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Waterwall: giochi con l'acqua
José Luis Sànchez-Martìn
Tra le diverse tendenze della danza “contemporanea”, una delle
più importanti è nata stabilendo un rapporto stretto con il teatro,
come quello sperimentato dalla tedesca Pina Bausch, che ha definito
uno stile e una scuola vera e propria a livello internazionale, o più
recentemente quello aggressivo e provocatorio dei britannici DV8 o
quello tragico e potente, quasi pantomimico, della compagnia greca
Edaphos. Un'altra strada percorsa è quella della commistione con i
mezzi audiovisivi, in particolare con le proiezioni video,
riuscitissima negli esperimenti dei canadesi La la la Human Steps, di
grande impatto visivo ed emotivo, o nelle performances leggiadre e
sorprendenti della compagnia Montalvo-Hervieu, che abbiamo avuto il
piacere di vedere nelle ultime tre edizioni del Roma Europa Festival.
Molte altre sono state le "contaminazioni" sperimentate con
la ginnastica, l'acrobazia, il circo, l'architettura, le arti
figurative e tante altre discipline ancora.
La caratteristica fondamentale di quegli esperimenti di commistione
che sono veramente riusciti dal punto di vista artistico è stata
sicuramente il rispetto e la conoscenza profonda delle specificità
sia della danza che delle altre discipline con cui si rapportava.
Anche certe operazioni esclusivamente commerciali nell'ambito della
danza, non potendo contare su una schiera di riconoscibili stelle
televisive come invece fa oggi il teatro per assicurarsi la massa
degli abbonati, hanno puntato su delle apparenti
"contaminazioni" con altre discipline, in modo però
superficiale puntando quasi esclusivamente verso una spettacolarità
facile ed evidente.
Tra queste ultime operazioni commerciali rientra lo spettacolo Waterwall
della compagnia Materiali Resistenti, presentato al Teatro Sistina di
Roma a chiusura della stagione e sbandierato clamorosamente come un
evento-capolavoro "artistico" di incontro tra danza,
architettura, tecnologia e acqua, che nelle intenzioni del coreografo
Ivan Manzoni sarebbe "ancora una volta il risultato della
volontà di superare le barriere architettoniche e linguistiche
tradizionali della danza".
Gli elementi ci sarebbero: una struttura metallica imponente e
articolata meccanicamente, dalla quale gronda acqua in enorme
quantità fino a formare una vera e propria parete (waterwall in
inglese, appunto) e otto danzatrici e due danzatori di buona
preparazione tecnica. In realtà lo spettacolo è poverissimo di idee,
di creatività e di gusto, si basa su qualche passo di danza visto e
rivisto nei varietà televisivi, dai quali trae anche l'atteggiamento
falsamente aggressivo dei danzatori, qualche gesto malamente
scopiazzato dal teatro-danza e dalla spettacolarità sempre uguale a
se stessa dell'effetto dell'acqua in scena.
I danzatori sostano sotto il muro d'acqua, lo attraversano, si
appendono alla struttura, si arrampicano e scendono, sempre sotto
l'acqua, senza che in realtà succeda qualcosa di veramente
interessante dal punto di vista coreografico. La compagnia si spiega
-ma sembra più una giustificazione-, dicendo che "la ricerca
drammaturgica è stata sostituita dallo studio delle potenzialità
offerte dall'incontro-scontro della forza dell'acqua imbrigliata nella
struttura e le potenzialità del corpo umano".
Al risultato finale non aggiungono niente i banali e prevedibili
giochi di luci, mentre le musiche originali di Domenico Mezzatesta,
-una martellante raccolta dei luoghi comuni della musica elettronica-
cercano di colpire e coinvolgere con la quantità e il volume, volendo
essere un contenitore "artistico" che dia una dignità
d'autore e di contemporaneità al tutto. Noioso, ripetitivo,
gratuitamente cupo, e per di più costoso.
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