Homo Smemoratus
Carlo Scirocchi
Questa è la civiltà dei fenomeni curiosi, alla faccia dei convinti
assertori della nostra razionalità. Prendete per esempio la memoria.
Se non ci fossero i computer verrebbe a mancare uno dei pilastri
(insieme agli affari e al commercio) della civiltà moderna. Ma senza
memoria non ci sarebbe nessun computer. La quantità di memoria è
divenuta quindi un’entità misurabile, dagli effetti precisi.
"Non fa scienza senza lo ritenere avere inteso", diceva ieri
Alighieri con il linguaggio del pensatore. Oggi Gates risponde:
"non si fanno miliardi senza megabyts", con il linguaggio
dell’affarista. A parte il livello poetico, tutti e due parlano di
memoria.

Creare e archiviare trattati e Bibbie con pochi
cenni delle dita è stato per secoli il sogno proibito di schiere di
certosini i quali, non possedendo per giunta la grafica
computerizzata, dovettero armarsi di pazienza per ornare
opportunamente il prezioso contenuto dei libri che andavano
elaborando. D’altra parte ogni epoca ha le sue virtù: ieri la
qualità interiore della pazienza, oggi le capacità esteriori dei
programmi super veloci.
Quindi chi si sognerebbe di immaginare un mondo senza memoria (dei
computer)? Però, e questa è la stranezza da baraccone, un bel mondo
senza memoria (degli uomini), questo sì può anche andare bene, anzi,
il problema neanche si pone. Il cervello serve per provare emozioni,
per scegliere l’oggetto più alla moda, per polemizzare con questo o
con quello, per pianificare al meglio la carriera, per organizzare un
fine settimana con l’amante, per stare al passo con i ritrovati
telefonici, eccetera. Ricordare di porsi certe domande scomode non è
il caso. Come quella che mi ronza nelle orecchie da quando mi sono
accorto di vivere: che ci sto a fare qui? Sulle prime ho tentato anch’io
di scacciarla come si fa con le mosche moleste. Poi certi drammi di
famiglia mi hanno costretto a farmi un giro tra ospedali e cimiteri, a
fare i conti con la impermanenza della vita, e lo scacciamosche mi si
è afflosciato tra le dita.
Possibile che debbo continuare a mangiare leccornie e manicaretti - mi
sono chiesto, precisando meglio il cinismo della questione - per
finire poi mangiato da qualche tipo di verme anonimo? E’ proprio
buffa: mangiare per essere mangiato! Al cospetto di tale processo di
sgranocchiamento di massa mi è persino venuto il sospetto che i
suddetti animaletti filiformi, vedendo calare nella fossa gente troppo
magra, siano in grado di organizzarsi per lanciare messaggi telepatici
del tipo: mangiare più merendine, prego. In modo da mantenere il
livello medio del loro approvvigionamento.
Dovete ammettere che è un dubbio legittimo, vista l’incredibile
quantità di cibo inutile che i popoli benestanti mediamente
ingurgitano. E poi con le popolazioni di invertebrati organizzati…non
si sa mai (mi riferisco ai vermi)! Pensare l’umanità come una
enorme massa di mangime vivente può certamente far arricciare i peli
a più di uno. D’accordo, è più gratificante considerarci come
esseri nobili e intelligenti, capaci di imparare e di progredire. Ma
se rievocare conoscenze ed esperienze passate viene visto come un
processo di apprendimento e affinamento della coscienza, allora è
implicito porre un certo grado di attenzione. Se si corre a destra e a
manca in continuazione, in mezzo ad impulsi emotivi, visivi, sonori di
tutti i tipi, dove e come è possibile raccogliere ed utilizzare le
sensazioni tenui che provengono dalla memoria?

Per questo è stato inventata la parola ‘raccoglimento’.
Se avete presente un concerto per chitarra saprete che la chitarra
classica non è tanto uno strumento che suona quanto piuttosto uno che
sussurra, che necessita di ambienti acusticamente più che efficienti
per poter rimandare all’ascoltatore tutte le sfumature, le
coloriture da acquerello della propria sonorità da orecchio a
orecchio. Questo è il motivo per cui nessuno si sognerebbe di
inserire una chitarra classica in una banda militare. La memoria di
cui stiamo parlando è ancora più ectoplasmica. Non si tratta dell’immagine
lussureggiante della fidanzata al mare, né dell’eco del sapore di
ciò che abbiamo mangiato in tale posto, né della traccia della
sequenza armonica che si forma nella nostra materia grigia quando
ascoltiamo musica e ce la fa riconoscere, né delle nozioni che
occorre rievocare per le necessità quotidiane. E’ qualcosa di molto
più complesso e profondo. E’ qualcosa di sussurrato. E’ sapore,
colore, nostalgia, buco nero dell’anima in cui arriva un sottile
raggio di sole, sonorità del silenzio, coscienza di una dignità,
gratitudine per un nulla, sposalizio di se stesso, sgomento di fronte
all’immensità.
Tutto che affiora repentino e simultaneo, come i frammenti di legno di
un galeone dalle Indie affondato, testimonianza di un tesoro sepolto
negli abissi dalle origini lontane. Ricordare non è allora solo
evocazione ma vero e proprio viaggio, un viaggio nella propria terra
natia. Questa memoria, in quanto funzione dell’anima, rende presenti
di fronte a se stessi come non potrebbe mai fare nessun altro ricordo
mondano, per quanto fascinoso. Questa memoria è un tipo di coscienza
che risveglia bisogni antichi. Ha solo un inconveniente: per affiorare
necessita di un prerequisito che è la buona volontà, o, se
preferite, la forte intenzione. Insomma, si deve volere ‘drizzare le
orecchie’ per cogliere la vibrazione della nostra umanità.
Si tratta di ascoltare qualcosa che, contrariamente alle
caratteristiche del mondo, ha ben poco di assordante, spettacolare, di
pronto consumo. Questa memoria può essere quindi identificata con un
ascolto non emozionale che conduce alla sobrietà nello stile di vita.
E’ un ascolto distaccato, amabile, anche se questo atteggiamento di
‘ricordo’ fa affiorare lacune ed errori. Ricordare in questo modo
è, infatti, una possibilità per amarsi perché rende familiari con
il proprio viaggio. Non può esserci nulla di ostile in ciò che è
profondamente nostro. Familiarizzarsi con il viaggio vuol dire
riconoscerne il processo, poter individuare la sua traccia e risalirla
fino alla sorgente. Non si tratta di riconoscere una storia fatta solo
di eventi ma di esplorarne le motivazioni e le sensazioni, rivivere in
essi la nostra identità unica, attraverso la distanza oggettivante
del tempo: dare ascolto al sussurro misterioso di una vita.
E’ un sussurro che rende consapevoli dell’impoverimento a cui
siamo stati sottoposti e fa sorgere il desiderio ardente di ritornare
in possesso delle proprie vere ricchezze. Forse l’anima è fatta di
memoria. Qualcuno dirà: bene, ma alla fine saremo sempre cibo per
vermi. E’ vero, ma almeno avremo risparmiato un sacco di soldi per
le merendine. Se qualcuno invece, meno prosaicamente, crede nel mondo
dello spirito potrà pensare che un’anima nutrita di attenzione,
ascolto, semplicità, consapevolezza attraverso il ricordo di sé,
quindi poco appesantita dal colesterolo, potrà trovare più
facilmente le vie del Cielo, oltre che vivere meglio nel mondo. Ma
questo è un altro discorso.
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