L’Otello secondo Nekrosius
Josè Luis Sànchez-Martìn
Il drammaturgo più frequentato dal teatro contemporaneo non solo non
è vivente ma è addirittura morto da varie centinaia d’anni,
William Shakespeare. Probabilmente la sua è l’unica opera
drammaturgica che abbia influenzato e lasciato segni nell’immaginario
collettivo al di fuori del teatro e che allo stesso tempo continua a
rappresentare una sfida e quasi un obbligo, come punto di partenza o
di arrivo, per l’estro creativo e artistico dei registi teatrali di
almeno metà del mondo. Come scrive il critico e scrittore Franco
Quadri: “L’effetto Shakespeare può essere micidiale per l’interprete
proprio grazie all’altezza lontana della sua poesia, capace di tali
voli ambivalenti da lasciare al regista che vi si misuri la libertà
di un autore”.

Una delle più importanti rivisitazioni in chiave contemporanea dell’opera
del Bardo è senza dubbi la trilogia shakespeariana messa in scena
negli ultimi anni dal regista lituano Eimuntas Nekrosius e dalla
compagnia Meno Fortas. Dopo l’Amletas di tre anni fa e
il Macbetas dell’anno scorso, è arrivato al Teatro Argentina
all’interno della stagione del Teatro di Roma, Otelas,
coprodotto dalla Biennale Teatro di Venezia che ne ha ospitato
recentemente la prima mondiale. Otelas chiude così una
trilogia sul potere fatta di trame di vendetta che terminano con la
morte del protagonista.
Grazie a questi lavori Nekrosius è diventato un regista di culto
della scena mondiale, considerato come uno straordinario poeta
visionario, etichetta che al pari di qualunque altra lui rifiuta, con
la sua proverbiale “burberia” e riservatezza. Come già nei primi
due, anche in Otelas è evidente il suo approccio al testo: da
una parte un lavoro di sforbiciamento e di sintesi che predilige i
momenti essenziali, dall’altra uno sviluppo e approfondimento dei
rapporti e delle situazioni attraverso la potenza del linguaggio dei
gesti, delle azioni e delle immagini. Quest’ultime, efficaci e
fortemente suggestive vengono date anche dalla presenza rilevante di
materie primordiali: l’Amletas era dominato dalla presenza
del ghiaccio e del fuoco, Macbetas dal legno e le pietre e
infine Otelas, storia marinara tra Venezia e Cipro, non poteva
che esserlo dalla presenza e dalla suggestione dell’acqua e dell’aria.
Acqua contenuta in primitivi bacili di legno grezzo, acqua che viene
sputata e gettata addosso ai personaggi, acqua continuamente agitata
da inquietanti vecchi-bambini rumoristi che fanno da sarcastico
contraltare alle tese e tragiche atmosfere, acqua che come sudore e
lacrime gronda dalle porte quasi in continuazione.

Sono materia ruvida ed espressiva anche i semplici costumi realizzati
da Nadezda Gultiajeva- autrice anche delle scene- quasi sempre
monocromatici, abbondanti e in stoffe di ovvia pesantezza, spesso con
rimandi alla foggia militaresca. Stoffe che vengono anche agitate e
sventolate come vento e come onde o che arrotolate sullo sfondo della
scena sono nuvole, vele di nave o amache da marinaio. La materia
diventa nel teatro di Nekrosius, un elemento espressivo e
drammaturgico che concorre fortemente alla creazione di un’atmosfera
di antica e primitiva tragicità, senza tempo né spazio, o forse
ancora meglio, in un altro tempo e in un altro spazio nei quali trova
coerenza e significato ogni gesto e ogni azione. Infatti l’antinaturalismo
del teatro di Nekrosius non è basato sulla bizzarria, la provocazione
o la contraddizione con la realtà bensì ricrea una nuova e
arricchita realtà che mira a colpire in profondità i sensi e le
emozioni dello spettatore.
Come ci avverte il programma, “il racconto parte da un’immagine,
da un dettaglio, da un frammento, amplificato fino a costruire per via
simbolica l’intero tessuto della pièce e a ricomporlo in una nuova
struttura”. Un approccio veramente contemporaneo che punta sulla
presenza e l’azione: “Siamo abituati a un’idea letteraria del
teatro: dove il teatro è una cosa che si ascolta e non si mostra. Ma
la natura del teatro è di essere visto” -dichiara Nekrosius- “credo
che la gente vada a teatro perché ciò che accade avviene proprio in
quel momento, è vivo. Allora cerco di ritornare non a qualcosa di
efficace, ma alla profondità dei sentimenti umani”.
Certo le sue messe in scena hanno questa potenza comunicativa e
colpiscono fino in fondo in gran parte grazie a un gruppo di attori a
dir poco straordinari, che si muovono a proprio agio con estrema
intensità nella precisa e densa coreografia dello spettacolo, tra le
esaltanti scene collettive -che possono ricordare la migliore Pina
Bausch- come il viaggio in mare sulla nave in cui la volgare e
infantile goliardia dei marinai diventa sensuale con l’arrivo delle
donne, e i momenti di profonda e toccante intimità come il dialogo
nella notte tra Otello e Jago davanti a due fuochi accesi dentro i
bacili di legno, che ricordano gli ambienti degli antichi accampamenti
militari.
Tra i personaggi, complessi e pieni di sfumature e contraddizioni,
vanno ovviamente citati l’aguzzo e vibrante Jago di Rolandas Kazlas,
la Desdemona fresca ed aerea della danzatrice Egle Spokaite. E in
particolare il leggendario e articolato “Otello”, senza trucchi e
annerimenti malgrado venga continuamente chiamato Moro, del magnifico
veterano Vadlas Bagdonas, già implacabile Macbeth e indimenticabile
fantasma del padre di Amleto.
Bisogna dire però che Otelas non riesce a tenere, come invece
avveniva nei due capolavori precedenti, la presa tragica e continua
che si propone per le oltre quattro ore di durata, chiedendo al
pubblico in alcune scene interminabili un’attenzione insostenibile
che finisce per annullare se stessa. Anche nella messa in scena di
alcune idee squisitamente teatrali di grande intuizione e profondità,
come il vuoto e l’angoscia che attanaglia Otello davanti a Desdemona
appena uccisa -una prova d’attore sublime- la radicalizzazione di
certi suoi presupposti di sviluppo della tensione determinano alla
lunga una perdita di adesione da parte dello spettatore che raggiunge
l’estenuazione e la noia. Si ha in questo senso l’impressione che
Nekrosius stia correndo il rischio di ideologizzare la propria poetica
portandola fino alle più estreme ma anche rischiose conseguenze.
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