
|
La natura siamo noi
Giovanni Battista Clemente e Massimo Rosati
Esiste una relazione tra i dibattiti sui diritti degli omosessuali, la
legislazione sulla famiglia, le conseguenze della rivoluzione
biotecnologica, l’eutanasia e l’aborto? Esiste un nodo di fondo
che tutte le controversie di questo genere sono costrette, prima o poi
- anche solo implicitamente - ad affrontare, e che spesso divide,
almeno nel nostro paese, laici e cattolici, sinistra e destra, ma che
alle volte apre anche profonde fratture all’interno dei singoli
campi?
Esiste, in altri termini, una posta in palio che, al di là delle
polemiche contingenti e strumentali, viene segretamente appetita ogni
qual volta si infiamma la polemica intorno alle questioni cruciali
della nuova agenda politico-culturale? Il punto nevralgico di questo
genere di dibattiti è rappresentato, con pochi dubbi, niente di meno
che dall’idea di natura umana.
Era la definizione di questo concetto, la possibilità di farne uno
strumento al servizio della legislazione morale e sociale, di
continuare a farvi ricorso come base delle norme sociali che, al di
là della polemica strumentale sul carattere sacro della città di
Roma, rappresentava il vero cuore della polemica sul Gay Pride
della scorsa estate, così come di quelle quasi quotidiane sulla
fecondazione assistita, sulla clonazione e via discorrendo. Perché,
dunque, non dire le cose come stanno, e cercare di esplicitare le
proprie posizioni, con coraggio e onestà intellettuale e politica?
La natura umana viene normalmente intesa come una “struttura
sottratta alle trasformazioni e incertezze della storia”, tanto “ovvia”
e “immutabile” da costituire un fondamento saldo dal quale
derivare incontrovertibili e oggettive norme morali e sociali. È
questa la funzione che più spesso si attribuisce all’idea di natura
umana: essa rappresenta il bandolo della matassa dei nostri giudizi
morali e dei nostri ordinamenti sociali, che da quel principio
(sottratto al relativismo della storia e delle culture) ricavano così
la loro legittimazione.
L’uso che è stato fatto dell’idea di natura umana è stato, nel
corso della storia, ambivalente: se ne sono serviti conservatori e
progressisti, critici dell’eguaglianza tra gli individui e suoi
fautori, uomini di fede, atei e laici. Per giustificare questa nozione
(singolare necessità per qualcosa che dovrebbe essere invece la base
di ogni altra giustificazione!) si è ricorsi a diverse strategie:
dalla religione rivelata (la più potente e dura a morire di tutte)
alla biologia, dalla sociologia di ispirazione biologista alla
metafisica occidentale.
Tuttavia, nessuna di queste strategie si è dimostrata vincente una
volta per tutte, nessuna è riuscita a provare che qualcosa come la natura
umana esista, sia là fuori, innegabilmente e
incontrovertibilmente. Sia chiaro, qui non si vuole sostenere che gli
esseri umani siano privi di necessità o bisogni “naturali”, ma
più semplicemente mettere in questione l’essere sottratto di questi
ultimi alle trasformazioni e incertezze della storia. Per farla breve,
basta forse ricordare come l’antropologia culturale - come anche
altre scienze umane - ha mostrato che di nature umane ne esistono
quasi tante quanti sono i popoli che hanno abitato e abitano il
pianeta, e che ognuna rivendica la stessa immutabilità e ovvietà.
Ancor più è importante ricordare (come ha fatto Ronald Dworkin
intervenendo nel dibattito sulla clonazione, cfr. Reset, n. 56,
1999) come l’uomo da sempre nutre una certa attitudine prometeica,
una tendenza a “scherzare con il fuoco”, a trasformare se stesso e
la propria “natura”: nulla di più evidente dovrebbe esistere nel
momento in cui la scienza ci mette a disposizione i “segreti” del
genoma e la possibilità di intervenire su noi stessi per togliere
dalle mani di Dio non solo l’autorità sulla vita e la morte
(autorità dalla quale è già stato destituito tempo fa), ma anche
quella di far sì che siamo quelli che noi siamo - esseri umani con
certe caratteristiche - e non altrimenti.
Non suoni questo discorso offensivo. Né suoni allarmante per quanti
fanno ricorso all’idea di natura umana quale fondamento di una
morale oggettiva e universale da opporre al relativismo e alle sue
possibili aberranti conseguenze (come quelle che ha in mente chi teme
l’uso improprio della manipolazione della “natura” umana): “neanche
noi” - scrive Vattimo - “gay orgogliosi, o solo persone che si
sforzano di vivere ragionevolmente, vogliamo una morale affidata all’arbitrio
e al desiderio del momentaneo.
Non però in omaggio alla natura (…)”, bensì in omaggio ad altri
valori - radicati nella nostra identità collettiva e molto spesso
espressione laica ancor più che secolarizzata di antichi valori
cristiani e vetero-testamentali - che non vogliamo tradire, primo tra
tutti quello dell’eguale rispetto da accordare a ogni individuo,
quale che sia l’immagine della vita buona che orienta la sua
condotta morale. In questo senso, la vera natura da non tradire siamo
noi e la nostra identità di persone che si riconoscono eguali diritti
e eguali doveri di rispetto reciproco, un’identità che si sforza di
essere tollerante anche con quanti simili princìpi non hanno - si
spera “ancora” - metabolizzato come loro “seconda natura”.
Naturalmente chi noi siamo e chi vogliamo essere è il risultato di un
processo democratico, e anzi la stessa democrazia - lungi dall’essere
solo un insieme di procedure vuote - ha un valore morale proprio in
quanto forma di autogoverno più rispettosa del principio dell’eguale
rispetto. Ciò significa anche che essere un’identità collettiva
rispettosa del principio dell’eguale rispetto o un altro tipo di
identità dipende solo e soltanto da noi, e di questo ònere - nonché
onore - non ci si può più liberare: fa parte della nostra
condizione post-metafisica.
Le discussioni informali su questioni che riguardano, ad esempio, il
modo di vivere la propria sessualità, assomigliano a quelle sugli
immigrati extra-comunitari: tutti se ne guardano bene dal voler
sembrare razzisti, però… Sarà capitato a tutti, ad esempio, di
notare come - a un certo punto nel corso di una conversazione, a cena
con gli amici, con persone di ogni estrazione sociale e orientamento
politico-culturale - immancabilmente viene calato l’asso nella
manica: “massimo rispetto per chi vuole vivere privatamente la
propria sessualità in un certo modo, ma”, ed ecco il ma, “non
reclamino diritti eguali a quelli delle coppie eterosessuali: la
famiglia ha come scopo la procreazione, la natura normale delle cose
è che…” etc. etc.
Questo modo di ragionare è spesso trasversale rispetto alle identità
politiche, e ha molto più a che fare con la struttura di personalità
- tendenzialmente - autoritarie che con personalità di destra o di
sinistra. La “natura delle cose” è la stessa che viene invocata
per giustificare, magari inconsapevolmente, una certa divisione “per
genere” dei ruoli all’interno della famiglia, determinati rapporti
tra gruppi etnici e così via dicendo. Quel che non si vuole fare,
trasformando la nostra concezione della “natura umana”, è
privarci di un potente argomento che serve a copertura di un certo
modo di concepire i ruoli sociali e la società nel suo insieme:
trasformare questo zoccolo duro di autoritarismo e maschilismo - la
sfera sessuale, lo ricorda Vattimo, è per definizione il luogo dell’autorità
- sarebbe la vera mutazione “antropologica”, e coinciderebbe con
una radicale e profonda trasformazione di noi stessi e delle nostre
peggiori, sotterranee arroganti credenze.
E allora, cosa hanno da dire queste brevi riflessioni ad una sinistra
impegnata - quando pure lo è - nella riflessione sulla propria
identità e il proprio futuro? Siamo convinti che buona parte della
difficoltà della sinistra, italiana e non solo, di mettere in campo
delle politiche di sinistra dipenda non da ultimo da una crisi
di identità, dallo smarrimento (le cui cause sono troppo note per
dover essere richiamate) di un orizzonte ideale, nel senso di “utopico”
e “progettuale”, dall’incapacità di riarticolare un’immagine
della società così come la vorremmo. Questa incapacità non è
imputabile alla sola classe dirigente italiana, è una responsabilità
che va divisa tra tutti coloro che, a sinistra e da sinistra, non
riescono più a spiegare fino in fondo a se stessi e agli altri cosa
significhi “a sinistra e da sinistra”, pur non volendo -
ostinatamente - rinunciare a quel punto di partenza: militanti, donne
e uomini di partito, “intellettuali”, nessuno escluso.
Ciononostante, alla classe dirigente della sinistra italiana qualcosa
è imputabile. In primo luogo, una certa insopportabile sudditanza nei
confronti della Chiesa cattolica e un opportunismo politico che porta,
al tempo stesso, a non volere - né potere, la base ha meno calcoli da
fare - rinunciare a determinati princìpi. Ancora una volta, l’ondeggiante
comportamento tenuto in occasione del Gay Pride infastidisce
per la sua viltà. In secondo luogo, la classe dirigente italiana di
sinistra pecca forse ancor più che di coraggio di miopia. Proprio in
un contesto in cui nessuno di noi sa fino in fondo cosa significhi
dire e fare “una cosa di sinistra”, quelle poche cose chiare e
semplici che ci sono dovrebbero essere alla base di un rilancio “identitario”
sicuro e inequivocabile.
Possibile mai che questioni di principio legate ai diritti non vengano
messe al centro dell’identità di una sinistra laica e
anti-autoritaria fino in fondo, di quella sinistra cioè che l’Italia
non ha quasi mai avuto e che forse va cercando? Non che le questioni
di principio e le battaglie per i diritti vadano sottratte all’ambito
di ciò su cui si può democraticamente discutere e confrontarsi con
altri, ma sottratte all’ambito di ciò che è negoziabile e
barattabile al pari di una mera preferenza. Quando poi il Presidente
del Consiglio usa infelici espressioni come l’ormai famoso - e
giustamente famigerato - “purtroppo c’è la Costituzione che
protegge i diritti di tutti”, in pericolo si sente chi è gay
o ha amici omosessuali, chi è di sinistra e vorrebbe un’identità
radicalmente inclusiva in materia di diritti per la propria parte
politica e chi, semplicemente, crede - da cittadino - che la
Costituzione sia il bene più prezioso che, come comunità politica,
abbiamo.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da
fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |
|
  
|