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Le imboscate di Bossi ad Arcore



di Silvio Trevisani



L’Umberto non ci sta: sa che il cavaliere con una mano lo ha preso per i capelli nel momento in cui stava annegando, ma sa anche che a Arcore e dintorni non vogliono che nuoti neppure in piscina. E così scalpita e tira calci: lui al padrone Berlusconi non vuole arrendersi. Senza morti e feriti la Lega e Bossi non esistono.

Questa è la prima considerazione che si può fare leggendo l’articolo (pubblicato ieri sul “Il Sole- 24 ore”) in cui il prof. Roberto D’Alimonte e Alessandro Chiaramonte, del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Firenze, commentano la notizia che il Carroccio ha presentato in 39 collegi del Senato propri candidati, sotto il simbolo “Va Pensiero - Padania”. Trentanove candidature che di fatto sono alternative a quelle della Casa delle Libertà”. E in tutti i casi si tratta di personaggi legati al territorio, a differenza di quelli di Forza Italia, An, Ccd e Cdu, che spesso vengono paracadutati da lontano.


Se chiedete: perché lo avete fatto?, i responsabili della Lega scodellano una risposta preconfezionata. “È una strategia concordata. per ottenere un ulteriore vantaggio. Il candidato ufficiale della Casa passa al maggioritario e il nostro corre per i seggi proporzionali. Quelli dell’Ulivo così li massacriamo”. Ma se questa versione è quella ufficiale di chi bazzica la sede milanese di Via Bellerio, basta una telefonata al prof. Giuliano Urbani, fatta da “Il Sole”, per capire che tra i ragazzi di Arcore c’è nervosismo e fastidio. Dice Urbani: “ La Lega si era impegnata a non presentare i candidati di “Va Pensiero” in più di 10-12 collegi. Poi le cose, evidentemente, sono andate diversamente”. 

E sì. I collegi sono tanti, troppi, quasi la metà di quelli del Nord. E addirittura, secondo le ricerche fatte da D’Alimonte, persino in seggi dove il “divario tra i due schieramenti non è abissale e dove quindi errori nella divisione dei voti costerebbero cari. A pensare male - scrive il professore di Firenze- si potrebbe anche prospettare che i leghisti potrebbero votarsi i propri candidati con la scusa del recupero proporzionale e lasciare che quello della Casa sia eletto solo dagli elettori di Fi e An. In questo modo Bossi avrebbe qualche seggio in più ma facendo correre grossi rischi agli alleati ”. Il corsaro leghista vuole margini di manovra. La gabbia del Cavaliere gli sta stretta. Soprattutto dopo lo scontro Formigoni - Berlusconi sul referendum consultivo in Lombardia.

Roberto Maroni, i cui geni sono indubbiamente più “forzisti” di quelli del suo capo, ma che non possiede la forza di smentirlo, è sicuro: “Non siamo ingenui, abbiamo valutato tutto con cura. Non toglieremo la vittoria a nessun esponente della Casa delle Libertà”.


Ingenui? Mai pensato questo. Il problema è che nessuno è in grado di controllare Bossi. Neppure Berlusconi. Che, a quanto dicono, è stato sorpreso anche lui dalla mossa dell’Umberto ed è sceso personalmente in campo per ottenere assicurazioni. Naturalmente sostiene di averle ottenute.

Insomma, forse vinceranno, quelli della Casa, ma il grande leader non ce la fa a controllare il “lombardo pazzo”. Le ha provate tutte: le cene del lunedì sera, i viaggi al sud, i complimenti e le gratificazioni. Resta però il fatto che i due non si amano. Si annusano come fanno alcuni cani di razze e abitudini diverse: agitano la coda al primo impatto, giocano per un po’, ma poi basta un legno da afferrare per litigare e mostrarsi i denti. Bossi nel ’94 a tarda notte in una pizzeria di Milano quando seppe i risultati elettorali disse: “Troppi parlamentari per quello lì. Io lo mando a ….”. e lo fece.

Adesso il cavaliere ha tentato di blindarlo limitandogli il numero dei parlamentari
ma lui che di identità territoriale e di scorrerie senza regole è vissuto non può stare al gioco aziendale, non può fare l’impiegato di Arcore. I suoi rozzi lumbard non glielo perdonerebbero. Così l’Umberto sulle ali di “Va Pensiero” sogna e prepara esodi e imboscate.
Alla faccia della governabilità.

 

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