Il diritto “sessuato” e il
femminismo
Eva Cantarella con Laura Barletta
Questa intervista fa parte dell’Enciclopedia multimediale delle
scienze filosofiche, un’opera realizzata da Rai-educational in
collaborazione con l’Istituto italiano per gli studi filosofici e
con il patrocinio dell’Unesco, del Presidente della Repubblica
Italiana, del Segretario Generale del Consiglio d’Europa.
L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme
d’espressione e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica,
la conoscenza della filosofia nel suo svolgimento storico e nei
termini vivi della cultura contemporanea.
Per ulteriori informazioni potete visitare il sito Internet: www.emsf.rai.it
Discutiamo della proposta di “sessualizzare” il diritto, vale a
dire di dare vita a un diritto sessuato o diritto femminile.
Professoressa Cantarella, ci può inquadrare i termini fondamentali
della questione?
Con questo termine si intendono molte cose, ma per vedere di capirle,
di individuarle tutte, dobbiamo partire dal momento in cui nasce la
proposta di sessualizzare il diritto appunto. La proposta nasce come
critica alla concezione dell'uguaglianza nello Stato liberal-borghese.
Nello Stato liberal-borghese si parla di uguaglianza ma l'uguaglianza
è un principio astratto; si parla di una titolare dei diritti che non
ha sesso, che è neutro, ma in realtà questo neutro è un uomo,
perché il diritto è modellato sugli interessi dell'uomo, sulla
figura e sugli interessi maschili. Una delle frasi che veniva spesso
ripetuta e che viene spesso ripetuta da chi sostiene questa teoria è:
“Non esiste un neutro, io non ho mai visto un neutro passeggiare per
la strada, ci sono uomini e donne”, quindi questo diritto
formalmente neutro in realtà è un diritto degli uomini e per gli
uomini. La proposta ha origine dal fatto che esistono le differenze
sessuali, che esistono uomini e donne, si basa sulla necessità quindi
di creare un diritto che tenga conto anche del soggetto donna. Questo
vuol dire che il diritto sessuato, l'idea di sessuare il diritto,
nasce in una prospettiva che è stata definita “essenzialista”. La
prospettiva essenzialista è quella secondo cui i generi sessuali
possono essere identificati, nel senso che c'è un'identità di
genere, esiste una identità di genere femminile perché esiste
un'essenza femminile, che molte volte è stata espressa in termini
biologici. L'idea di sessualizzare il diritto significa creare un
diritto, dar vita a un diritto, che tenga conto - qui le formulazioni
sono diverse - dei valori o degli interessi femminili.
Come si configura, In Italia e all’estero, questa proposta di
creare un diritto che si riferisca alla donna come soggetto
particolare?
In Italia c'è un movimento che parla di sessualizzare il diritto.
C'è stato recentemente un numero unico della rivista Democrazia e
Diritto dedicato proprio al diritto sessuato; ci sono stati molti
interventi, prima di questo volume, su Sottosopra, una pubblicazione
che fa capo alla 'Libreria delle donne' a Milano e ci sono molti
centri femministi che se ne occupano. Il diritto sessuato in Italia è
stato prospettato come il diritto che afferma valori e interessi
femminili, con gli inevitabili problemi connessi, perché parlare di
valori femminili implica l'esistenza di una cultura femminile diversa
da quella maschile. Non posso adesso entrare nel dettaglio, ma è
evidente che, per quanto riguarda i valori, questo si presta all’accusa
di “essenzialismo” di cui parlavo prima, nel senso che parlare
della donna nel quadro di una categoria, di un genere sessuale,
significa imprigionare le donne all'interno di una definizione che non
tiene conto delle loro diversità. Il discorso sembra diverso nel caso
in cui il diritto femminile si riferisca agli interessi, perché si
potrebbe dire che gli interessi femminili variano nel tempo, sono
cioè storicamente individuabili e determinabili. In realtà anche
l'idea che il diritto debba considerare gli interessi femminili ha
creato dei grossi problemi.
C'è stato, nel 1979, un famoso caso negli Stati Uniti che ha
coinvolto questi temi: il processo contro un colosso della
imprenditoria e della distribuzione americana, la SIARS. La SIARS
aveva rifiutato di assumere una lavoratrice sulla base del fatto che
una ricerca sul lavoro femminile aveva dimostrato che le donne hanno
in generale un approccio diverso, poco produttivo, al lavoro. Il loro
approccio è più domestico, meno individualistico, detto altrimenti,
le donne hanno meno interesse a guadagnare di più e sono meno
interessate al lavoro a provvigione; sulla base dei risultati di
questa ricerca la SIARS non aveva assunto la lavoratrice. Ci fu, di
conseguenza, una celebre causa intentata contro la SIARS; la Equal
Employment Opportunity Commission agì contro questa società e il
fatto risultò estremamente interessante in quanto aprì una
discussione sulla tutela degli interessi delle donne. La SIARS diceva
che non era interesse delle donne avere un lavoro a provvigione e lo
affermava sulla base di una presunta differenza rispetto agli uomini:
in ciò si possono vedere i rischi dell'essenzialismo, i quali si
riscontrano anche quando non si parla di valori ma di interessi
universalmente femminili. La difesa della lavoratrice, sostenuta dal
Equal Employment Opportunity Act, affermava che questo non era vero e
quindi la controversia si spostò sulla questione della
differenza-uguaglianza tra uomini e donne. La SIARS, puntando sul tema
della differenza sessuale, ottenne ragione; e questo è un caso molto
significativo - che fece e fa tuttora discutere - perché dimostra
come la teoria della differenza possa avere degli effetti perversi.
La ricerca sul lavoro femminile aveva voluto dimostrare in realtà,
giustamente, che la categoria del lavoratore era stata modellata sul
lavoratore maschio e non sulla lavoratrice donna. Nel momento però
della verifica concreta si era rivolta contro le donne. Una femminista
americana molto nota e molto brava, Martha Minow, disse, commentando
questo caso, che non tenere conto delle differenze, così come tenerne
conto, può portare a riprodurle. Ella mise quindi in luce il pericolo
insito nell'affermazione della differenza sessuale e, indirettamente,
quello presente nell'approccio essenzialista al diritto sessuato.
Dopo il superamento delle teorie essenzialiste del diritto sessuato
o quanto meno dopo che queste sono state messe in minoranza, sono
emerse però altre teorie giuridiche femministe. Quali sono le loro
caratteristiche?
Il diritto sessuato che sostiene che noi dobbiamo creare regole che
affermino valori o interessi femminili, è stato superato non
ugualmente nei diversi paesi del mondo; è stato superato più negli
Stati Uniti che in Italia, dove è ancora forte la teoria della
differenza sessuale. Direi che l'atteggiamento che in questo momento
è dominante è quello delle femministe post-moderne. Le femministe
che si definiscono post-moderne sono femministe che si ispirano alle
teorie post-strutturaliste - quindi a Lacan, a Derrida, a Foucault -,
si ispirano all'idea-base che il soggetto viene costruito
dall'esterno, dal linguaggio. Queste femministe dicono che tra i “discorsi”
che contribuiscono a creare l'individuo, nella fattispecie la donna,
vi è il diritto. Uno dei personaggi più interessanti tra le
femministe post-moderne è Mary Jo Frag, tra l'altro tragicamente
scomparsa nel 1992. Mary Jo Frag proprio nel 1992 pubblicò sulla
Harvard Law Review un Post-modern legal manifesto, incompiuto, che poi
a cura del marito è stato pubblicato in un volume. Secondo Frag anche
il diritto contribuisce a creare l'idea della donna e afferma che se
noi cerchiamo di togliere tutto quello che è costruzione sulla donna
e andiamo al fondo, vediamo delle cose che sembrano indicare un’“essenza
femminile”, che sembrano naturali, ma che in realtà - almeno alcune
di queste - si dimostrano essere un prodotto del diritto.
Quindi ha individuato le regole giuridiche che contribuiscono a
formare la parte del femminile che sembra naturale, ma che non lo è
veramente. Frag divide queste regole in tre categorie: ci sono le
regole che terrorizzano il corpo femminile, che sono per esempio la
mancata sufficiente difesa contro la violenza fisica, contro il “sexual
harassment”, del quale tanto si discute in Italia anche in questo
momento, o quello che gli americano chiamano lo stalking. Lo stalking
consiste nell'attendere una donna sotto casa: se io tutto le sere,
tornando a casa, trovo un individuo che sta l“ e mi guarda, che non
fa niente, ma ho l'impressione che mi controlli e che mi possa
aggredire, ecco questo è lo stalking. Può sembrare ridicolo, ma è
invece qualcosa di veramente preoccupante e in effetti molti casi di
stalking poi hanno dato luogo ad aggressioni e violenze .
Ci sono poi le regole che maternalizzano il corpo femminile, ad
esempio tutte le regole che puniscono o criminalizzano l'aborto o che
comunque rendono difficile praticare l'aborto. Tra queste si hanno
anche alcune regole del mercato del lavoro, per esempio, negli Stati
Uniti, l'“unequal payment system”, la non questa parità salariale
e la mancanza, o la riduzione al minimo, delle ferie per maternità.
Tutte queste - dice Frag - sono regole che maternalizzano il corpo
femminile e perciò l’idea della maternità, che dovrebbe essere
innata, è in realtà indotta e generata, in gran parte, dalle regole
giuridiche.
Un terzo tipo di regole sessualizza il corpo femminile. Sessualizzare
il corpo femminile attraverso delle regole giuridiche vuol dire, per
Frag, far approvare regole giuridiche che propongono un modello di
comportamento sessuale “ortodosso”, eterosessuale e monogamico.
Tali regole puniscono quindi l'omosessualità e l'adulterio. Questo,
riassumendo molto, è il senso del Post-modern legal manifesto.
Naturalmente la controproposta è che si impongano si approvino delle
regole che contrastino la costruzione, da parte, maschile della
femminilità delle donne: questa è, in sintesi, la posizione
post-moderna.
Non ci sono solo le femministe post-moderne che propongono di
modificare il diritto tenendo conto del genere sessuale, ma ce ne sono
anche altre, tra cui Catherine Mc Kinnon, una giurista diventata
famosa, anche a livello dei media, per la sua difesa di Anita Hill
nelle famose udienze contro il giudice Thomas. Catherine Mc Kinnon ha
fatto una proposta che ha diviso il mondo non solo delle femministe,
ma il mondo femminile americano: ha tentato di far passare una famosa
ordinanza che vietasse la pornografia. Su quali basi ha fatto questa
proposta? Mc Kinnon parte da una critica al diritto dello stato
liberal-borghese e dice: il diritto dello stato liberal-borghese e le
sue regole si basano sul dominio, sulla violenza dell'uomo sulla
donna. In questo senso propone due esempi molto significativi. Il
primo è quello della violenza sessuale. La violenza sessuale, come
noi la immaginiamo, sarebbe una costruzione ideologica maschile,
perché quando si pensa a questa forma di violenza si pensa ad un atto
di inaudita brutalità; il violentatore per noi è un mostro, è un
bruto, uno che compie un atto assolutamente fuori dalle regole.
Per Mc Kinnon la questione non può essere posta in questi termini: a
suo giudizio, la violenza sessuale è infatti qualcosa di endemico
nello stato patriarcale; le sue regole giuridiche prevedono la
violenza sulla donna, che non si verifica perciò solo quando un uomo
abusa brutalmente, da un punto di vista sessuale, di una donna, ma si
determina tutte le volte in cui tra l'uomo e una donna c'è una
diseguaglianza, anche di natura economica. Mc Kinnon sostiene che la
diseguaglianza economica non sia una cosa individuale; la
diseguaglianza economica è abituale, è la regola in questa nostra
società, in quanto le donne hanno meno accesso alla ricchezza. È
quindi è violenza sessuale anche quella che si verifica in rapporti
apparentemente consensuali, perché in realtà il consenso della donna
è stato determinato da questa ineguaglianza di fondo. Questa teoria
ha naturalmente fatto molto discutere; anche se c'è in essa un fondo
di verità - è chiaro, ad esempio, che la lavoratrice che cede al
datore di lavoro non si trova in condizioni di parità -, configurare
ogni discriminazione come violenza sessuale è quantomeno discutibile.
semmai uno può parlare di ricatto, può parlare di tante altre cose.
Il dibattito introno alle tesi di Mc Kinnon, alla sua proposta di
vietare la pornografia, è stato ed è, come si può facilmente
comprendere, molto acceso.
Qual è il senso della proposta vietare la pornografia e quale è
stata la reazione dei gruppi femministi?
Per capire la reazione bisogna vedere come Mc Kinnon ha motivato
questa proposta. La pornografia è una subordinazione grafica alla
violenza, cioè è una subordinazione che viene rappresentata con
segni e parole nei film pornografici. Pur non essendo una violenza
reale, ma rappresentata, è tuttavia concreta violenza nei confronti
delle donne, perché, dice Mc Kinnon, la pornografia, in uno stato
liberal-borghese che difende la libertà, altro non è che libertà di
esprimere un odio verso le donne e di soddisfare il desiderio di
violenza contro di loro. Anche questo - non è un mio commento mio, ma
una delle reazioni - è molto opinabile, perché non tutta la
pornografia esprime violenza sulla donna in quanto c'è anche la
pornografia sadomaso in cui è la donna che esercita violenza
sull'uomo. Comunque, al di là di ciò, questa presa di posizione ha
provocato una rottura totale all'interno del mondo femminile; alcune
donne conservatrici si sono schierate con Mc Kinnon chiedendo che la
pornografia fosse vietata, mentre gran parte delle rappresentanti del
femminismo si è opposta e ha detto che la richiesta di vietare la
pornografia proponeva un modello di “vanilla-sex behaviour”, di
“sesso alla vaniglia”. Che cos'è questo “sesso alla vaniglia”?
È il sesso ortodosso, tradizionale, eterosessuale. Sono state le
femministe lesbiche quelle che hanno introdotto l’espressione; hanno
inoltre contestato fortemente Mc Kinnon e tutte le donne che
sostenevano la campagna contro la pornografia. Le femministe
omosessuali hanno anche proposto un uso costruttivo della pornografia,
nel senso che a loro giudizio la pornografia può essere usata come
strumento per la liberazione sessuale Quanto detto può dare un'idea
anche della violenza dello scontro su questo punto: chiedere
l'abolizione o il divieto della pornografia è, nella nostra ottica,
qualcosa che crea un problema.
Ci sono state nel mondo femminile anche altre fratture oltre a quella
riguardante la pornografia, e sempre a proposito di rapporto fra il
genere e il diritto. Le femministe, in particolare quelle omosessuali,
hanno detto per esempio - questa è una polemica anche con Mary Jo
Frag - che le regole che maternalizzano il corpo femminile non sono
negative ma positive, perché le regole giuridiche maternalizzano il
corpo femminile eterosessuale, ma dematernalizzano il corpo della
lesbica, impedendo alle donne lesbiche l'adozione e la fecondazione
artificiale; quindi ben vengano le regole che maternalizzano il corpo
femminile. Un altro campo giuridico controverso è l'aborto. Anche
l'aborto, che apparentemente è uno dei temi su cui c'è un universale
consenso delle donne, diciamo delle femministe o delle donne che hanno
un certo approccio politico, è stato contrastato dalle femministe
africane. Queste hanno detto che il vero problema per loro non è
quello di abortire, ma quello di riuscire a tenere in vita i figli,
che regolarmente muoiono di fame: non vogliono quindi parlare
dell'aborto. Tutto ciò dimostra - è perciò interessante - come vi
siano state fratture profonde proprio sul tema fondamentale delle
regole giuridiche che riguardano le donne.
Il problema del rapporto genere-diritto e quello della sessualità
non è affrontato soltanto dalle femministe: può parlarci delle altre
posizioni intorno a questi temi?
Certo, ce ne sono molte estremamente interessanti. È opportuno
soffermarsi su quella di un giurista, Richard Possner, che negli
ultimi anni ha fatto discutere moltissimo le femministe americane.
Richard Possner nel 1992 ha scritto un libro che si chiama Sex and
reason sostenendo una teoria economica del sesso, applicando al sesso,
al comportamento sessuale, la teoria dell'“attore razionale”, del
soggetto che sceglie il suo comportamento valutando i costi e i
benefici. Possner ha costruito una teoria secondo cui il comportamento
sessuale maschile e quello femminile sono diversi perché
biologicamente la donna è diversa dall’uomo. Sulla base di questa
differenza biologica, che consiste essenzialmente nel fatto che le
donne fanno i figli, ha sostenuto che le donne hanno una tendenza alla
monogamia o quanto meno sono più selettive, perché vogliono un
partner che dia loro più garanzie e fiducia nel periodo in cui sono
incinte e devono partorire; gli uomini, il cui contributo alla nascita
sta solamente nel concepimento, sarebbero perciò meno selettivi nelle
loro scelte sessuali.
Non mi dilungo su questa teoria, che ovviamente è stata - e
giustamente -, contrastata dalle femministe e vengo invece al centro
della questione sul rapporto genere-diritto. Possner, al di là di
tutte le critiche che si possono fare al suo libro e alla sua teoria,
sul rapporto genere-diritto ha una posizione a mio parere
apprezzabile, perché si pone una domanda importante: il diritto deve
regolare le scelte sessuali o no? E, eventualmente, in che misura deve
regolarle? La risposta di Possner: “sex is like eating”, “il
sesso è come il cibo”, e quindi la conseguenza è che si deve
regolarlo il meno possibile; chiunque mangia quello che vuole e così
può fare liberamente le sue scelte sessuali, naturalmente con dei
limiti, ma il meno possibile. È interessante la posizione di Possner
perché la sua teoria “economica” si contrappone alla teoria
moralistica che in America è molto forte. Questa teoria vuole punire
praticamente i comportamenti ritenuti immorali; si pensi che in 26
Stati la sodomia è considerata un vero reato ed è quindi punibile
dalla legge. Alla posizione moralistica si sono opposti vari giuristi:
insieme a Possner ne ricorderei quanto meno un altro, David Cohen. In
un suo recente libro, Law, society and sexuality, egli sostiene che il
sesso debba essere regolato, ma non in base a criteri morali, perché
non si può punire l'immoralità in sé stessa. L’idea di punire
l'immoralità in quanto tale mette in discussione un fondamentale
principio, che in Occidente si è affermato da Kant in poi, quello
della separazione tra la sfera pubblica e la sfera privata, che segna
il limite dell'intervento dello Stato nelle scelte proprie degli
individui.
In sintesi, quali sono i lati positivi del femminismo?
In questo post-femminismo o femminismo post-moderno, di cui nota
esponente è Julia Kristeva, ci sono indubbiamente dei lati positivi.
L’idea centrale di questo filone del femminismo considera il
soggetto-donna come costruito dall'esterno. La donna non è un'entità
determinabile, noi possiamo dire solo quel che non è, dice Kristeva,
e quindi non è possibile neanche una politica femminista in positivo.
Tale prospettiva, che poi ha i suoi lati negativi, ha avuto comunque
un effetto decisamente positivo: ha consentito di smantellare l'idea
di un'essenza femminile, di un soggetto femminile identico,
monolitico, che era dominante nell'epoca in cui trionfava
l'esaltazione della differenza sessuale. Le femministe post-moderne
hanno messo in luce che le donne stanno in tanti posti diversi nello
spazio, nelle classi sociali e quindi compiono scelte sessuali
diverse. Non si parla più di valori e di interessi uguali, perché in
realtà l'essenzialismo - giustamente dicono le femministe
post-moderne - aveva in mente un soggetto che era la donna bianca ed
eterosessuale e non teneva conto delle altre donne. Il post-femminismo
consente di considerare come donne anche le donne nere, le donne di
altre razze, le donne lesbiche, consente di tenere conto delle
differenze di classe: questo mi sembra un aspetto molto positivo.
Per affermare che le donne non sono tutte uguali e che la differenza
fondamentale forse non è quella fra uomo e donna ma che, accanto a
questa, certamente importante, ci sono le differenze fra donne, non
c'è però bisogno di essere post-moderne. Comunque le femministe
post-moderne hanno contribuito in modo decisivo ad affermare questo
principio. L'altra cosa importante è che le femministe post-moderne
hanno messo in discussione l'idea che le opposizioni binarie siano
naturali. Prendiamo l'opposizione “uguaglianza-differenza”: fino a
qualche anno fa chi sosteneva che la differenza non doveva essere
presa in considerazione o non era così importante all'interno di una
politica femminista, e quindi sosteneva l'uguaglianza, era accusata di
essere “mascolinizzata”. Da una parte c’era l'uguaglianza, che
voleva dire omologazione al maschio, neutralità dell'essere umano,
cancellazione delle differenze e dall'altra parte la contrapposizione
tra uomo e donna, tra mondi diversi, tra modi diversi di ragionare e
via dicendo.
Le femministe post-moderne hanno messo in luce che tutte le
opposizioni binarie non esistono nella realtà, che ci sono sempre
delle interrelazioni e, molto giustamente, con riferimento alla
questione della “uguaglianza-differenza” - qui si potrebbe citare
in particolare Joan Scott - hanno detto non dobbiamo scegliere
l'uguaglianza o la differenza: l'uguaglianza vuol dire cancellazione
delle discriminazioni legate alla differenza e quindi c'è
interrelazione fra un termine e l'altro del problema. È possibile
arrivare a questa conclusione sia dal lato del femminismo
post-modernista che da altre posizione, perché basta pensare che la
regola dell'uguaglianza è una regola prescrittiva e non descrittiva.
L'articolo 3 della nostra Costituzione che dice che tutti i cittadini
sono uguali senza differenze di sesso, di razza o di religione; non
dice che non ci sono uomini e donne o che non ci sono differenze, dice
soltanto che un uomo e una donna non possono essere trattati
diversamente in considerazione di questa loro differenza. Le teoriche
della differenza sessuale dicono che questo è un articolo che
neutralizza le differenze e infatti ci sono proposte di cambiare
l'articolo 3 della nostra Costituzione, che io continuo a ritenere
invece un baluardo della libertà e anche una salvaguardia della
stessa differenza, intesa in senso non essenzialista
Possiamo allora parlare, invece, degli aspetti negativi del
femminismo postmoderno?
Certamente ce ne sono e secondo me anche molto seri. Un primo aspetto
negativo è questo: il femminismo post-moderno, ispirandosi alle
teorie di Foucault, vede i centri del potere nelle istituzioni, nella
famiglia, nella scuola, nel carcere; questa frantumazione del potere
fa si che sia molto difficile individuare chi esercita veramente il
potere e su chi. Portando fino in fondo le teorie post-strutturaliste
riesce difficile individuare il centro effettivo, che pure esiste, del
potere: questa mi sembra una critica molto giusta fatta rivolta al
post-strutturalismo femminista in particolare. Ce anche un'altra idea,
che per il femminismo forse è altrettanto esiziale, quella per cui il
soggetto, in questo caso la donna, è il risultato di una costruzione
esterna. Questa prospettiva porta a concludere - se giungiamo alle
logiche conseguenze del pensiero post-strutturalista - che, come dice
Julia Kristeva, la donna è una finzione e che quindi il femminismo
può solo agire in negativo dicendo quello che non deve essere. Questo
mina alle basi proprio la possibilità stessa del femminismo, perché
il femminismo, per poter esistere, deve poter avere un obiettivo e
l'obiettivo presuppone che ci sia un soggetto al quale riferirsi.
Come uscire allora da questa contraddizione? Come risolvere questo
problema che evidentemente, come lei ha detto, mina alla base la
possibilità stessa del femminismo?
Da alcuni anni proprio di ciò si occupano le femministe: come uscire
da questa situazione, cioè come formulare una teoria del soggetto che
non cada da un lato nell'essenzialismo e dall'altro nella negazione di
un soggetto-donna, come può succedere se si seguono fino alle estreme
conseguenze le teorie post-strutturaliste. Un'autrice che mi sembra
importante, la quale ha cercato di uscire da questa aporia, è Teresa
De Lauretis. In un libro pubblicato già nell'84, che si chiama Alice
doesn't e poi in successivi interventi, ha cercato appunto di
costruire una teoria diversa della soggettività. In sintesi, De
Lauretis ha detto che il soggetto si costruisce nell'interazione
continua tra il mondo esterno e il mondo interno, attraverso le
esperienze; per le esperienze comprendono anche la pratica sociale,
ovviamente, e le azioni politiche. In questa prospettiva De Lauretis
comincia a formulare un'ipotesi di soggettività femminile; questo è
il punto focale: a suo giudizio le esperienze sono il modo, il tramite
attraverso il quale il soggetto viene permeato di genere, e diventa
quindi uomo o donna. È difficile aggiungere altro, perché direi che
proprio questo è il travaglio del femminismo in questo momento.
Come possiamo concludere questa conversazione sul diritto sessuato?
Concludere è sempre difficile, anzi impossibile, su qualunque
argomento e quindi anche su questo; possiamo comunque cercare di
riassumere quanto abbiamo detto e fare ancora qualche considerazione.
Il femminismo ha fatto passi avanti enormi. Ricordo, ho anche
partecipato alle prime riunioni femministe negli anni '70, che allora
si diceva qualcosa che le femministe di adesso, le più giovani, non
sanno, si diceva che la signora Agnelli è oppressa come l'operaia
della FIAT. Oggi nessuno direbbe più una cosa del genere. Devo dire
che avevo delle perplessità già allora, ma quello che io
personalmente pensavo non conta; oggi la situazione è profondamente
cambiata in quanto si tiene conto del problema delle differenze di
genere, delle differenze fra donne e, con riferimento al tema del
diritto sessuato, direi che si cerca di costruire una pratica
dell'uguaglianza che tenga conto delle differenze.
Mi rendo conto che presentata così può sembrare una prospettiva
molto astratta ma posso fare un esempio tratto da una storia
raccontata da un medico che aveva lavorato in una fabbrica: la
direzione della fabbrica richiedeva ai lavoratori un esame del sangue,
dal quale, se il lavoratore che si sottoponeva al test era una donna,
risultava se era incinta; allora giustamente le lavoratrici hanno
chiesto che, al momento dell'assunzione, solo gli uomini fossero
sottoposti a questo test. Mi sembra un esempio molto concreto, chiaro
e significativo di che cosa voglia dire l'uguaglianza che tiene conto
delle differenze. Quindi è vero che tenere conto delle differenze
può portare a regole diverse - in questo caso la donna non viene
sottoposta al test -, che sono tali non perché ci sia un diritto
femminile diverso, ma perché per essere uguali bisogna in questo caso
che ci siano regole diversificate.
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