Festival di Primavera
Josè Luis Sànchez-Martìn
Secondo una felice tradizione consolidatasi a Roma grazie alla determinazione e alla
passione del Teatro Vascello, anche quest'anno ha preso il via la rassegna dedicata alla
danza che si svolge fino alla fine di giugno, nel teatro che da lungo tempo si prodiga per
dare spazio, visibilità e lustro alla danza contemporanea, quella nostrana quanto quella
del resto d'Europa.
La rassegna è un'iniziativa del Teatro Stabile d'Innovazione-La fabbrica dell'attore e
vede la presenza di alcune realtà significative della danza contemporanea italiana quali
la compagnia Corte Sconta di Lucia Balis e Cinzia Romiti, la compagnia Altoteatro di Lucia
Latour, il Balletto '90 di Mariagrazia Sarandrea, la Compagnia Giuseppina von Bingen di
Oretta Bizzarri, la Compagnia Il Pudore Bene in Vista che presenterà due lavori distinti:
il primo con la coreografia di Giovanna Summo, uno spettacolo ispirato e dedicato alla
danzatrice scomparsa Anna Sokolow, il secondo scritto e diretto da Fabrizio Crisafulli che
è da anni al fianco della Summo come co-ideatore, regista e progettista luci.
Infine, vero fiore all'occhiello del "Festival di Primavera", chiuderà la
rassegna uno spettacolo internazionale della Ku Na'Uka Theatre Company di Tokio che
metterà in scena La Medea di Euripide sotto la regia di Satoshi Miyagi, che ha già
riscosso un grande successo in giro per il mondo.
In seno alla rassegna vera e propria si svolge parallelamente, dal 5 al 10 maggio, una
serie di iniziative battezzata "Danza dai cinque continenti" (La Danza Etnica e
la Danza Contemporanea), progetto triennale ideato dal regista e direttore artistico
Giancarlo Nanni, avente quest'anno per tema "Estasi e possessione nella musica e
nella danza", che offrirà gratuitamente momenti di approfondimento e scambio quali
proiezioni di video, spettacoli, incontri con artisti, docenti universitari, antropologhi,
etnomusicologhi e seminari pratici rivolti a danzatori, il più singolare dei quali ci
sembra essere quello condotto dal danzatore balinese I Wayan Puspayadi sulla straordinaria
danza dellisola di Bali. Tra le performance è da segnalare quella di Enzo
Gragnaniello e Tony Esposito martedì 5 alle 22 sempre al Teatro Vascello. Per avere
informazioni basta telefonare al teatro allo 06.5881021.
Lo spettacolo su cui ci soffermeremo è quello della Compagnia Altoteatro diretta dalla
coreografa romana, nonché architetto, Lucia Latour, da molti anni impegnata nella ricerca
di nuove frontiere espressive nell'ambito della Danza con una marcata impronta
interdisciplinare nata già a partire dai primi anni Settanta con l'esperienza del
"Gruppo Altro/Lavoro intercodice", che avviò una ricerca sulle
"possibilità intercodice del fare creativo" coinvolgendo in un lavoro fianco a
fianco pittori, danzatori, compositori, poeti, grafici, architetti e fotografi.
Per tutta la metà degli anni Ottanta, conclusasi l'esperienza collettiva del "Gruppo
Altro", Lucia Latour si è spostata verso la ricerca assieme al compositore Luigi
Ceccarelli, "assumendo come tecnica di riferimento una concezione più europea
dell'improvvisazione, legata ai temi della memoria, all'automatismo, alla visionarietà
progettuale sempre mutabile." Di questo periodo fanno parte spettacoli quali Pas
d'espace, Spatium Teca e Lalu La.
Nel 1986 prende infine corpo la Compagnia ALTROTEATRO assieme ad un gruppo di danzatrici
con le quali Latour si cimenterà in una ricerca impostata sul tentativo di
destabilizzare il corpo in un contesto visionario dirigendo il fuoco della propria
indagine dall'improvvisazione alle tecniche di montaggio e che avrà come esito alcuni
spettacoli come "Frili Troupe" o "Naturalmente tua". Attualmente Lucia
Latour e Ketty Russo, da più di dieci anni la sua danzatrice più importante, con la
compagnia ALTROTEATRO presentano i propri spettacoli nei più importanti teatri italiani,
oltre a svolgere tournée internazionali in giro per il mondo.
L'ultimo lavoro presentato al Teatro Vascello, Physico (danza e architettura), si
svolge su un piano di linoleum bianco ideato dall'architetto Orazio Carpenzano che grazie
ad appositi tagli sulla sua superficie può essere sollevato dai danzatori e disposto
nello spazio disegnando ambienti, prospettive, superfici vericali, antri o corridoi tra i
quali e lungo i quali si muovono i danzatori ogni volta in modo diverso.

La colonna sonora di musica elettronica, volutamente cacofonica, viene eseguita dal vivo
da David Barittoni, esasperando al limite dell'ossessività ripetitiva i suoi elementi
tematici fondamentali. L'idea della scena come organismo vivente in cui si attraversano
flussi di energia fisica concreta come lo sono il corpo umano e le superfici
architettoniche confondendosi tra loro, rincorrendosi e sfumando una nell'altra pare di
per sè molto interessante (benché non originale), nel senso di un'estensione dei
confini del corpo (il-corpo-che-si-fa-spazio, appunto, come scritto nelle note del
programma).
Il piano bianco deformabile secondo precise e plastiche geometrie offre innumerevoli
combinazioni suggestive eppure ci sono sembrate affatto valorizzate nella loro intrinseca
funzionalità nel farsi anch'esse corpo della danza, creando spazi in cui la coreografia
vera e propria si potesse articolare davvero, anziché limitarsi ad agirvi accanto o sotto
o dentro come ci è invece parso accadesse nello spettacolo. Se da un lato la
rigorosissima preparazione tecnica di tutte le danzatrici, in grado di agire con
matematica e sottile asincronia sia in ensemble che come soliste, ha provocato un impatto
energetico iniziale forte, in virtù di una precisione formale che diventa essa stessa
contenuto della danza, nel corso dello sviluppo di tutta la coreografia -peraltro
difficilissima da eseguire senza facili riferimenti musicali o spaziali cui poter
ricorrere- tale precisione diventa mero involucro di qualcosa che non ha trovato una
propria specifica identità e quindi pare nascondere un vuoto di contenuti piuttosto che
una cifra stilistica tesa a celare un qualche mistero.
La febbrile concitazione alla quale sono sottoposti i danzatori durante l'intero
spettacolo, ripassando più e più volte gesti uguali in momenti diversi e con energie
diverse, produce alla lunga una monotonia speculare alliperdinamismo maniacale dalla
colonna sonora di rumori elaborati elettronicamente, finendo perciò coll'appiattire quel
gioco di volumi creatosi nello spazio, rilegandolo ad un livello subordinato, decorativo,
inutilmente estetizzante, ovvero l'esatto contrario delle premesse e degli obiettivi posti
dallo spettacolo.
In modo del tutto soggettivo vorremmo affermare quanto il ricorso alle strutture
ammiccanti a sistemi di caos, disarmonia, dissonanza, buio e alienazione meccanica
rappresentino in molti casi non già la rottura al conformismo estetico bensì un nuovo
conformismo, la nuova tradizione da rompere, perché come accade in tutte le altre arti
non esiste il Giusto in sè, il Bello in sè, il Bene in sè, lIdea, e allo stesso
modo in cui ci si scagliava, quando indispensabile, contro la falsità della ricerca di
una linearità placida e rassicurante ma falsa e borghese, di una armonicità parrocchiale
e buonista, bisogna oggi avere il coraggio di essere critici nei confronti delle
fossilizzazioni ideologiche che molta parte del Teatro e della Danza in Italia continuano
a riproporre, lasciando alla dimensione del buio, al culto del disfacimento di senso, a
incomunicabilità e morte un primato ontologico che non ha senso attribuire loro e che
rappresenta lalibi perfetto per non evolvere il proprio linguaggio artistico, la
propria riflessione estetica profonda, fuori dal criptismo compiaciuto, troppo spesso
unico strumento per occultare un vuoto progettuale e artigianale. Ma non è certo il caso
di Lucia Latour.
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