Lo sviluppo di codici etici per le
aziende
Alessandra Pauncz
Questo saggio appare sul numero 2/2000 della Nuova Serie della
rivista Filosofia e Questioni Pubbliche diretta da Sebastiano
Maffettone. Per ulteriori informazioni potete collegarvi al sito della
Luiss Edizioni o
scrivere all'indirizzo e-mail edizioni@luiss.it

Introduzione
La presente ricerca affronta i problemi che riguardano l’etica degli
affari come disciplina che si occupa fondamentalmente di individui:
delle loro relazioni con altri individui all’interno dell’impresa,
in veste di colleghi e superiori, e delle loro relazioni con le
imprese nella veste di stakeholders. In ogni caso, si tratta di
individui che hanno interessi comuni alla realizzazione positiva dell’azienda.
La caratterizzazione degli individui come dipendenti, consumatori e
così via, non è interamente soddisfacente perché non tiene conto
del fatto che individui di sesso diverso possono avere (e di fatto
solitamente hanno) interessi e preferenze diverse che possano talora
entrare in conflitto. La domanda alla quale intendiamo dare una
risposta con le pagine che seguono è dunque: quali strumenti teorici
sono rilevanti per rendere conto delle differenze, e della giusta ed
equa soluzione di conflitti che possono nascere fra diversi
stakeholders di sesso diverso?
È ben noto che nell’etica degli affari ha riscosso un successo
particolare un approccio apertamente individualista come il
neocontrattualismo di John Rawls, che costituisce uno dei fili
conduttori degli interventi che compongono la presente ricerca. Da un
punto di vista contrattualista, schemi mutuamente vantaggiosi di
cooperazione sociale (Rawls pensava prevalentemente alle istituzioni
fondamentali della società, ma questa restrizione non è necessaria)
possono essere giustificati sulla base di un contratto che persone
autointeressate stipulerebbero in condizioni appropriate. La
condizione di anonimato generata dal velo di ignoranza dovrebbe
garantire l’imparzialità del risultato raggiunto. Tuttavia, in
alcuni casi è necessario chiedersi rispetto a che cosa sia necessario
valutare l’imparzialità delle istituzioni.
L’impressione è che istituzioni apparentemente imparziali se
commisurate ad individui astratti, finiscano col risultare tutt’altro
che imparziali quando applicate ad individui in carne ed ossa. Questo
vale per le istituzioni complessive della società non meno che per i
regolamenti interni delle aziende. Che non sia una questione di poco
conto è testimoniato dal seguente episodio: nel libro in cui espone
il proprio modello teorico, Una teoria della giustizia, Rawls afferma
che le istituzioni giuste non dovrebbero discriminare alcun individuo
sulla base «del suo posto nella società, della sua classe o status
sociale […] della sua fortuna nella distribuzione dei beni e dei
talenti naturali, la sua abilità e forza e simili».
Come è stato fatto notare, tuttavia, da questa lista mancano le
differenze di genere, ossia la considerazione ovvia che prima che
essere divisi in ricchi e poveri, abili e inetti, gli esseri umani si
dividono in uomini e donne. Naturalmente, questa non può essere
considerata una critica a Rawls, il quale ha in seguito corretto la
sua posizione inserendo le differenze di «sesso e di genere» tra le
caratteristiche dalle quali le istituzioni giuste devono astrarre.
Vogliamo solo richiamare l’attenzione sul fatto che nonostante l’onnipresenza
della divisione di genere (o forse proprio a causa di ciò) questa
resta sovente invisibile, anche quando ignorarla può condurre a gravi
errori teorici.
La differenza di genere tende a sollevare una classe piuttosto ampia
di problematiche all’interno delle imprese, pubbliche o private,
che, pur trovandosi spesso intrecciate tra loro, possono tuttavia
essere distinte in modo piuttosto agevole. Il primo nodo è
naturalmente rappresentato dal tema classico della discriminazione
delle donne sul posto di lavoro.
Studi storici e sociologici hanno ampiamente dimostrato che, per
ragioni talvolta anche profondamente diverse, il lavoro delle donne è
stato tradizionalmente remunerato meno di quello maschile. In anni
più recenti, dopo che in pressoché tutti i settori del lavoro
dipendente si è imposto il principio della uguale remunerazione a
parità di mansione, questa discriminazione ha assunto la veste meno
brutale, ma non per questo meno reale, del cosiddetto «soffitto di
cristallo»: anche in assenza di discriminazioni formali, la presenza
delle donne nelle professioni più prestigiose e remunerate (o nei
settori più prestigiosi di quasi tutte le professioni) continua ad
essere scarsa se non trascurabile. Un tetto invisibile sembra separare
le donne dai posti di maggior responsabilità e prestigio.
Questa realtà, presente anche in paesi nel complesso «avanzati»
come gli Stati Uniti, è particolarmente evidente in Italia, dove
prevale una struttura familiare rigida, nella quale una parte
considerevole del lavoro di cura è tradizionalmente svolto dai membri
femminili. Il carico di lavoro che ne deriva costringe spesso le donne
a lasciare posti di lavoro che richiedono un impegno gravoso, ma che
possono essere fonte di prestigio e di realizzazione personale. Ai
problemi sollevati dalla struttura familiare si aggiunge l’incapacità
da parte dello Stato di fornire strutture in grado di sostenere le
donne impiegate in lavori o carriere impegnative (asili per i piccoli,
uffici pubblici funzionanti e con orari compatibili con i ritmi del
lavoro eccetera).
Il secondo punto è rappresentato dalle molestie sessuali sul posto di
lavoro. Per molte persone, uomini e donne, è molto difficile
riconoscere i comportamenti che rientrano nella definizione di
molestie sessuali e valutare la diffusione e la gravità del problema.
L’apparente complessità della questione non deve scoraggiare, dato
che, per fortuna, esiste un’ampia riflessione maturata soprattutto
nell’ambito della Comunità europea che ci permette, anche sulla
base delle ricerche effettuate nei vari Stati membri, di definire il
problema e di poter evidenziare strategie che favoriscano la
cessazione dei comportamenti molesti.
Nel complesso, in questo come in altri casi può essere utile indagare
fino a che punto schemi informali di enforcement di norme di condotta
in grado di regolare le relazioni tra i sessi e di ridurre l’incidenza
di situazioni conflittuali siano preferibili a forme più
istituzionalizzate di intervento (denunce, processi eccetera).
In una prospettiva liberale la prima classe di interventi è
certamente da preferire, anche se va ricordato che soluzioni
«spontanee» ai problemi posti dalle molestie sessuali sembrano
possibili solo nei casi in cui sia diffusa una cultura del rispetto
reciproco tra i sessi, condizione che può essere creata con appositi
momenti formativi, quando esiste un chiaro impegno e una netta
intolleranza al comportamento molesto da parte di chi gestisce il
potere aziendale.
Un ultimo aspetto dei rapporti tra i sessi nel mondo del lavoro, che
fino a questo momento ha ricevuto un’attenzione minore di quanto
probabilmente meritava, ha a che fare con le conseguenze nella vita
delle donne causate dal clima di intimidazione che si crea nell’ambito
del lavoro quando esistono situazione ambigue. Studi recenti hanno
mostrato come gli effetti da stress post-traumatico, creano non solo
assenteismo e scarsa produttività, ma costringono spesso le donne a
rinunciare al proprio lavoro. Risulta, infatti, che in molti casi sia
la donna molestata stessa a dimettersi dal lavoro o a chiedere il
trasferimento, dovendo affrontare un duplice trauma: le conseguenze
psicologiche e fisiche del comportamento molesto e il fatto di
trovarsi con un lavoro nuovo o addirittura senza lavoro e
conseguentemente di aver compromesso la possibilità di avanzamenti di
carriera.
Lo scopo di questa sezione del lavoro è quello di fornire un quadro
aggiornato della situazione italiana per quello che riguarda i dati
ufficiali sulla diffusione delle molestie sul luogo del lavoro. Si
analizzeranno, in seguito, gli strumenti legislativi attualmente
applicabili e i progetti di legge allo studio del parlamento (inclusi
in appendice), si passerà quindi all’analisi delle definizioni di
cosa costituisca un comportamento molesto e si mostrerà come tale
problema debba essere affrontato come questione legata al genere. Si
renderà brevemente conto di quali siano gli ambienti lavorativi in
cui è più facile che si sviluppino situazioni di molestie sessuali e
gli effetti a breve e lungo termine per chi le subisce. Si concluderà
con alcuni suggerimenti per un codice etico e con indicazioni
formative per affrontare in modo concreto e preventivo i problemi
delle molestie sessuali sul luogo del lavoro.
Quanto sono diffuse le molestie sessuali?
Sono stati condotti numerosi studi sulla diffusione delle molestie
sessuali in Europa e negli Stati Uniti. Da uno studio condotto sui
lavoratori federali del governo degli Stati Uniti commissionato dal
Merit System Protection Board nel 1988 risulta che il 42 per cento
delle donne e il 14 per cento degli uomini sostengono di aver subito
una molestia sessuale nel corso dei due anni precedenti la ricerca. L’esercito
degli Stati Uniti riporta che fra i propri dipendenti nel 1990, il 64
per cento delle donne e il 17 per cento degli uomini hanno subito
molestie sessuali.
L’Europa non sembra presentare una situazione troppo diversa. In
Inghilterra una
indagine condotta dal ministero del Lavoro su 46 mila impiegate di 157
industrie, evidenzia che la molestia sessuale è diffusa nei tre
quarti dei posti di lavoro. Sempre in Inghilterra la Alfred Marks
Bureau riporta che il 51 per cento delle donne interpellate dichiara
di essere stato oggetto di proposte sessuali non desiderate nel corso
della propria esperienza lavorativa. In Spagna una indagine promossa
dall’Unione federale dei lavoratori indica che l’84 per cento
delle donne su cui è stato effettuato lo studio hanno subito varie
forme di molestie sessuali. L’Università di Groningen, per conto
del governo olandese, ha condotto un’inchiesta da cui risulta che il
58 per cento delle intervistate riferisce di aver subito episodi di
molestie sessuali. Anche la Germania ha segnalato, in una indagine
della rivista «Brigitte», che il 59 per cento delle 4.200 segretarie
intervistate hanno testimoniato di aver subito episodi di molestie
sessuali.
La situazione italiana è naturalmente molto simile. Uno studio del
1990 condotto dal coordinamento femminile della Cgil nella zona di
Roma ha rilevato che il 9,8 per cento delle impiegate, il 14,8 per
cento delle operaie e il 22,6 per cento delle funzionarie dichiara di
aver subito molestie sessuali. La Commissione pari opportunità del
Piemonte ha raccolto un questionario distribuito a 700 giornaliste:
sul campione che ha restituito il questionario (17,7 per cento) il
15,3 per cento dichiara di essere stata oggetto di attenzioni sgradite
da parte di persone che per lavoro hanno intervistato. In un altro
studio condotto nel 1992 presso le aziende metalmeccaniche sulla
condizione delle operaie della provincia di Modena risulta che il 44,7
per cento dei soggetti sono stati oggetto di molestie verbali, il 22
per cento di molestie relazionali e il 36,9 per cento di molestie
fisiche. I dati suggeriscono che approssimativamente il 50 per cento
delle donne nel corso della propria vita lavorativa è esposto alle
molestie sessuale, ma questo dato passa al 75 per cento se l’ambito
lavorativo è a maggioranza maschile. La divergenza nei risultati
dipende dalla definizione del comportamento di molestia sessuale. C’è
infatti una discordanza piuttosto significativa a seconda che si
includano, oltre alle molestie fisiche, anche quelle verbali, visive e
relazionali.
La conclusione del lavoro dell’Istituto nazionale di statistica (Istat)
sulla sicurezza dei cittadini, dà modo di verificare l’entità e la
rilevanza del fenomeno delle molestie e violenze sessuali in Italia
oggi. Infatti nel settembre 1998 sono stati resi pubblici i dati
relativi allo studio condotto su 20.064 donne dai 14 ai 59 anni
intervistate telefonicamente, da operatrici attentamente addestrate. I
dati emersi dall’indagine sono stime molto conservatrici rispetto al
problema in quanto le molestie rilevate dallo studio Istat escludono
le molestie verbali, le molestie tramite sguardi e i pedinamenti.
Ciononostante il quadro che emerge è allarmante. Una donna su quattro
ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di molestia
sessuale e 714 mila donne hanno subito uno stupro o un tentato stupro.
Le conseguenze psicologiche della violenza sono molto gravi, le
vittime manifestano spesso uno stato di insicurezza, di collera, di
paura, di depressione o addirittura di vergogna. Tutte le ricerche
internazionali concordano sul fatto che i danni psicologici e sociali
più gravi rispetto ad altre forme di violenza vengono sofferti
proprio dalle vittime di aggressioni sessuali. Il senso di colpa e
vergogna rende difficile alla donna denunciare l’autore della
violenza che è nell’80 per cento dei casi un conoscente o un amico.
Solo il 36 per cento denuncia la violenza, contribuendo così a
nascondere un fenomeno sociale diffuso e drammatico. Le conseguenze
della violenza appaiono particolarmente gravi quando a commetterle è
una persona di fiducia, come è il caso delle molestie sessuali sul
luogo del lavoro.
Sono 728 mila le donne che hanno subito molestie fisiche, ricatti
sessuali o violenze sessuali sul lavoro: il 4,2 per cento delle
lavoratrici. Il ricatto sessuale sembra essere la forma più diffusa e
riguarda infatti più di mezzo milione di italiane. In particolare, la
forma dominante è il ricatto all’assunzione di cui sono vittime 366
mila donne, contro le 238 mila che hanno subito ricatti sessuali per
mantenere il proprio posto di lavoro o per fare avanzamenti di
carriera. Le donne in cerca del primo impiego sono più esposte ai
ricatti sessuali (13,2 per cento) seguite sorprendentemente dalle
libere professioniste, imprenditrici e dirigenti (6,6 per cento).
Risulta che le categorie che agiscono in un ambiente prevalentemente
maschile, sono esposte a ricatti sessuali non solo da parte di
colleghi e superiori, ma anche da parte dei clienti. Nonostante l’immaginario
di emancipazione della donna manager, o forse a causa di questo,
questa categoria di donne è fortemente a rischio.
Nell’analizzare i dati emersi vengono individuati sei sottogruppi.
Il primo gruppo (36,2 per cento) è rappresentato da donne in cerca di
nuovo impiego: casalinghe, lavoratrici in proprio, ex operaie, ex
impiegate nel commercio ed in altri settori privati. Hanno una
licenzia media e nella ricerca del lavoro hanno sperimentato ricatti
sessuali per l’assunzione, ma non sono vittime di altri tipi di
molestie. Il settore occupazionale è quello del commercio o altri
servizi e sono dislocate geograficamente nella parte settentrionale
del paese. Il secondo gruppo (30,5 per cento) è composto da donne
diplomate o laureate che lavorano generalmente nella pubblica
amministrazione come impiegate o dirigenti.
La zona geografica è soprattutto l’Italia centrale e meridionale,
tali donne sono vittime di ricatti per avanzamenti di carriera e di
molestie fisiche. Il terzo gruppo (16,5 per cento) raccoglie donne con
licenza media, soprattutto operaie, dell’industria del Nord Italia
che risultano molestate e a volte violentate da conoscenti, da
colleghi, da datori di lavoro, ma non ricattate sessualmente. Il
quarto gruppo (8,5 per cento) è caratterizzato dalla presenza di più
forme di violenza incluse quelle sessuali, le molestie e i ricatti. Le
donne di questo gruppo hanno generalmente una età più avanzata
(45-59 anni), sono di status sociale più basso e vivono
prevalentemente al Nord. Si tratta di operaie, casalinghe e ritirate
dal lavoro. Il quinto gruppo (4,5 per cento) è caratterizzato da
donne giovani a cui sono state richieste prestazioni sessuali in
cambio dell’assunzione. Tale modalità è diffusa soprattutto al Sud
e su donne prevalentemente giovani (20-34 anni).
L’ultimo gruppo (3,7 per cento) è composto da pensionate, ex
impiegate (55-59 anni) ricattate sia all’assunzione che nel seguito
della loro vita lavorativa. Queste donne sono impiegate nei settori
industriali, dell’istruzione, della sanità e del commercio dell’Italia
nordoccidentale.
L’indagine conclude il rapporto sul lavoro con la seguente
significativa dichiarazione: «In sintesi, il panorama delle molestie
sessuali sul lavoro risulta essere allarmante ed ancora non esplorato
in profondità. Si tratta di un fenomeno diffuso e variegato che
evidenzia sacche di arretratezza culturale anche nel Nord del paese,
ancora sommerse, nonché un livello inusitato di illegalità diffuso
fra donne che già con grande fatica si immettono sul mercato del
lavoro. Sono ricatti e ostacoli al cammino delle donne nel mondo del
lavoro che non si verificano nei confronti del genere maschile e che
rappresentano una grave discriminazione nei confronti di un
consistente numero di cittadine del nostro paese».
Qualche riferimento legislativo
La Comunità europea da almeno quindici anni ha rivolto la propria
attenzione allo studio del problema delle molestie sessuali. In
seguito ai dati riguardo alla diffusione di questo problema negli
Stati membri, è stato raggiunto un accordo per un impegno collettivo
ad elaborare linee guida, programmi di sensibilizzazione e
suggerimenti sui provvedimenti generali auspicabili per affrontare e
combattere il sessismo sul posto di lavoro. In seguito ai lavori della
Commissione permanente sui diritti delle donne del parlamento europeo,
costituita nel 1984, è stato elaborato un documento dedicato al
problema generale della violenza contro le donne. In particolare,
riguardo alle molestie si è chiesto alla Commissione di condurre uno
studio per valutare i costi sostenuti dagli enti previdenziali negli
Stati membri a seguito di malattie o assenze dal lavoro, dovute a
ricatti sessuali e di analizzare la relazione fra il calo della
produttività nelle aziende pubbliche e private, dove tali casi si
siano verificati per la presenza di ricatti sessuali. Si è chiesta,
infine, l’adozione di una direttiva comunitaria affinché gli Stati
membri introducano nella propria legislazione norme apposite e seguano
le raccomandazioni generali dell’Unione Europea.
Per giustificare tali provvedimenti, si considerano le molestie
sessuali una forma di mancato rispetto del principio della parità di
trattamento per l’accesso all’impiego e alle carriere, nonché per
il disagio delle condizioni di lavoro. L’analisi di tali temi è
continuata alacremente presso l’UE: nel 1990 si è prodotta la
risoluzione del Consiglio sulla tutela della dignità degli uomini e
delle donne nel mondo del lavoro, seguito nel 1991 dalle
raccomandazioni della Commissione sulla tutela della dignità delle
donne e degli uomini sul lavoro ed infine, nel 1992, la dichiarazione
del Consiglio relativa all’applicazione della raccomandazione della
Commissione sulla tutela della dignità delle donne e degli uomini nel
mondo del lavoro, compreso il codice di condotta volto a combattere le
molestie sessuali. Rilevante, rispetto al lavoro svolto dall’Unione
Europea, è la convergenza su una definizione di molestie sessuali
(che vedremo nel prossimo paragrafo) e l’attivazione di strumenti
per combattere il problema. Nonostante che nel nostro ordinamento sia
stato introdotto l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di
adottare i provvedimenti necessari per l’attuazione degli atti
comunitari, tuttavia a sei anni di distanza in Italia non esiste
ancora uno strumento legislativo specificamente elaborato per
rispondere al reato delle molestie sessuali sul luogo del lavoro. Ci
sono comunque alcuni progetti di legge al vaglio del parlamento, di
cui il progetto Smuraglia, che prende il nome dal senatore relatore
del disegno di legge, rappresenta quello allo stadio più avanzato.
Tuttavia nell’ordinamento giuridico attuale esistono alcune norme
volte a tutelare i cittadini e che, in alcuni casi particolari,
possono essere applicate quando si presenti una situazione che si
configuri come reato di molestie sessuali. Il codice penale prevede il
reato di molestia o di disturbo delle persone (art. 660 del codice
penale), che si applica se in luogo pubblico o aperto al pubblico
oppure per mezzo del telefono, per petulanza o per altro motivo sia
stata recata molestia o disturbo. Come si intuisce facilmente tale
provvedimento è molto generale e raramente risponde esattamente al
tipo di molestia che viene messa in atto sul luogo di lavoro.
Inoltre, il codice prevede il reato di violenza sessuale (art. 609 bis
del codice penale) anche questo raramente applicabile al nostro caso
perché il molestatore, generalmente non arriva a commettere una vera
e propria violenza, ma agisce piuttosto mediante il ricatto e l’intimidazione
cercando di convincere la vittima a prestare «volontariamente»
favori di carattere sessuale.
Ci sono, inoltre, alcune norme del codice civile che sono attinenti ai
reati di molestie sessuali e si riferiscono alle condizioni generali
di tutela del lavoratore e della lavoratrice. Per esempio l’obbligo
per i datori di lavoro di tutela delle condizioni ambientali dei
propri dipendenti, in cui si sancisce il loro diritto a lavorare in
una situazione di tranquillità e di non ostilità. Infatti, l’art.
2049 del codice civile prevede la responsabilità dei «padroni» e
dei «committenti» «per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro
domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono
adibiti» e allo stesso tempo l’art. 2087 di tutela delle condizioni
di lavoro stabilisce che l’imprenditore è tenuto a tutelare l’integrità
fisica e la personalità morale dei propri lavoratori. I casi di
molestie sessuali vengono così a configurarsi come violazione delle
norme di protezione dei lavoratori/lavoratrici del codice civile.
Se esistano gli strumenti legislativi contro le molestie sessuali, da
quale bisogno scaturisce il nuovo progetto di legge? Il reato di
molestie sessuali, soprattutto in ambito lavorativo, presenta
caratteristiche particolari rispetto ai reati specifici degli artt.
660 e 609 del codice penale. È quindi necessario soffermarsi su quali
siano esattamente le caratteristiche del reato di cui stiamo
discutendo e quale ne sia la definizione.
Definizioni delle molestie sessuali: proposte e problemi
La classificazione dei comportamenti di molestie sessuali fa emergere
chiaramente come tale problema sia legato al genere. Ad esempio in
Fitzgerald vengono individuate cinque categorie: la discriminazione in
base al sesso, pressioni e insinuazioni, imposizioni sessuali,
corruzione sessuale e ricatto sessuale.
Se in linea teorica tutti i comportamenti sovraesposti potrebbero
essere attuati indifferentemente da uomini e donne, nella realtà,
dato che i comportamenti molesti implicano una disparità di potere
nella relazione fra il molestatore e la vittima e la distribuzione di
potere sui posti di lavoro rispecchia quella della società civile,
vittime di molestie sessuali sono predominantemente le donne.
Diventa quindi rilevante quando e se una molestia viene percepita come
tale e da chi. Il livello soggettivo entra piuttosto prepotentemente
in primo piano quando si cerchi di definire la molestia sessuale. Ma
non è solo la percezione personale del comportamento a stabilirne la
tollerabilità, è anche, e forse soprattutto, la tolleranza sociale,
cioè l’opinione che la società in generale condivide rispetto ad
un determinato comportamento, in questo caso, per esempio, il limite
fra un corteggiamento insistente e una molestia.
La percezione personale risulta naturalmente influenzata anche dalla
percezione sociale del comportamento. Potremmo portare come esempio il
modo in cui è cambiata, nel corso del tempo, la definizione di
violenza sui bambini. Se nell’Ottocento si riteneva normale che i
bambini lavorassero dodici ore in fabbrica, oggi tali comportamenti
sono sanzionati per legge e condannati socialmente. La percezione
sociale dell’infanzia è profondamente mutata e conseguentemente le
nostre concezione rispetto a come sia giusto comportarsi. Un esempio
analogo è quello della battaglia per il riconoscimento dei diritti
femminili. All’inizio del secolo esisteva un dibattito sull’opportunità
del voto alle donne, mentre negli anni Settanta si discuteva sulla
possibilità di fare accedere le donne ai concorsi in magistratura, e
per citare un esempio più vicino nel tempo, fino a pochi anni fa, la
legge contro la violenza sessuale era considerata un reato contro la
morale e non contro la persona. Questo sta ad indicare che i
cambiamenti nella percezione sociale dei diritti delle donne sono
stati graduali. Tale esempio ci porta ad asserire che esiste un
contesto sociale, che ha un retaggio storico di discriminazione contro
le donne, che sarebbe ingenuo considerare inoperante nella società
contemporanea. Acquista quindi particolare rilevanza il problema di
genere sia nella percezione personale che in quella sociale,
evidentemente intrecciati in modo complesso.
Come osserva Carmine Ventimiglia nel suo studio sulle molestie
sessuali sul posto del lavoro, la difficoltà della definizione del
comportamento molesto mette in luce due elementi importanti quello
della «percezione» e della «visibilità sociale»: «I processi di
definizione quale che sia il loro oggetto, sono co-evolutivi ad altri
percorsi che ne determinano, con la configurazione e i confini, anche
la problematicità. Mi riferisco al piano della percezione e a quello
della visibilità sociale dei comportamenti individuali. L’uno e l’altro
risultano co-agenti nella composizione di quella soglia individuale e
collettiva attorno a cui si struttura la compatibilità di talune
forme comportamentali, la loro maggiore o minore tollerabilità,
quando non la loro emarginazione ai confini della “norma”. Se poi
iscriviamo tali comportamenti nel contesto della differenza di genere
(maschile e femminile), quella problematica complessità cresce in
ragione di ulteriori elementi quali, ad esempio, la diversità dei
processi di comunicazione tra uomini e donne e la specificità che
acquisiscono biografie e vissuti soggettivi rispetto alla corporeità
e alla dimensione della sessualità».
Data la complessità della questione cercheremo di enucleare due punti
che ci sembrano rilevanti teoricamente, soprattutto in vista di un
codice etico. Tali questioni emergono chiaramente dalla definizione
tentata da Michael Rubenstein nel 1987, secondo la quale: «la
molestia sessuale è condotta verbale o fisica di natura sessuale di
cui l’autore sa o dovrebbe sapere che è offensiva per la vittima.
La molestia sessuale nel mondo del lavoro è considerata illegale
quando:
a) il rifiuto o l’accettazione di tale condotta da parte della
vittima vengono utilizzate o invocate come minaccia, per prendere
decisioni concernenti il suo lavoro e le sue condizioni di lavoro;
b) la vittima può dimostrare che una tale condotta ha avuto
conseguenze sul suo ambiente di lavoro».
Emergono come avevamo anticipato due questioni fondamentali che sono l’intenzionalità
e il non gradimento, entrambe legate alla percezione di senso comune
da due punti di vista diversi. Perché mentre l’intenzionalità
riguarda le convinzioni alla base del comportamento del molestatore,
il non gradimento è invece strettamente relativo alla percezione
soggettiva della vittima.
Risulta infatti evidente che il non gradimento da parte della vittima
si accompagna ad un’altra categoria fondamentale che è quella della
percezione della donna, ma secondo lo studio di Ventimiglia è proprio
nella percezione degli uomini e delle donne su quali comportamenti
rappresentino molestie sessuale che non esiste «corrispondenza, né
per significato né per vissuto né per valore, tra i due termini che
si vorrebbe caratterizzassero la natura della molestia sessuale, vale
a dire l’intenzionalità (dell’uomo) e il non gradimento (della
donna). Tanto è vero che gli uomini non negano l’attivazione di
determinati comportamenti […] il fatto è però, e qui è la
differenza discriminante, che essi li percepiscono, li giustificano e
li rappresentano in un modo completamente diverso da come li
percepiscono, li giustificano e li rappresentano le donne».
Tali discrepanze nella percezione del comportamento molesto pongono in
una luce particolare la definizione prodotta dal progetto di legge
Smuraglia che recita: «Costituisce molestia sessuale ogni atto o
comportamento, anche verbale, a connotazione sessuale o comunque
basato sul sesso, che sia indesiderato e che, di per sé ovvero per la
sua insistenza, sia percepibile, secondo ragionevolezza, come
arrecante offesa alla dignità e libertà della persona che lo
subisce, ovvero sia suscettibile di creare un clima di intimidazione
nei suoi confronti».
La definizione che lega la percezione della persona che subisce
molestia all’idea di «ragionevolezza», mette in evidenza il
problema di chi stabilisce se un comportamento è ragionevolmente o
intollerabilmente molesto. Come abbiamo visto, la percezione maschile
e femminile può variare molto su questo punto e inoltre entrano
necessariamente in gioco la tolleranza ambientale e sociale ai
comportamenti molesti, che abbiamo visto storicamente protendere verso
un atteggiamento di connivenza maschile.
Nella definizione della raccomandazione europea nel 1992 non compare
né l’idea di ragionevolezza della sensibilità della molestata né
l’idea di intenzionalità del molestatore. Tale cambiamento non deve
sorprendere, visto che per nessun altro reato, l’intenzione di chi
commette l’atto ha rilevanza nel definire il reato stesso. Pensiamo,
per esempio ad un padre violento che ritiene di poter picchiare i
figli come metodo correzionale. Pur avendo l’intenzione di educare,
di fatto sta commettendo un reato. Ciononostante, riteniamo che la
diversa percezione del comportamento molesto fra uomini e donne sia un
punto fondamentale che deve essere alla base di qualsiasi progetto di
formazione se si vuole cambiare la concezione generale dei rapporti
fra uomini e donne che investe naturalmente anche i comportamenti sul
posto di lavoro.
La definizione della raccomandazione europea recita: «Qualsiasi
comportamento a connotazione sessuale o altro tipo di comportamento
basato sul sesso, compreso quello di superiori e colleghi, che offende
la dignità delle donne e degli uomini sul lavoro è inammissibile se:
a) è indesiderato, sconveniente o offensivo per la persona che lo
subisce;
b) il suo rigetto o la sua accettazione vengano assunti esplicitamente
o implicitamente dai datori di lavoro o dai dipendenti (compresi i
superiori e i colleghi) a motivo di decisioni inerenti all’accesso
alla formazione professionale, all’assunzione di un lavoratore, al
mantenimento del posto di lavoro, alla promozione, alla retribuzione o
di qualsiasi altra decisione attinente all’impiego;
c) crea un ambiente di lavoro intimidatorio, ostile o umiliante».
A nostro avviso, per le ragioni enucleate (scomparsa degli elementi di
ragionevolezza e di intenzionalità del molestatore) tale definizione
risulta la più appropriata e completa rispetto alle versioni
precedenti e a quella del disegno di legge Smuraglia. La discrepanza
fra le varie definizioni fanno emergere quanto sia complicato
conciliare il sussistere di una diversa percezione del problema tra
uomini e donne. Le loro diverse sensibilità e, in generale, proprio
la differenza di genere introducono due punti di vista diversi sul
problema. A questo si aggiunge che proprio per il tipo di reato è
frequente che la molestia avvenga in luogo privato, in assenza di
testimoni e quindi diventa spesso un confronto fra due individui, in
cui, e questo è il punto, uno dei due si trova in una posizione di
potere ed è generalmente un uomo. Per questo è essenziale che l’azienda
o il servizio pubblico si responsabilizzi rispetto al problema e ponga
sia le linee guida di condotta accettabile, sia programmi di
formazione in cui ci possa essere un confronto fra uomini e donne sui
ruoli sociali e le diverse percezioni dei comportamenti molesti.
Situazioni che favoriscono le molestie sessuali
Alcune norme sociali condivise fra gli individui che lavorano insieme
(contesto sociale) possono rappresentare elementi di rischio per l’insorgenza
delle molestie sessuale: in primo luogo, per esempio, l’assenza di
regolamentazione nei rapporti fra colleghi di lavoro e fra dipendenti
e dirigenti. Infatti, quando non esiste un protocollo aziendale (e di
conseguenza il comportamento molesto non è definito chiaramente e
quindi non è sanzionabile) è più facile che vengano a crearsi
situazioni di grossa ambiguità, che come abbiamo visto incoraggiano
comportamenti scorretti. Oltre alle comunicazioni scritte o verbali un
altro fattore del contesto sociale che deve essere analizzato è la
comunicazione non verbale. Tali segnali sono indicatori dell’atteggiamento
e del rispetto nei confronti delle donne, e influenzano la valutazione
e l’importanza attribuita a comportamenti a sfondo sessuale. Un
esempio di comunicazione non verbale è la presenza di calendari o
programmi di computer a sfondo sessuale, oppure un atteggiamento di
tolleranza dei dirigenti verso scherzi a sfondo sessuale.
Un altro fattore ambientale che favorisce il verificarsi di episodi di
molestie è il tipo di divisione per sesso che si può determinare in
alcuni ambiti lavorativi: per esempio un lavoro tradizionalmente
maschile oppure all’opposto uno tradizionalmente femminile a
direzione maschile.
In ogni caso nessun fattore ambientale può, da solo, determinare l’insorgenza
di comportamenti molesti. Sono piuttosto fattori concorrenti a
caratteristiche personali di uomini che hanno atteggiamenti
antifemminili e misogini. Si è inoltre verificato che i molestatori
sono persone con caratteristiche dominanti e per i quali esiste una
stretta connessione tra sesso e dominanza sociale, e che tendono
«spontaneamente» a usare il potere personale per ricavare vantaggi o
accessi a prestazioni sessuali. In altri casi le molestie sono legate
all’incapacità o non disponibilità a decodificare correttamente i
messaggi per capire quali comportamenti sociali risultano sgraditi
(per esempio la frequenza di comportamenti scherzosi di natura
sessuale: commenti, battute eccetera) ovvero la difficoltà di
discriminare fra comportamenti amichevoli, seduttivi e molesti.
La divisione lavorativa per sesso dei dipendenti è un altro fattore
che influenza l’incidenza delle molestie sul luogo di lavoro, per
cui una maggioranza di dipendenti uomini con bassa frequenza di
dipendenti donne oppure una maggioranza di dipendenti femmine con
superiori maschi rappresentano situazioni in cui particolare
attenzione deve essere dedicata alla questione in esame.
Essendo la molestia legata alla distribuzione di potere anche questa
sarà uno dei fattori da analizzare nel quadro generale dell’azienda.
Infatti, sia una distribuzione di ruoli di grado più elevato fra gli
uomini e di grado più basso fra donne come anche situazioni di ruoli
elevati distribuiti fra uomini, ma con possibilità di carriere anche
per le donne (rivalità fra maschi e femmine), rappresentano
situazioni di disparità «a rischio», soprattutto se c’è una
bassa frequenza di rapporti di collaborazione e solidarietà tra sessi
e una coesione del gruppo dei maschi.
Conseguenze delle molestie sessuali
La reazione di una persona vittima di molestie sessuali dipende da
molti fattori; alcuni soggettivi (caratteristiche psicologiche e
sociali) e altri oggettivi (il piano di realtà). Da una parte,
infatti, ogni individuo possiede delle risorse psicologiche personali
(per esempio un carattere assertivo piuttosto che timido, fiducioso o
modesto, emotivamente stabile o con tratti nevrotici, socievole o
riservato), e sociali (un compagno/a, figli, amici) che possono
aiutarlo ad affrontare la situazione; dall’altra esistono
circostanze oggettive, per esempio le risorse economiche della vittima
oppure quali opzioni ha realisticamente a disposizione nell’affrontare
il molestatore, soprattutto se questi ha un ruolo di potere sulla
vittima.
La maggior parte delle vittime di molestie sessuali non denuncia l’accaduto,
in parte perché, come per lo stupro, sono le vittime a sentirsi in
colpa. Se poi si trovano ad operare in un ambiente lavorativo
tollerante verso atti di discriminazione sessuale le vittime temono
che intraprendere qualsiasi azione contro i molestatori può
ritorcersi in provvedimenti contro di loro, perché ritengono
probabile che saranno le vittime stesse ad essere considerate cause
della molestia.
Una persona vittima di molestie sessuali ripetute si trova ad
affrontare per lungo tempo una situazione molto stressante. Per fare
fronte a questa situazione tende a mettere in atto delle strategie per
gestire le emozioni elicitate dall’evento. Tali reazioni possono
essere di distacco (minimizzazione dell’accaduto ed atteggiamento
distaccato), negazione (si nega il piano di realtà perché affrontare
la situazione è emotivamente troppo oneroso), ridefinizione (si vede
la molestia in una ottica positiva, per esempio come un apprezzamento
della proprio persona), controllo illusorio (la vittima si
responsabilizza per l’accaduto con l’illusione che può
controllare la situazione), sopportazione (si sceglie di tollerare la
situazione).
Tutte le reazioni sopra elencate, se prolungate nel tempo, producono
effetti gravi di disturbi post-traumatici da stress, che sono
«sintomi tipici che seguono l’esposizione ad un fattore traumatico
estremo che implica l’esperienza personale diretta di un evento che
causa o può comportare […] minacce all’integrità fisica».
Gli effetti da stress post-traumatico sono cefalee, vertigini, crisi d’ansia,
palpitazioni, gastriti, nevralgie, disturbi del sonno e dell’alimentazione,
irritabilità, scoppi d’ira, difficoltà a concentrarsi ed eseguire
compiti. Risulta evidente come tali disturbi, oltre a mettere la
persona in grave difficoltà, possono avere conseguenze disastrose sul
lavoro.
Prevenire è meglio che curare: codici etici e formazione
Da quanto detto emerge chiaramente perché un’azienda ha interesse
ad evitare che si verifichino situazioni di molestie sessuali:
indipendentemente dalle cause giudiziarie, che in ogni caso impongono
costi onerosi, è evidente come una situazione di molestie metta la
lavoratrice in una condizione di grossa difficoltà, che può
impedirle di essere efficiente sul lavoro. Cosa può fare un’azienda
per prevenire situazioni di molestie sessuali?
Fra le raccomandazioni europee per la prevenzione vengono individuati
quattro punti chiave. In primo luogo, la «dichiarazione di
principio», cioè un documento in cui viene preso un impegno pubblico
da parte dell’azienda o dei quadri dirigenti in cui si sancisce il
diritto di tutti i lavoratori ad essere trattati con dignità, si
dichiara l’inammissibilità della molestia sessuale sul luogo del
lavoro ed il diritto dei lavoratori/trici a protestare nel caso in cui
siano fatti oggetto di ricatto sessuale. È necessario che questa
dichiarazione di principio contenga una definizione chiara della
condotta non tollerata e che sia esplicitamente dichiarata illecita.
È necessario che nella dichiarazione siano specificate le procedure
di denuncia in caso di molestie sessuali e la possibilità di accedere
ad un’adeguata assistenza, (torneremo più avanti su questo punto)
è inoltre opportuno che le vittime siano protette contro processi di
vittimizzazione o di rappresaglia e che vengano applicate le sanzioni
contro coloro che vengono riconosciuti colpevoli di molestie.
Il secondo punto chiave è la comunicazione di questa «dichiarazione
di principio». Occorre, infatti, che tutti i dipendenti e i membri
dell’azienda siano al corrente dei propri diritti, sappiano a chi
indirizzare il proprio reclamo e che il procedimento sarà trattato
con riservatezza e celerità. La funzione ultima del rendere pubblica
ed esplicita la dichiarazione di principio è di comunicare a tutti i
membri dell’azienda quale atteggiamento sia considerato accettabile
e quale no, contribuendo a creare un’atmosfera di lavoro priva di
equivoci, fraintendimenti ed ambiguità.
Il terzo punto è la responsabilizzazione di tutti i componenti dell’azienda
su come comportarsi in presenza di una situazione di molestia. I
dirigenti dovrebbero curarsi di informare il loro personale circa gli
orientamenti della gestione e promuovere attivamente i contenuti del
codice etico o della dichiarazione d’intenti dell’azienda riguardo
alle molestie, allo stesso tempo dovrebbero prestare attenzione e
sostenere ogni membro del personale che sporga denuncia per molestia
sessuale, dare informazioni circostanziate sulle procedure da seguire,
mantenere la riservatezza.
L’ultimo punto riguarda la formazione, attraverso cui si cerca di
evidenziare quali fattori contribuiscano a rendere un ambiente di
lavoro esente da siffatti comportamenti; allo stesso tempo
sensibilizzando i partecipanti rispetto alle proprie responsabilità
nell’ambito della politica aziendale. Di fondamentale importanza è
che la persona incaricata di raccogliere le denunce, oltre ad essere
esterna all’azienda, sia opportunamente formata e possibilmente di
sesso femminile.
Oltre ai quattro punti centrali per la prevenzione, occorre stabilire
delle procedure chiare e dirette per affrontare i casi di molestia.
Nel caso si verifichi una situazione di molestie sessuali ci sono
fondamentalmente due possibilità di intervento: una ricerca di
soluzione informale ed una denuncia formale. La maggior parte di
coloro che sono oggetto di molestie desiderano semplicemente che il
comportamento molesto cessi. Una disponibilità ad una soluzione
rapida ed informale va quindi meglio incontro sia alle esigenze dell’azienda
che a quelle della vittima delle molestie. Il primo passo in tale
direzione è quello di far sapere in modo chiaro ed inequivocabile a
chi commette molestie che il suo comportamento risulta sgradito. Ove
ciò non risulti possibile, oppure sia già fallito ogni tentativo di
comunicazione diretta, può intervenire il consulente di fiducia
richiamando il molestatore ad assumersi le sue responsabilità
rispetto al proprio comportamento.
È necessario che ci sia una figura professionale competente,
incaricata di fornire consulenza ed assistenza a chi subisce molestie
e che abbia l’autorità e la responsabilità di contribuire alla
soluzione di qualsiasi problema, sia con mezzi informali che formali.
È importante che sia una figura esterna, ma che raccolga il consenso
dei sindacati e dei dipendenti, che sia una donna e che abbia una
formazione professionale specificamente legata ai problemi di etica
degli affari e di comprensione degli effetti da stress
post-traumatico. Inoltre, è necessario che conosca le procedure
aziendali da adottare e che abbia a disposizione adeguate risorse per
ottemperare alle proprie mansioni e per proteggersi da eventuali
ritorsioni.
Se le procedure informali non riescono a far cessare la situazione, o
se la gravità della situazione lo richiede, si può procedere per vie
formali attraverso una denuncia, senza ricorrere ad una querela
giudiziaria, ma intraprendendo un procedimento formalizzato interno
all’azienda. In questo caso, verranno avviate delle indagini
interne, che dovranno essere svolte con sensibilità e con il dovuto
rispetto per i diritti sia del querelante che del presunto
molestatore. Devono essere interrogati eventuali testimoni e deve
essere sentito il presunto molestatore. Se al termine dell’indagine
si ravvedano gli estremi della molestia occorre che siano presi dei
provvedimenti disciplinari, siano questi il richiamo, il trasferimento
o, in casi particolarmente gravi, il licenziamento.
La dichiarazione di principio, le procedure e i vari elementi che
fanno parte della prevenzione, sono aspetti diversi che possono
rientrare nel codice etico di condotta sulle molestie sessuali. Tale
codice dovrebbe rispettare tutti i principi esposti, in una
codificazione che includa:
1) principi generali: una dichiarazione di principio sulla dignità ed
il rispetto del lavoratore/trice e una definizione di molestie
sessuale, che includa esempi di tipologie di molestie sessuali;
2) procedure per il trattamento dei casi di molestie sessuali:
individuazione dei responsabili dell’applicazione del codice, ambito
di applicazione, procedimento di segnalazione (formale, informale),
spiegazione dettagliata dei diversi tipi di procedure;
3) risorse e strumenti: individuazione di una persona responsabile
della raccolta delle segnalazioni (consigliere di fiducia), compiti di
tale persona, garanzia di riservatezza, azioni positive e attività di
informazione;
4) sanzionamenti ed assunzione di responsabilità dell’ente nell’applicazione
del codice.
Se per affrontare in modo efficace i problemi di molestie è di
fondamentale importanza l’assunzione di responsabilità del problema
da parte dell’azienda e l’adozione di un codice etico, o almeno di
una dichiarazione di intenti, altrettanto importante è il livello di
circolazione delle informazioni nell’azienda, la condivisione del
progetto ed un clima di collaborazione e fiducia. Attraverso la
formazione si possono creare momenti di forte crescita aziendale e si
possono rendere pubbliche le nuove regole di condotta in un modo che
non venga visto come una pesante ingerenza esterna, ma piuttosto come
un necessario strumento per il rispetto reciproco e la possibilità di
lavorare in un ambiente scevro da ostilità e ambiguità. È
importante che il momento di creazione del codice e quello della
formazione siano sempre integrati, onde evitare da un lato che, come
si è spesso verificato in passato, il codice rimanga lettera morta,
o, ancora peggio, che venga percepito con ostilità proprio dalla
persone alle quali esso è indirizzato.
Appendice
Disegni di legge sulle molestie sessuali
presentati al parlamento italiano
Senato - Relazione 38-A
disegno di legge n. 38
d’iniziativa dei senatori Smuraglia et al.
Art. 1
Molestie sessuali
1. Ai fini della presente legge, costituisce molestia sessuale ogni
atto o comportamento, anche verbale, a connotazione sessuale o
comunque basato sul sesso, che sia indesiderato e che, di per sé
ovvero per la sua insistenza, sia percepibile, secondo ragionevolezza,
come arrecante offesa alla dignità e libertà della persona che lo
subisce, ovvero sia suscettibile di creare un clima di intimidazione
nei suoi confronti.
2. Assumono particolare rilevanza le molestie sessuali che
esplicitamente o implicitamente siano accompagnate da minacce o
ricatti da parte del datore di lavoro o dei superiori gerarchici in
relazione alla costituzione, allo svolgimento ed alla estinzione del
rapporto di lavoro.
3. Costituiscono comportamenti discriminatori ai sensi dell’articolo
4, commi 1 e 2, della legge 10 aprile 1991, n. 125, le molestie che
influiscono sulle decisioni inerenti alla costituzione, svolgimento o
estinzione del rapporto di lavoro.
Art. 2
Ambito di applicazione
1. I comportamenti illeciti di cui all’articolo 1, comma 1,
riguardano tutte le lavoratrici ed i lavoratori appartenenti a tutte
le tipologie di rapporti di lavoro.
2. La tutela è altresì estesa alla fase di trattativa precedente
alla costituzione del rapporto.
Art. 3
Nullità di atti discriminatori
1. Tutti gli atti o patti che derivino da atto discriminatorio per
sesso conseguente alla molestia sessuale e, particolarmente, da
ricatti o minacce accompagnati a molestia sessuale, sono nulli.
Art. 4
Obblighi del datore di lavoro
1. Il datore di lavoro, pubblico o privato, è tenuto ad adottare, d’intesa
con le rappresentanze sindacali aziendali e il consigliere di parità,
le iniziative necessarie ai fini della formazione, della informazione
e della prevenzione relative alle problematiche di cui all’articolo
1.
2. Qualora siano denunciati al datore di lavoro i comportamenti di cui
all’articolo 1, egli ha l’obbligo di porre in atto procedure
tempestive e imparziali di accertamento, assicurando la riservatezza
dei soggetti coinvolti.
Art. 5
Ulteriori competenze dei consiglieri di parità
1. I consiglieri di parità di cui all’articolo 8 della legge 10
aprile 1991, n. 125, e i centri per la parità e le pari opportunità
aziendali di cui al comma 3 dell’articolo 1 della medesima legge,
svolgono anche funzione di assistenza e consulenza per le lavoratrici
ed i lavoratori che subiscano atti di molestia o ricatti sessuali,
garantendo la riservatezza ogni volta che gli interessati intendano
mantenerla. Tali funzioni dei consiglieri di parità devono essere
portate a conoscenza dei lavoratori e delle lavoratrici nelle singole
aziende, mediante affissione del presente articolo, in luogo
accessibile a tutti, a cura dei datori di lavoro.
2. Ai consiglieri di parità devono essere assegnati mezzi e strumenti
necessari, per l’espletamento anche di questo compito, a cura dell’ufficio
del lavoro competente ai sensi dell’articolo 8 della legge 10 aprile
1991, n. 125. Con decreto da emanarsi entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge, il ministro del Lavoro e della
previdenza sociale definisce, nell’ambito delle ordinarie dotazioni
di bilancio, gli strumenti ed i mezzi di cui i consiglieri di parità
devono essere dotati, sia per i fini della citata legge n. 125 del
1991 sia in relazione alle funzioni di cui alla presente legge ed
impartisce precise direttive circa l’assistenza legale dei
consiglieri di parità per tutte le ipotesi in cui essi sono
legittimati a stare in giudizio.
3. I datori di lavoro che occupino più di 15 dipendenti portano a
conoscenza dei lavoratori, mediante affissione in luogo accessibile a
tutti, il nome, il recapito e le competenze del consigliere di
parità.
Art. 6
Conseguenze dei comportamenti scorretti
1. Le promozioni, le migliori qualifiche o i trasferimenti ottenuti
con comportamenti scorretti a connotazione sessuale sono annullabili a
richiesta della persona danneggiata.
Art. 7
Dimissioni per giusta causa
1. Qualora i comportamenti di cui all’articolo 1 siano tenuti
direttamente dal datore di lavoro, le lavoratrici ed i lavoratori
interessati hanno il diritto di risolvere il rapporto senza obbligo di
preavviso. In tal caso, il datore di lavoro sarà tenuto a
corrispondere, oltre al trattamento di fine rapporto, un’indennità,
anche a titolo di risarcimento del danno, di importo compreso tra le
sei e le diciotto mensilità della retribuzione globale in atto al
momento della cessazione del rapporto e comunque non superiore, nel
contratto di lavoro a tempo determinato, al numero dei mesi mancanti
alla cessazione del rapporto di lavoro.
Art. 8
Responsabilità disciplinare
1. Si configurano responsabilità disciplinari nei confronti di coloro
che tengano i comportamenti vietati dalla presente legge, secondo
quanto previsto dalla contrattazione collettiva.
2. Analoga responsabilità può configurarsi anche nell’ipotesi di
consapevole denuncia di fatti inesistenti, compiuta al solo scopo di
denigrare qualcuno o comunque di ottenere vantaggi sul lavoro.
Art. 9
Azioni in giudizio
1. La persona che abbia subito molestie nel luogo di lavoro o sia
esposta comunque ai comportamenti di cui all’articolo 1 e non
ritenga di avvalersi della procedura di conciliazione prevista dai
contratti collettivi, ma intenda agire in giudizio, può promuovere il
tentativo di conciliazione ai sensi dell’articolo 410 del codice di
procedura civile, anche attraverso il consigliere di parità, ove
esista, ferma restando l’applicazione, anche alle ipotesi
considerate nella presente disciplina, dell’articolo 8, comma 8,
della legge 10 aprile 1991, n. 125. Si applicano, per il ricorso in
giudizio, le disposizioni di cui all’articolo 413 del codice di
procedura civile, le disposizioni dell’articolo 15 della legge 9
dicembre 1977, n. 903, e quelle dell’articolo 4, limitatamente ai
commi 6, 7 e 8, della legge 10 aprile 1991, n. 125. Nel giudizio
previsto dal presente articolo deve essere in ogni caso presente l’autore
materiale del comportamento molesto.
2. Con lo stesso provvedimento di cui all’articolo 15, primo comma,
della legge 9 dicembre 1977, n. 903, il pretore condanna altresì il
responsabile del comportamento molesto al risarcimento del danno, che
liquida in forma equitativa.
3. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai
dipendenti pubblici.
Art. 10
Pubblicazione del provvedimento pretorile
1. Nei casi più gravi, su istanza della parte interessata, il giudice
può disporre che il provvedimento definitivo di condanna o di
assoluzione venga pubblicato, a cura del datore di lavoro, mediante
affissione in luogo accessibile a tutti i dipendenti, omettendo il
nome della persona che ha subíto la molestia.
Art. 11
Azioni positive e attività d’informazione
1. Costituiscono azioni positive, anche ai fini dell’ammissione ai
finanziamenti di cui all’articolo 2 della legge 10 aprile 1991, n.
125, i progetti che comprendono piani dettagliati di prevenzione,
formazione ed informazione nella materia oggetto della presente legge,
presentati dai soggetti e con le modalità di cui al medesimo articolo
2 della citata legge n. 125 del 1991.
2. Apposite campagne di informazione sono predisposte annualmente dal
Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di
trattamento e uguaglianza di opportunità fra lavoratori e lavoratrici
e dalle commissioni regionali, sul tema delle molestie sessuali.
Art. 12
Nullità dei provvedimenti di ritorsione
1. I provvedimenti relativi alla posizione soggettiva del lavoratore
dipendente che abbia denunciato comportamenti di molestia da parte del
datore di lavoro o di superiori gerarchici, in qualunque modo
peggiorativi della sua condizione, quali trasferimenti, licenziamenti
e simili, adottati entro un anno dal momento della denuncia, si
presumono a contenuto discriminatorio.
2. È tuttavia consentita la prova contraria ai sensi dell’articolo
2728, secondo comma, del codice civile.
3. Analogo trattamento è riservato ai testimoni che hanno deposto in
senso conforme alla denuncia.
Art. 13
Assemblee
1. Ad integrazione di quanto disposto dall’articolo 20 della legge
20 maggio 1970, n. 300, le lavoratrici e i lavoratori, separatamente,
hanno diritto a tre ore di assemblea annue, fuori dall’orario di
lavoro, per discutere sul tema dei rapporti sui luoghi di lavoro e sui
comportamenti discriminatori o molesti per ragioni di sesso tenuti
nell’ambiente di lavoro, da colleghi di lavoro, da superiori
gerarchici e dallo stesso datore di lavoro. Le assemblee sono indette
con le modalità e si svolgono nelle forme di cui al predetto articolo
20 della citata legge n. 300 del 1970. Spetta esclusivamente all’assemblea
decidere se e quando consentire la partecipazione all’assemblea di
dirigenti sindacali, anche esterni, ed esperti.
Disegno di legge n. 1150
d’iniziativa dei senatori Mulas et al.
Art. 1
Molestie sessuali
1. Ai fini della presente legge, costituisce molestia sessuale ogni
atto o comportamento anche verbale a connotazione sessuale o comunque
basato sul sesso che persista, anche quando è stato
inequivocabilmente dichiarato dalla persona che lo subisce che tale
comportamento è giudicato offensivo, così pregiudicando
oggettivamente la sua dignità nell’ambiente di lavoro.
2. Assumono particolare rilevanza le molestie sessuali che siano
accompagnate da minacce o ricatti del datore di lavoro o dei superiori
gerarchici.
3. In sede di valutazione della manifestazione di volontà del
soggetto molestato, si dovrà altresì tenere conto della condotta da
quest’ultimo tenuta nei confronti del molestatore, anche fuori dell’ambiente
di lavoro, nelle fasi precedenti il comportamento denunciato. Della
menzionata condotta si dovrà altresì tenere conto ai fini della
valutazione della gravità del comportamento molesto in sede di
determinazione della indennità di cui all’articolo 4, e dell’eventuale
risarcimento del danno di cui all’articolo 6.
Art. 2
Ambito di applicazione
1. Gli atti o comportamenti di cui all’articolo 1 riguardano tutti i
rapporti di lavoro, anche pubblici, ad esclusione di quello di lavoro
autonomo e di collaborazione coordinata e continuativa.
Art. 3
Conseguenze dei comportamenti scorretti
1. Gli atti o comportamenti, anche verbali, a connotazione sessuale o
comunque basati sul sesso, attraverso i quali i lavoratori o le
lavoratrici tendono ad ottenere vantaggi sul lavoro, costituiscono
giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro.
2. Gli atti che attribuiscono vantaggi sul lavoro, ottenuti dal
lavoratore o dalla lavoratrice con gli atti o i comportamenti di cui
al comma precedente, sono nulli. La nullità può essere fatta valere
da qualsiasi lavoratore dipendente dallo stesso datore di lavoro.
Art. 4
Dimissioni per giusta causa
1. Qualora gli atti o comportamenti di cui all’articolo 1, comma 1,
siano tenuti direttamente dal datore di lavoro, le lavoratrici o i
lavoratori molestati hanno il diritto di recedere dal contratto di
lavoro per giusta causa. In tal caso il datore di lavoro sarà tenuto
a corrispondere, in luogo dell’indennità sostitutiva del preavviso,
in proporzione alla gravità del comportamento molesto, un’indennità
di importo compreso tra le due e le sei mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto e comunque non superiore, nel contratto
di lavoro a tempo determinato, al numero dei mesi mancanti alla
cessazione del rapporto.
Art. 5
Responsabilità disciplinare
1. I comportamenti vietati dalla presente legge costituiscono illecito
disciplinare, secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva.
2. Fatta salva l’applicabilità dell’articolo 368 del codice
penale, analoga responsabilità può configurarsi nell’ipotesi di
denuncia di fatti inesistenti, compiuta al solo scopo di denigrare
qualcuno o comunque di ottenere vantaggi sul lavoro.
Art. 6
Azione in giudizio
1. La persona che abbia subito molestie sessuali nel luogo di lavoro
ha diritto al risarcimento del danno da parte dell’autore della
molestia. Si applicano per il ricorso in giudizio le disposizioni di
cui all’articolo 413 del codice di procedura civile. Nel giudizio
previsto dal presente articolo deve essere in ogni caso presente l’autore
materiale del comportamento molesto.
2. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche ai dipendenti
pubblici.
Art. 7
Pubblicazione del provvedimento giudiziario
1. Nei casi più gravi, su istanza della parte interessata, il giudice
può disporre che il provvedimento definitivo di condanna o di
assoluzione venga pubblicato mediante affissione in luogo accessibile
a tutti i dipendenti, omettendo il nome della persona che ha subito la
molestia.
Art. 8
Nullità dei provvedimenti di ritorsione
1. I provvedimenti relativi alla posizione soggettiva del lavoratore
dipendente che abbia denunciato comportamenti di molestia da parte del
datore di lavoro o di superiori gerarchici, in qualunque modo
peggiorativi della sua condizione, adottati entro un anno dal momento
della denuncia, si presumono a contenuto discriminatorio.
2. È tuttavia consentita la prova contraria ai sensi dell’articolo
2728, secondo comma, del codice civile.
3. Analogo trattamento è riservato ai testimoni che hanno deposto in
senso conforme alla denuncia.
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