
|
Contro la "giapponesizzazione"
dell'economia europea
Paul Krugman con Giovanni Antonio Lampis
“In questi anni, il livello di benessere nei paesi occidentali è
aumentato praticamente dappertutto. Addirittura per gli Stati Uniti
alcuni parlano dell'ultimo quinquennio come di un vero e proprio boom,
con tassi di crescita che hanno mantenuto a lungo livelli insperati,
al limite del vero e proprio miracolo economico”, dice Paul Krugman,
professore di Economia al MIT di Boston, uno dei più ascoltati
economisti americani.
“Anche in Europa si sta molto meglio rispetto a qualche tempo fa e
questo induce ad essere complessivamente ottimisti”, prosegue
Krugman. “E tuttavia dobbiamo stare attenti ad evitare una giapponesizzazione
delle economie europea e statunitense. Mi spiego. Il Giappone aveva
una situazione economica molto prospera. Poi ha improvvisamente
rallentato la sua crescita, ha perso il passo e oggi, a distanza di
alcuni anni, stenta ancora a ritrovarlo. E’ qualcosa che potrebbe
capitare anche alle economie dei paesi occidentali. All’Italia
soprattutto”.
Perché? “E’ semplice. In Italia come in Giappone è in atto una
vera e propria emergenza demografica. Nascono sempre meno bambini. Ci
sono sempre più anziani. Si registra una minore propensione agli
investimenti. Sono tutti fattori che nel breve-medio periodo sono
destinati ad esercitare una funzione di freno della crescita
economica, che qui da voi è, di per sé, particolarmente debole”.
Soluzioni? “Nessuna soluzione complicata, di quelle che piacciono
tanto agli economisti di professione”, sorride il professore. “Soltanto
una politica demografica intelligente e una politica economica, e
fiscale in particolare, che consentano di accantonare risorse per far
fronte a difficoltà che inevitabilmente sconteremo nel prossimo
futuro”.
L’economia statunitense, i rapporti tra Casa Bianca e Federal
Reserve, i tassi d’interesse. Nuova Economia, Giappone, andamento
delle Borse e Tiscali.
La parola a Paul Krugman.
Professor Krugman, il 30 aprile scorso sono scaduti i primi 100 giorni
del mandato presidenziale e si è aperta di fatto una nuova fase della
presidenza Bush. Che valutazione dà del quarantatreesimo presidente
degli Stati Uniti d’America e delle linee di politica economica che
ha dimostrato di privilegiare sinora?
”Per il momento, Bush non ha adottato alcuna vera decisione di
politica economica. Da mesi, il presidente continua a parlare di
tagliare le tasse, tagliare la spesa pubblica e restituire agli
americani la ricchezza accumulata in questi ultimi anni. Ma di vero
non c’è stato ancora nulla. Noi economisti stiamo aspettando di
vedere se Bush farà ciò che ha promesso al Paese, o se continuerà a
comportarsi come se fossimo ancora in campagna elettorale”.
Alcuni sostengono che il 2001 sarà il primo anno dell’era Bush.
Altri, sminuendo la cosa, sostengono invece che nel 2001 l’America
entrerà nel quattordicesimo anno dell’era Greenspan. Professore,
chi decide come si governa l’economia statunitense, il presidente o
la Fed?
”La Fed ha poteri molto incisivi nel breve termine. E funziona bene
se è affiancata da un’amministrazione che segue direttrici di
politica economica ragionevoli. Con Clinton alla Casa Bianca,
avevamo una relazione estremamente collaborativa tra presidenza
e Federal Reserve. Con Bush non sappiamo esattamente cosa succederà.
E’ da un po’ che rifletto sulla cosa. Se dovessi dire
sinteticamente come la penso, direi che con Clinton e Greenspan era al
potere quello che al MIT chiamavamo il comitato per la salvezza del
mondo. Con Bush a Washington, temo che avremo al potere soltanto
il comitato taglio delle tasse”.
In un recente discorso radiofonico alla nazione, Bush ha aperto
sottolineando che gli indicatori economici segnalano l’addensarsi di
nubi grige sull’economia americana. In particolare, il presidente ha
parlato di contrazione dei consumi e di costi energetici che pesano
sul tenore di vita degli americani in modo spaventosamente elevato.
Professor Krugman, Bush dice la verità, oppure -come sospettano
in molti- sta solo cercando di organizzare una base ampia di consenso
per la manovra di tagli alle spese e di abbassamento delle tasse che
si prepara a varare tra breve?
”Io su questo ho una posizione piuttosto forte. Credo che al di là
di ogni altra cosa si possa dire che nelle questioni economiche Bush
ha meno rispetto per la verità di qualunque altro suo predecessore
che mi venga in mente. Molto di quello che i suoi consulenti dicono
sul piano delle tasse, ed ora anche sulla questione energia, sono
bugie spudorate. Menzogne che servono per supportare gli interessi
politici del presidente. Io non dico che l’economia non sia in
discesa. Dico soltanto che Bush è la persona meno indicata per
parlare seriamente, con competenza e senso del vero, di queste
questioni”.
Nel 1996, alla vigilia delle elezioni presidenziali che avrebbero
riconfermato Clinton alla guida del Paese, lei dichiarò che avrebbe
votato democratico più per paura della destra estrema, che per
fiducia nei confronti del presidente… A distanza di cinque anni si
sentirebbe di confermare quel giudizio piuttosto pesante nei confronti
di Clinton?
”Clinton è stato un buon presidente. Gli ultimi cinque anni della
sua presidenza sono stati anni di vero e proprio boom per l’economia
americana: ma questo dipende da lui e dalle sue politiche soltanto in
parte. Lo ha aiutato molto l’ottimismo -a volte sconsiderato- che,
specie in una prima fase, ha accompagnato l’emergere della new
economy. E una serie di eventi congiunturali favorevoli”.
“Con questo non voglio affatto sminuire la politica economica della
Casa Bianca. Un grande merito di Clinton è quello di avere instaurato
una relazione fortemente collaborativa con la Federal Reserve. Un
altro suo merito è stato quello di avere proceduto sempre con grande
equilibrio sul versante delle politiche di bilancio e delle politiche
fiscali”.
La Federal Reserve taglia i tassi per esorcizzare i rischi di
recessione. La Banca centrale europea guarda alla riduzione dei tassi
ocn molta più diffidenza. Secondo lei ha ragione Greenspan o
Duisenberg?
”Da quando mi occupo di economia, negli Stati Uniti abbiamo avuto
due fasi recessive molto significative. In entrambi i casi, gli
economisti hanno costantemente sostenuto che tagliare i tassi di
interesse non avrebbe rovesciato la situazione. E invece in entrambi i
casi è successo esattamente il contrario. Quello che mi preoccupa di
più è che il taglio dei tassi arriva sempre troppo tardi e troppo
lentamente. Credo di avere risposto alla sua domanda…”
Professore, ci sono grandi aspettative nei confronti delle nuove
tecnologie. La cosiddetta New Economy è un fenomeno sopravvalutato,
oppure costituisce veramente una svolta epocale e può essere
considerata la rivoluzione del nuovo secolo?
”Non so se sia corretto parlare di rivoluzione. Se parliamo di
aumenti traumatici di produttività legati all’impiego di nuove
tecnologie, allora sì, la new economy esiste come fatto nuovo e molto
significativo. Il problema è che non sappiamo quanto tempo durerà”.
“Per ora io riesco ad apprezzare soprattutto il modo in cui Internet
ha cambiato la nostra vita di tutti i giorni. Dopo che avrò
rilasciato questa intervista, andrò a controllare Internet per vedere
cosa c’è di nuovo e magari scriverò un’articolo su quello che è
successo. Ecco, una cosa del genere sarebbe stata impossibile solo
cinque anni fa”.
Le principali Borse mondiali vengono da un anno molto negativo che ha
colpito soprattutto il Nasdaq e il comparto tecnologico. Secondo lei
le riforme di politica fiscale e monetaria che Bush e Greensapan
stanno mettendo in atto riusciranno a risollevare le quotazioni dei
titoli legati alla new economy?
”Le politiche fiscali e monetarie naturalmente possono fare molto,
moltissimo. La mia impressione però è che ci voglia qualcosa in più
di quanto attualmente viene proposto. Non abbiamo tagliato abbastanza
gli interessi e le politiche fiscali -il taglio alle tasse proposto da
Bush- non potranno esserci utili adesso, ammesso che lo saranno mai”.
Professor Krugman, Tiscali rappresenta il simbolo della nuova economia
italiana ed europea. Renato Soru scommette però sull’Internet
gratis, un business che molti considerano ormai superato. Secondo lei
il modello Tiscali trionferà o è destinato a restare vittima della
feroce selezione darwiniana in atto?
”(Ride). Se fossi stato bravo in questo genere di previsioni,
probabilmente adesso sarei un uomo d’affari molto, molto ricco, e
non un professore”.
“Certo, quest’ultimo anno non è stato molto favorevole alle
aziende che hanno deciso di investire su Internet gratis. E se
facciamo un’analisi più generale, l’unica storia di grande
successo basato su Internet, con profitti reali, è quella di America
on Line, che in effetti non è affatto gratis. Se potessi tirare a
indovinare, direi che le cose vanno in senso esattamente inverso
rispetto alla politica Tiscali di free Internet. Si vedrà”.
Tra pochi mesi ci sarà il debutto ufficiale dell’Euro. Quali
vantaggi concreti potrà portare ai Paesi europei la costituzione di
una moneta unica al posto delle singole monete nazionali?
”Io sono uno di quegli americani brutti e cattivi che pensano che l’Euro
sia soprattutto un’operazione politica e che gli effetti economici
arriveranno soltanto col tempo, nel lungo-lunghissimo termine”.
“Per il momento, i benefici saranno soprattutto di tipo pratico.
Quando si dovrà viaggiare da un Paese all’altro dell’area euro
non si dovrà più fare il cambio di denaro”.
“Faccio un esempio. Io il mese prossimo andrò in Canada. Sarà
molto fastidioso dover andare in Banca e cambiare i nostri dollari con
quelli canadesi. Sarà noioso, ma non drammatico. Insomma, l’introduzione
di una moneta regionale, l’euro in questo caso, risolve alcuni
problemi pratici (poco importanti) ma non incide sui problemi
strutturali -economici, per esempio- che contano davvero. Questo,
almeno, nel breve periodo”.
Professore, l’economia giapponese è sull’orlo del tracollo. La
Banca centrale ha ridotto a zero il costo del denaro. Questa manovra
può favorire il rilancio del sistema economico del Giappone?
”E’ una manovra che non basta. L’economia giapponese ha bisogno
di azioni più aggressive e di politiche pubbliche che consentano di
arrivare a tassi di inflazione più positivi”.
”Azzerare il costo del denaro è stato come gettare una corda verso
un uomo che sta annegando. La corda basta soltanto in parte. Non basta
del tutto. Io sto pressando i giapponesi da tre anni su questo punto e
loro si stanno spostando a piccoli passi e lentamente nella giusta
direzione. Non è ancora abbastanza”.
L’economista Douglas North nel 1995 ha vinto il premio Nobel per il
suo lavoro su efficienza del sistema economico e rendimento delle
istituzioni. La tesi di North è che un sistema economico funziona
meglio soltanto in presenza di un alto livello di rendimento delle
istituzioni. Questa proposizione sembra molto vera se applicata alla
parabola dell’economia giapponese. E’ d’accordo professore?
”Sono d’accordo. La variabile istituzionale è da sempre molto
importante. Stiamo attraversando una fase economica molto, molto
delicata. Per questo il fatto che Bush stia a Washington mi fa ancora
più paura”.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da
fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |
|
  
|