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L'illuminista del Sud



Antonio Carioti



Non fu certo un compito semplice quello cui si accinse il giovane Vito Laterza nel 1951, appena venticinquenne, quando si trovò ad assumere un ruolo di alta responsabilità nell'azienda di famiglia. L'eredità del passato era infatti prestigiosa quanto gravosa. Nata nel 1901 a Bari, la casa editrice doveva la sua indubbia autorevolezza soprattutto al rapporto stretto che si era instaurato tra il fondatore Giovanni Laterza, prozio di Vito, e il grande filosofo Benedetto Croce, che ne era stato il nume tutelare e le aveva affidato la pubblicazione dei suoi scritti. Ma in un'Italia postbellica che stava vivendo anni di trasformazione tumultuosa, in campo economico, sociale e culturale, vivere della pur preziosa rendita crociana avrebbe assicurato soltanto un dignitoso declino.

Il merito principale di Laterza fu coniugare una sostanziale fedeltà a quel lascito con un'apertura coraggiosa e spregiudicata ai problemi dell'attualità e alle nuove correnti intellettuali. Nel suo catalogo trovarono spazio contemporaneamente i grandi classici, i libri di denuncia sui mali della nostra vita pubblica, e le opere di illustri storici stranieri come Jacques Le Goff, Georges Duby, François Furet. E fu lui a introdurre, negli anni Settanta, la formula (poi imitata da tutti) del libro intervista, straordinario strumento di divulgazione e di sintesi, utilizzato con ottimi risultati sia da grandi studiosi (Lucio Colletti, Paolo Spriano, Renzo De Felice, George Mosse) sia da figure importanti della politica e dell'economia (Giorgio Amendola, Ugo La Malfa, Umberto Terracini, Gianni Agnelli, Luciano Lama).

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Sotto la guida di Vito, la Laterza si è caratterizzata come una delle poche istituzioni culturali del nostro Mezzogiorno capaci di affermarsi nel panorama nazionale ed europeo, di competere ad armi pari con la torinese Einaudi e la bolognese il Mulino. E ha saputo conservare la sua indipendenza anche quando, verso la fine degli anni Ottanta, si prospettò molto concretamente l'ipotesi che venisse inglobata da un gigante dell'editoria settentrionale come Rizzoli.

Laterza ha dunque tenuto alta la bandiera della grande cultura meridionale, di un Sud laico, illuminista, per vocazione molto più europeo che mediterraneo. Non a caso tra i suoi autori di maggior prestigio c'è stato lo storico Rosario Romeo, un siciliano di schietto orientamento liberale che ci ha regalato la più importante e ponderosa biografia del piemontese conte di Cavour, quasi a segnare un'ideale convergenza, nel nome del Risorgimento, tra le due estremità della nostra penisola.

Uomo di convinzioni progressiste e anticlericali (tra le sue ultime prese di posizione pubbliche c'è la firma del "Manifesto laico" promosso da "Critica Liberale"), Laterza è stato senza dubbio un editore di sinistra, ma senza nessun cedimento alle suggestioni movimentiste o terzomondiste che contagiarono invece Einaudi. Difficilmente lo si potrebbe accusare di aver subito l'egemonia del pensiero marxista o comunque degli ambienti legati al Pci, visto che nel suo catalogo si trovano alcune pietre miliari della storiografia cosiddetta "revisionista", dall'Intervista sul fascismo di De Felice a La morte della patria di Ernesto Galli della Loggia. Anche le due pionieristiche biografie di Gramsci e Togliatti da lui pubblicate in anni ormai lontani - la prima scritta da Giuseppe Fiori, la seconda da Giorgio Bocca - non riuscirono affatto gradite a Botteghe Oscure.

Oggi l'avventura famigliare dei Laterza prosegue, sotto la guida del figlio Giuseppe e del nipote Alessandro, che dirigono un'azienda sensibile alle esigenza del pubblico colto, ma legata indissolubilmente al rigore della propria antica tradizione. Proprio nel difficile equilibrio tra rinnovamento e continuità consiste, a ben vedere, la lezione più importante che si ricava dalla vita e dall'opera di Vito.

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