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Il diritto “sessuato” e il femminismo



Eva Cantarella con Laura Barletta



Questa intervista fa parte dell’Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, un’opera realizzata da Rai-educational in collaborazione con l’Istituto italiano per gli studi filosofici e con il patrocinio dell’Unesco, del Presidente della Repubblica Italiana, del Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme d’espressione e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica, la conoscenza della filosofia nel suo svolgimento storico e nei termini vivi della cultura contemporanea.

Per ulteriori informazioni potete visitare il sito Internet: www.emsf.rai.it 


Discutiamo della proposta di “sessualizzare” il diritto, vale a dire di dare vita a un diritto sessuato o diritto femminile. Professoressa Cantarella, ci può inquadrare i termini fondamentali della questione?

Con questo termine si intendono molte cose, ma per vedere di capirle, di individuarle tutte, dobbiamo partire dal momento in cui nasce la proposta di sessualizzare il diritto appunto. La proposta nasce come critica alla concezione dell'uguaglianza nello Stato liberal-borghese. Nello Stato liberal-borghese si parla di uguaglianza ma l'uguaglianza è un principio astratto; si parla di una titolare dei diritti che non ha sesso, che è neutro, ma in realtà questo neutro è un uomo, perché il diritto è modellato sugli interessi dell'uomo, sulla figura e sugli interessi maschili. Una delle frasi che veniva spesso ripetuta e che viene spesso ripetuta da chi sostiene questa teoria è: “Non esiste un neutro, io non ho mai visto un neutro passeggiare per la strada, ci sono uomini e donne”, quindi questo diritto formalmente neutro in realtà è un diritto degli uomini e per gli uomini. La proposta ha origine dal fatto che esistono le differenze sessuali, che esistono uomini e donne, si basa sulla necessità quindi di creare un diritto che tenga conto anche del soggetto donna. Questo vuol dire che il diritto sessuato, l'idea di sessuare il diritto, nasce in una prospettiva che è stata definita “essenzialista”. La prospettiva essenzialista è quella secondo cui i generi sessuali possono essere identificati, nel senso che c'è un'identità di genere, esiste una identità di genere femminile perché esiste un'essenza femminile, che molte volte è stata espressa in termini biologici. L'idea di sessualizzare il diritto significa creare un diritto, dar vita a un diritto, che tenga conto - qui le formulazioni sono diverse - dei valori o degli interessi femminili.

Come si configura, In Italia e all’estero, questa proposta di creare un diritto che si riferisca alla donna come soggetto particolare?

In Italia c'è un movimento che parla di sessualizzare il diritto. C'è stato recentemente un numero unico della rivista Democrazia e Diritto dedicato proprio al diritto sessuato; ci sono stati molti interventi, prima di questo volume, su Sottosopra, una pubblicazione che fa capo alla 'Libreria delle donne' a Milano e ci sono molti centri femministi che se ne occupano. Il diritto sessuato in Italia è stato prospettato come il diritto che afferma valori e interessi femminili, con gli inevitabili problemi connessi, perché parlare di valori femminili implica l'esistenza di una cultura femminile diversa da quella maschile. Non posso adesso entrare nel dettaglio, ma è evidente che, per quanto riguarda i valori, questo si presta all’accusa di “essenzialismo” di cui parlavo prima, nel senso che parlare della donna nel quadro di una categoria, di un genere sessuale, significa imprigionare le donne all'interno di una definizione che non tiene conto delle loro diversità. Il discorso sembra diverso nel caso in cui il diritto femminile si riferisca agli interessi, perché si potrebbe dire che gli interessi femminili variano nel tempo, sono cioè storicamente individuabili e determinabili. In realtà anche l'idea che il diritto debba considerare gli interessi femminili ha creato dei grossi problemi.

C'è stato, nel 1979, un famoso caso negli Stati Uniti che ha coinvolto questi temi: il processo contro un colosso della imprenditoria e della distribuzione americana, la SIARS. La SIARS aveva rifiutato di assumere una lavoratrice sulla base del fatto che una ricerca sul lavoro femminile aveva dimostrato che le donne hanno in generale un approccio diverso, poco produttivo, al lavoro. Il loro approccio è più domestico, meno individualistico, detto altrimenti, le donne hanno meno interesse a guadagnare di più e sono meno interessate al lavoro a provvigione; sulla base dei risultati di questa ricerca la SIARS non aveva assunto la lavoratrice. Ci fu, di conseguenza, una celebre causa intentata contro la SIARS; la Equal Employment Opportunity Commission agì contro questa società e il fatto risultò estremamente interessante in quanto aprì una discussione sulla tutela degli interessi delle donne. La SIARS diceva che non era interesse delle donne avere un lavoro a provvigione e lo affermava sulla base di una presunta differenza rispetto agli uomini: in ciò si possono vedere i rischi dell'essenzialismo, i quali si riscontrano anche quando non si parla di valori ma di interessi universalmente femminili. La difesa della lavoratrice, sostenuta dal Equal Employment Opportunity Act, affermava che questo non era vero e quindi la controversia si spostò sulla questione della differenza-uguaglianza tra uomini e donne. La SIARS, puntando sul tema della differenza sessuale, ottenne ragione; e questo è un caso molto significativo - che fece e fa tuttora discutere - perché dimostra come la teoria della differenza possa avere degli effetti perversi.

La ricerca sul lavoro femminile aveva voluto dimostrare in realtà, giustamente, che la categoria del lavoratore era stata modellata sul lavoratore maschio e non sulla lavoratrice donna. Nel momento però della verifica concreta si era rivolta contro le donne. Una femminista americana molto nota e molto brava, Martha Minow, disse, commentando questo caso, che non tenere conto delle differenze, così come tenerne conto, può portare a riprodurle. Ella mise quindi in luce il pericolo insito nell'affermazione della differenza sessuale e, indirettamente, quello presente nell'approccio essenzialista al diritto sessuato.

Dopo il superamento delle teorie essenzialiste del diritto sessuato o quanto meno dopo che queste sono state messe in minoranza, sono emerse però altre teorie giuridiche femministe. Quali sono le loro caratteristiche?

Il diritto sessuato che sostiene che noi dobbiamo creare regole che affermino valori o interessi femminili, è stato superato non ugualmente nei diversi paesi del mondo; è stato superato più negli Stati Uniti che in Italia, dove è ancora forte la teoria della differenza sessuale. Direi che l'atteggiamento che in questo momento è dominante è quello delle femministe post-moderne. Le femministe che si definiscono post-moderne sono femministe che si ispirano alle teorie post-strutturaliste - quindi a Lacan, a Derrida, a Foucault -, si ispirano all'idea-base che il soggetto viene costruito dall'esterno, dal linguaggio. Queste femministe dicono che tra i “discorsi” che contribuiscono a creare l'individuo, nella fattispecie la donna, vi è il diritto. Uno dei personaggi più interessanti tra le femministe post-moderne è Mary Jo Frag, tra l'altro tragicamente scomparsa nel 1992. Mary Jo Frag proprio nel 1992 pubblicò sulla Harvard Law Review un Post-modern legal manifesto, incompiuto, che poi a cura del marito è stato pubblicato in un volume. Secondo Frag anche il diritto contribuisce a creare l'idea della donna e afferma che se noi cerchiamo di togliere tutto quello che è costruzione sulla donna e andiamo al fondo, vediamo delle cose che sembrano indicare un’“essenza femminile”, che sembrano naturali, ma che in realtà - almeno alcune di queste - si dimostrano essere un prodotto del diritto.

Quindi ha individuato le regole giuridiche che contribuiscono a formare la parte del femminile che sembra naturale, ma che non lo è veramente. Frag divide queste regole in tre categorie: ci sono le regole che terrorizzano il corpo femminile, che sono per esempio la mancata sufficiente difesa contro la violenza fisica, contro il “sexual harassment”, del quale tanto si discute in Italia anche in questo momento, o quello che gli americano chiamano lo stalking. Lo stalking consiste nell'attendere una donna sotto casa: se io tutto le sere, tornando a casa, trovo un individuo che sta l“ e mi guarda, che non fa niente, ma ho l'impressione che mi controlli e che mi possa aggredire, ecco questo è lo stalking. Può sembrare ridicolo, ma è invece qualcosa di veramente preoccupante e in effetti molti casi di stalking poi hanno dato luogo ad aggressioni e violenze .

Ci sono poi le regole che maternalizzano il corpo femminile, ad esempio tutte le regole che puniscono o criminalizzano l'aborto o che comunque rendono difficile praticare l'aborto. Tra queste si hanno anche alcune regole del mercato del lavoro, per esempio, negli Stati Uniti, l'“unequal payment system”, la non questa parità salariale e la mancanza, o la riduzione al minimo, delle ferie per maternità. Tutte queste - dice Frag - sono regole che maternalizzano il corpo femminile e perciò l’idea della maternità, che dovrebbe essere innata, è in realtà indotta e generata, in gran parte, dalle regole giuridiche.

Un terzo tipo di regole sessualizza il corpo femminile. Sessualizzare il corpo femminile attraverso delle regole giuridiche vuol dire, per Frag, far approvare regole giuridiche che propongono un modello di comportamento sessuale “ortodosso”, eterosessuale e monogamico. Tali regole puniscono quindi l'omosessualità e l'adulterio. Questo, riassumendo molto, è il senso del Post-modern legal manifesto. Naturalmente la controproposta è che si impongano si approvino delle regole che contrastino la costruzione, da parte, maschile della femminilità delle donne: questa è, in sintesi, la posizione post-moderna.

Non ci sono solo le femministe post-moderne che propongono di modificare il diritto tenendo conto del genere sessuale, ma ce ne sono anche altre, tra cui Catherine Mc Kinnon, una giurista diventata famosa, anche a livello dei media, per la sua difesa di Anita Hill nelle famose udienze contro il giudice Thomas. Catherine Mc Kinnon ha fatto una proposta che ha diviso il mondo non solo delle femministe, ma il mondo femminile americano: ha tentato di far passare una famosa ordinanza che vietasse la pornografia. Su quali basi ha fatto questa proposta? Mc Kinnon parte da una critica al diritto dello stato liberal-borghese e dice: il diritto dello stato liberal-borghese e le sue regole si basano sul dominio, sulla violenza dell'uomo sulla donna. In questo senso propone due esempi molto significativi. Il primo è quello della violenza sessuale. La violenza sessuale, come noi la immaginiamo, sarebbe una costruzione ideologica maschile, perché quando si pensa a questa forma di violenza si pensa ad un atto di inaudita brutalità; il violentatore per noi è un mostro, è un bruto, uno che compie un atto assolutamente fuori dalle regole.

Per Mc Kinnon la questione non può essere posta in questi termini: a suo giudizio, la violenza sessuale è infatti qualcosa di endemico nello stato patriarcale; le sue regole giuridiche prevedono la violenza sulla donna, che non si verifica perciò solo quando un uomo abusa brutalmente, da un punto di vista sessuale, di una donna, ma si determina tutte le volte in cui tra l'uomo e una donna c'è una diseguaglianza, anche di natura economica. Mc Kinnon sostiene che la diseguaglianza economica non sia una cosa individuale; la diseguaglianza economica è abituale, è la regola in questa nostra società, in quanto le donne hanno meno accesso alla ricchezza. È quindi è violenza sessuale anche quella che si verifica in rapporti apparentemente consensuali, perché in realtà il consenso della donna è stato determinato da questa ineguaglianza di fondo. Questa teoria ha naturalmente fatto molto discutere; anche se c'è in essa un fondo di verità - è chiaro, ad esempio, che la lavoratrice che cede al datore di lavoro non si trova in condizioni di parità -, configurare ogni discriminazione come violenza sessuale è quantomeno discutibile. semmai uno può parlare di ricatto, può parlare di tante altre cose. Il dibattito introno alle tesi di Mc Kinnon, alla sua proposta di vietare la pornografia, è stato ed è, come si può facilmente comprendere, molto acceso.

Qual è il senso della proposta vietare la pornografia e quale è stata la reazione dei gruppi femministi?

Per capire la reazione bisogna vedere come Mc Kinnon ha motivato questa proposta. La pornografia è una subordinazione grafica alla violenza, cioè è una subordinazione che viene rappresentata con segni e parole nei film pornografici. Pur non essendo una violenza reale, ma rappresentata, è tuttavia concreta violenza nei confronti delle donne, perché, dice Mc Kinnon, la pornografia, in uno stato liberal-borghese che difende la libertà, altro non è che libertà di esprimere un odio verso le donne e di soddisfare il desiderio di violenza contro di loro. Anche questo - non è un mio commento mio, ma una delle reazioni - è molto opinabile, perché non tutta la pornografia esprime violenza sulla donna in quanto c'è anche la pornografia sadomaso in cui è la donna che esercita violenza sull'uomo. Comunque, al di là di ciò, questa presa di posizione ha provocato una rottura totale all'interno del mondo femminile; alcune donne conservatrici si sono schierate con Mc Kinnon chiedendo che la pornografia fosse vietata, mentre gran parte delle rappresentanti del femminismo si è opposta e ha detto che la richiesta di vietare la pornografia proponeva un modello di “vanilla-sex behaviour”, di “sesso alla vaniglia”. Che cos'è questo “sesso alla vaniglia”? È il sesso ortodosso, tradizionale, eterosessuale. Sono state le femministe lesbiche quelle che hanno introdotto l’espressione; hanno inoltre contestato fortemente Mc Kinnon e tutte le donne che sostenevano la campagna contro la pornografia. Le femministe omosessuali hanno anche proposto un uso costruttivo della pornografia, nel senso che a loro giudizio la pornografia può essere usata come strumento per la liberazione sessuale Quanto detto può dare un'idea anche della violenza dello scontro su questo punto: chiedere l'abolizione o il divieto della pornografia è, nella nostra ottica, qualcosa che crea un problema.

Ci sono state nel mondo femminile anche altre fratture oltre a quella riguardante la pornografia, e sempre a proposito di rapporto fra il genere e il diritto. Le femministe, in particolare quelle omosessuali, hanno detto per esempio - questa è una polemica anche con Mary Jo Frag - che le regole che maternalizzano il corpo femminile non sono negative ma positive, perché le regole giuridiche maternalizzano il corpo femminile eterosessuale, ma dematernalizzano il corpo della lesbica, impedendo alle donne lesbiche l'adozione e la fecondazione artificiale; quindi ben vengano le regole che maternalizzano il corpo femminile. Un altro campo giuridico controverso è l'aborto. Anche l'aborto, che apparentemente è uno dei temi su cui c'è un universale consenso delle donne, diciamo delle femministe o delle donne che hanno un certo approccio politico, è stato contrastato dalle femministe africane. Queste hanno detto che il vero problema per loro non è quello di abortire, ma quello di riuscire a tenere in vita i figli, che regolarmente muoiono di fame: non vogliono quindi parlare dell'aborto. Tutto ciò dimostra - è perciò interessante - come vi siano state fratture profonde proprio sul tema fondamentale delle regole giuridiche che riguardano le donne.

Il problema del rapporto genere-diritto e quello della sessualità non è affrontato soltanto dalle femministe: può parlarci delle altre posizioni intorno a questi temi?

Certo, ce ne sono molte estremamente interessanti. È opportuno soffermarsi su quella di un giurista, Richard Possner, che negli ultimi anni ha fatto discutere moltissimo le femministe americane. Richard Possner nel 1992 ha scritto un libro che si chiama Sex and reason sostenendo una teoria economica del sesso, applicando al sesso, al comportamento sessuale, la teoria dell'“attore razionale”, del soggetto che sceglie il suo comportamento valutando i costi e i benefici. Possner ha costruito una teoria secondo cui il comportamento sessuale maschile e quello femminile sono diversi perché biologicamente la donna è diversa dall’uomo. Sulla base di questa differenza biologica, che consiste essenzialmente nel fatto che le donne fanno i figli, ha sostenuto che le donne hanno una tendenza alla monogamia o quanto meno sono più selettive, perché vogliono un partner che dia loro più garanzie e fiducia nel periodo in cui sono incinte e devono partorire; gli uomini, il cui contributo alla nascita sta solamente nel concepimento, sarebbero perciò meno selettivi nelle loro scelte sessuali.

Non mi dilungo su questa teoria, che ovviamente è stata - e giustamente -, contrastata dalle femministe e vengo invece al centro della questione sul rapporto genere-diritto. Possner, al di là di tutte le critiche che si possono fare al suo libro e alla sua teoria, sul rapporto genere-diritto ha una posizione a mio parere apprezzabile, perché si pone una domanda importante: il diritto deve regolare le scelte sessuali o no? E, eventualmente, in che misura deve regolarle? La risposta di Possner: “sex is like eating”, “il sesso è come il cibo”, e quindi la conseguenza è che si deve regolarlo il meno possibile; chiunque mangia quello che vuole e così può fare liberamente le sue scelte sessuali, naturalmente con dei limiti, ma il meno possibile. È interessante la posizione di Possner perché la sua teoria “economica” si contrappone alla teoria moralistica che in America è molto forte. Questa teoria vuole punire praticamente i comportamenti ritenuti immorali; si pensi che in 26 Stati la sodomia è considerata un vero reato ed è quindi punibile dalla legge. Alla posizione moralistica si sono opposti vari giuristi: insieme a Possner ne ricorderei quanto meno un altro, David Cohen. In un suo recente libro, Law, society and sexuality, egli sostiene che il sesso debba essere regolato, ma non in base a criteri morali, perché non si può punire l'immoralità in sé stessa. L’idea di punire l'immoralità in quanto tale mette in discussione un fondamentale principio, che in Occidente si è affermato da Kant in poi, quello della separazione tra la sfera pubblica e la sfera privata, che segna il limite dell'intervento dello Stato nelle scelte proprie degli individui.

In sintesi, quali sono i lati positivi del femminismo?

In questo post-femminismo o femminismo post-moderno, di cui nota esponente è Julia Kristeva, ci sono indubbiamente dei lati positivi. L’idea centrale di questo filone del femminismo considera il soggetto-donna come costruito dall'esterno. La donna non è un'entità determinabile, noi possiamo dire solo quel che non è, dice Kristeva, e quindi non è possibile neanche una politica femminista in positivo. Tale prospettiva, che poi ha i suoi lati negativi, ha avuto comunque un effetto decisamente positivo: ha consentito di smantellare l'idea di un'essenza femminile, di un soggetto femminile identico, monolitico, che era dominante nell'epoca in cui trionfava l'esaltazione della differenza sessuale. Le femministe post-moderne hanno messo in luce che le donne stanno in tanti posti diversi nello spazio, nelle classi sociali e quindi compiono scelte sessuali diverse. Non si parla più di valori e di interessi uguali, perché in realtà l'essenzialismo - giustamente dicono le femministe post-moderne - aveva in mente un soggetto che era la donna bianca ed eterosessuale e non teneva conto delle altre donne. Il post-femminismo consente di considerare come donne anche le donne nere, le donne di altre razze, le donne lesbiche, consente di tenere conto delle differenze di classe: questo mi sembra un aspetto molto positivo.

Per affermare che le donne non sono tutte uguali e che la differenza fondamentale forse non è quella fra uomo e donna ma che, accanto a questa, certamente importante, ci sono le differenze fra donne, non c'è però bisogno di essere post-moderne. Comunque le femministe post-moderne hanno contribuito in modo decisivo ad affermare questo principio. L'altra cosa importante è che le femministe post-moderne hanno messo in discussione l'idea che le opposizioni binarie siano naturali. Prendiamo l'opposizione “uguaglianza-differenza”: fino a qualche anno fa chi sosteneva che la differenza non doveva essere presa in considerazione o non era così importante all'interno di una politica femminista, e quindi sosteneva l'uguaglianza, era accusata di essere “mascolinizzata”. Da una parte c’era l'uguaglianza, che voleva dire omologazione al maschio, neutralità dell'essere umano, cancellazione delle differenze e dall'altra parte la contrapposizione tra uomo e donna, tra mondi diversi, tra modi diversi di ragionare e via dicendo.

Le femministe post-moderne hanno messo in luce che tutte le opposizioni binarie non esistono nella realtà, che ci sono sempre delle interrelazioni e, molto giustamente, con riferimento alla questione della “uguaglianza-differenza” - qui si potrebbe citare in particolare Joan Scott - hanno detto non dobbiamo scegliere l'uguaglianza o la differenza: l'uguaglianza vuol dire cancellazione delle discriminazioni legate alla differenza e quindi c'è interrelazione fra un termine e l'altro del problema. È possibile arrivare a questa conclusione sia dal lato del femminismo post-modernista che da altre posizione, perché basta pensare che la regola dell'uguaglianza è una regola prescrittiva e non descrittiva. L'articolo 3 della nostra Costituzione che dice che tutti i cittadini sono uguali senza differenze di sesso, di razza o di religione; non dice che non ci sono uomini e donne o che non ci sono differenze, dice soltanto che un uomo e una donna non possono essere trattati diversamente in considerazione di questa loro differenza. Le teoriche della differenza sessuale dicono che questo è un articolo che neutralizza le differenze e infatti ci sono proposte di cambiare l'articolo 3 della nostra Costituzione, che io continuo a ritenere invece un baluardo della libertà e anche una salvaguardia della stessa differenza, intesa in senso non essenzialista

Possiamo allora parlare, invece, degli aspetti negativi del femminismo postmoderno?

Certamente ce ne sono e secondo me anche molto seri. Un primo aspetto negativo è questo: il femminismo post-moderno, ispirandosi alle teorie di Foucault, vede i centri del potere nelle istituzioni, nella famiglia, nella scuola, nel carcere; questa frantumazione del potere fa si che sia molto difficile individuare chi esercita veramente il potere e su chi. Portando fino in fondo le teorie post-strutturaliste riesce difficile individuare il centro effettivo, che pure esiste, del potere: questa mi sembra una critica molto giusta fatta rivolta al post-strutturalismo femminista in particolare. Ce anche un'altra idea, che per il femminismo forse è altrettanto esiziale, quella per cui il soggetto, in questo caso la donna, è il risultato di una costruzione esterna. Questa prospettiva porta a concludere - se giungiamo alle logiche conseguenze del pensiero post-strutturalista - che, come dice Julia Kristeva, la donna è una finzione e che quindi il femminismo può solo agire in negativo dicendo quello che non deve essere. Questo mina alle basi proprio la possibilità stessa del femminismo, perché il femminismo, per poter esistere, deve poter avere un obiettivo e l'obiettivo presuppone che ci sia un soggetto al quale riferirsi.

Come uscire allora da questa contraddizione? Come risolvere questo problema che evidentemente, come lei ha detto, mina alla base la possibilità stessa del femminismo?

Da alcuni anni proprio di ciò si occupano le femministe: come uscire da questa situazione, cioè come formulare una teoria del soggetto che non cada da un lato nell'essenzialismo e dall'altro nella negazione di un soggetto-donna, come può succedere se si seguono fino alle estreme conseguenze le teorie post-strutturaliste. Un'autrice che mi sembra importante, la quale ha cercato di uscire da questa aporia, è Teresa De Lauretis. In un libro pubblicato già nell'84, che si chiama Alice doesn't e poi in successivi interventi, ha cercato appunto di costruire una teoria diversa della soggettività. In sintesi, De Lauretis ha detto che il soggetto si costruisce nell'interazione continua tra il mondo esterno e il mondo interno, attraverso le esperienze; per le esperienze comprendono anche la pratica sociale, ovviamente, e le azioni politiche. In questa prospettiva De Lauretis comincia a formulare un'ipotesi di soggettività femminile; questo è il punto focale: a suo giudizio le esperienze sono il modo, il tramite attraverso il quale il soggetto viene permeato di genere, e diventa quindi uomo o donna. È difficile aggiungere altro, perché direi che proprio questo è il travaglio del femminismo in questo momento.

Come possiamo concludere questa conversazione sul diritto sessuato?

Concludere è sempre difficile, anzi impossibile, su qualunque argomento e quindi anche su questo; possiamo comunque cercare di riassumere quanto abbiamo detto e fare ancora qualche considerazione. Il femminismo ha fatto passi avanti enormi. Ricordo, ho anche partecipato alle prime riunioni femministe negli anni '70, che allora si diceva qualcosa che le femministe di adesso, le più giovani, non sanno, si diceva che la signora Agnelli è oppressa come l'operaia della FIAT. Oggi nessuno direbbe più una cosa del genere. Devo dire che avevo delle perplessità già allora, ma quello che io personalmente pensavo non conta; oggi la situazione è profondamente cambiata in quanto si tiene conto del problema delle differenze di genere, delle differenze fra donne e, con riferimento al tema del diritto sessuato, direi che si cerca di costruire una pratica dell'uguaglianza che tenga conto delle differenze.

Mi rendo conto che presentata così può sembrare una prospettiva molto astratta ma posso fare un esempio tratto da una storia raccontata da un medico che aveva lavorato in una fabbrica: la direzione della fabbrica richiedeva ai lavoratori un esame del sangue, dal quale, se il lavoratore che si sottoponeva al test era una donna, risultava se era incinta; allora giustamente le lavoratrici hanno chiesto che, al momento dell'assunzione, solo gli uomini fossero sottoposti a questo test. Mi sembra un esempio molto concreto, chiaro e significativo di che cosa voglia dire l'uguaglianza che tiene conto delle differenze. Quindi è vero che tenere conto delle differenze può portare a regole diverse - in questo caso la donna non viene sottoposta al test -, che sono tali non perché ci sia un diritto femminile diverso, ma perché per essere uguali bisogna in questo caso che ci siano regole diversificate.


 

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