paese democratico
e civile, occidentale, ci avessero fatto ripiombare in una dimensione
che ritenevamo superata o che comunque pensavamo non appartenerci (una
dimensione "sudamericana", per intenderci).
Abbiamo forse scontato ora anni e anni di disattenzione, di scarsi
finanziamenti, di non curanza per coloro che devono tutelare la
sicurezza pubblica e in ultima istanza la stessa democrazia. Ma
teniamo ben presenti due semplici verità, sottolineate dal New
York Times (che, notoriamente, non fa chiacchiera, né gira
attorno agli argomenti): giovani impreparati si sono trovati in
situazioni di trincea contro altri giovani; la nostra polizia, cosa
che non accade negli paesi occidentali, non ha in dotazione proiettili
di gomma, ma solamente proiettili veri. La nostra immagine
internazionale ne esce, ancora una volta, screditata.
Le dimissioni sarebbero state doverose sia per i capi delle forze di
polizia, sia per il ministro dell'interno. Quest'ultimo, con la sua
incapacità a dare disposizioni precise, ha fatto sì che la pari
inettitudine di quelle forze venisse fuori in tutta la sua
drammaticità. Ripeto: può anche essere vero, noi stessi lo crediamo,
che fra i contestatori ci fossero persone violente e che le ragioni
degli anti-global non fossero sempre buone ragioni. Ma ciò non
c'entra assolutamente con il venire meno dei compiti istituzionali di
un governo e delle forze di sicurezza di un paese democratico.
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