Partita persa per il governo
Giancarlo Bosetti
Non c’è dubbio alcuno che con la morte di un giovane, una quantità
imprecisata di feriti, un carabiniere che perderà un occhio, una
impressionante massa di danni a Genova, ai suoi negozianti, alle case
dei residenti, alle auto, l’esito di questo G8 è fallimentare. L’incontro
dei grandi è un evento che ha un’agenda politica significativa, ma
è anche e soprattutto comunicazione, come loro, i grandi, sanno
benissimo. Berlusconi più di tutti, che sulla materia tiene cattedra:
tutti insieme i capi di governo appaiono al mondo, e ciascuno di loro
appare al suo Paese, per il rango che ha sul piano globale, per la
considerazione in cui è tenuto; e le cronache riferiranno delle
posizioni che ha sostenuto, degli argomenti che ha fatto valere, di
quello che ha ottenuto.

Per Bush e per Berlusconi era una "prima
volta" (o quasi, visto il fuggevole e infausto precedente del
nostro primo ministro sette anni fa a Napoli), ma adesso è diventata
una "prima volta" da dimenticare e archiviare. Per il
Cavaliere, padrone di casa, il fallimento è completo; le cose non
potevano andare peggio. E' stata una catastrofe nella gestione dell’ordine
pubblico, in una occasione in cui l’ordine pubblico era la
condizione di qualunque altro successo. Bush e Berlusconi, che avevano
un ruolo preminente dal punto di vista della sicurezza del vertice (il
secondo perchè si giocava in Italia, il primo perchè capo della
potenza numero uno e perchè titolare dei servizi di intelligence più
forti del mondo, e bene informati anche in questo caso, come ha
documentato con assoluta precisione l’articolo di Gianni Cipriani su
ilNuovo.it) rappresentano governi di centro-destra e la loro parte
politica viene accreditata generalmente di una "mano più
pesante" nella gestione dell’ordine pubblico.
Dunque una certa vulgata potrebbe far propria la tesi che il primo
vertice mondiale dopo la vittoria di due rilevanti uomini di destra
non a caso è anche il primo vertice con un morto. Così è. Ma questa
vulgata non coglie nel segno, almeno per quanto riguarda l’Italia. E’
possibile immaginare che l’entourage di un Clinton o di un Gore
sarebbe stato molto più sensibile al rischio di quello di Bush, e
avrebbe spinto a considerare con più attenzione, e forse anche
astuzia, il precedente di Goteborg. Ma per quanto riguarda Berlusconi
non c’è dubbio che, dopo il padre di Carlo Giuliani, era la persona
al mondo che di meno avrebbe desiderato che le cose finissero così.
Dunque evitiamo di interpretare il disastro secondo il displuvio
destra-sinistra, perchè non andremmo lontano.
Mi rendo conto che questa esortazione sarà accolta da una minoranza,
ma non si sa mai. Aggiungo per rafforzarla che, facendo così, si
eviterebbero brutte figure. Come quella di Fini, che se la prende con
Bertinotti. Che c’entra Rifondazione? Non ha avuto alcuna influenza
sugli eventi. E che c’entrano le incertezze della sinistra? Se i Ds
hanno avuto sul tema di Genova - andare non andare - una ventina di
posizioni diverse farebbero bene a sbrigarsi nel trovare un leader e a
chiudere una stagione penosa; ma sono, anche loro - e ahi loro! - del
tutto ininfluenti sui fatti.

Quella di Genova era una partita a due tra alcune
centinaia di anarchici e di squatter, da una parte, e i responsabili
dell’ordine pubblico dall’altra. Hanno vinto i primi, nella loro
logica, anche se hanno lasciato una vittima sul terreno. E questo è
tutto.
L’irruzione nella notte di sabato nella sede del Genoa Social Forum
era un intervento falloso di un apparato di polizia che era già stato
sconfitto. Aveva due difetti gravi: il primo, serviva a ricordare che
la destra ci tiene alla fama della "mano pesante", ma la
"mano" andava a cadere lontano dal bersaglio e dunque vale
come promemoria che la "mano pesante" si accompagna di
solito a una testa ottusa; il secondo, il fallo è stato, come accade
spesso nel calcio, conseguenza di un ritardo nello scatto. E si sa che
quanto più si è in ritardo tanto più si fa male al malcapitato che
riceve la gamba tesa su ginocchio. Sui campi di calcio qualcuno viene
espulso. E qui ci si aspetta qualcosa di simile.
Non si vede come il governo possa evitare un resoconto in cui siano
messe in chiaro le disposizioni del ministero degli Interni e la
condotta degli apparati di prevenzione e repressione. Quanto meno
sarà avvolto dai fumi di generiche accuse politiche, da una parte e
dell’altra, tanto più potrà essere efficace. Quel che preme di
più, per la prossima volta, è che non vincano ancora black bloc e
loro affiliati, o chi per loro, ma "i nostri". E "i
nostri" in una sana mentalità democratica sono, devono essere,
sia i responsabili dell’ordine pubblico che i pacifici manifestanti
di qualsivoglia idea.
Ai malcapitati del Social Forum può essere utile una riflessione su
quanto sia difficile costruire un movimento sociale, politico, di
opinione o qualsivoglia. Non basta una stupenda occasione di "contromarketing"
come quella rappresentata da un G8. Il problema dei gruppi violenti
che cercano di "sfruttare" un corteo pacifico e di
"rovinarlo" è antico come il mondo. Non serve moltissimo
lamentarsi dopo.
Bisogna provvedere prima. Perchè non occorre un dottorato in scienze
della comunicazione per capire che un solo morto fa più notizia di
trecentomila vivi. E si provvede con servizi d’ordine, con una
accorta vigilanza, isolando i violenti, individuandoli,
neutralizzandoli. E’ un’impresa difficile, richiede una lunga
maturazione; ancor più della palestra e dei bastoni servono profonde
convinzioni, affiatamento, il senso di una impresa comune. Si possono
chiedere informazioni ai sindacati. Tra i pensionati molti dovrebbero
ricordare come si fa, come si faceva.
A sentire Agnoletto, si capisce che il cammino che sta davanti ai
pacifici e volonterosi manifestanti di Genova per diventare un
movimento è forse persino più lungo, laborioso, pieno di ostacoli,
di quello che sta davanti alla disarticolata e depressa sinistra
italiana per diventare un moderno partito riformista. Pensate un po’.
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