Per una Milano riformista
Alberto Martinelli con Antonio Carioti
Sarà l’ex sindacalista della Cisl Sandro Antoniazzi, molto vicino
al cardinale Carlo Maria Martini, a sfidare il sindaco uscente di
Milano, Gabriele Albertini di Forza Italia, sotto le insegne dell’Ulivo.
Si tratta di una soluzione tendente a privilegiare le istanze del
cattolicesimo progressista, ma gradita anche a Rifondazione comunista.
Ci si è arrivati dopo una girandola di nomi assolutamente
vertiginosa, oscillante tra gli estremi del petroliere Massimo Moratti
e dell’attore Dario Fo, passando per Gianni Rivera, Edo Ronchi e
molti altri, tra cui anche un ex di lusso come Carlo Tognoli.
In campo era sceso, quale rappresentante dell’antica e illustre
tradizione riformista milanese, anche il professor Alberto Martinelli,
ex preside della facoltà di Scienze politiche all’Università
Statale, con il sostegno di alcuni dei nomi più noti della cultura
progressista: da Guido Rossi a Umberto Eco, da Inge Feltrinelli a
Claudio Demattè, per continuare con Salvatore Veca, Arnaldo Pomodoro,
Cesare Segre. L’iniziativa non ha avuto successo, soprattutto per
via del riflesso difensivo che ha dominato le scelte compiute dai
partiti dell’Ulivo. Ma comunque ha aperto una riflessione importante
sull’identità e gli obiettivi dello schieramento di sinistra.
Com’è nata la sua candidatura, professor Martinelli?
Dinanzi alle evidenti difficoltà dei partiti, incapaci di trovare una
soluzione convincente, alcuni rappresentanti qualificati della classe
dirigente milanese hanno deciso di offrire il proprio appoggio al
centrosinistra, ponendogli però alcune condizioni. E mi hanno chiesto
di avanzare la mia candidatura, cosa che ho fatto ben volentieri. In
quel momento Antoniazzi appariva già il favorito, perché il suo nome
consentiva di ottenere l’appoggio di Rifondazione. Ma noi abbiamo
voluto che, accanto a quella ipotesi legittimamente rappresentativa
della sinistra “sociale”, ne fosse presente un’altra dai tratti
più liberali e modernizzatori, in sintonia con l’eredità del
riformismo milanese.

Avete proposto anche un’innovazione di metodo, chiedendo di
tenere elezioni primarie all’interno dell’Ulivo.
Sì. Ci pareva una soluzione migliore, per uscire dallo stallo
determinato dai contrasti fra le segreterie dei partiti, rispetto a
quella, poi adottata, di affidare la decisione a un’assemblea degli
eletti dall’esito pressoché scontato, visti i rapporti di forza tra
le diverse componenti della coalizione. Le primarie avrebbero
consentito una competizione meno dispari tra me e Antoniazzi, che
aveva già incassato l’appoggio della segreteria cittadina dei Ds.
Però organizzare le primarie sarebbe stato complicato, tanto più
che il tempo stringeva, con la campagna elettorale ormai alle porte.
E’ un’obiezione facilmente confutabile. Proprio una consultazione
a vasto raggio, con in lizza nomi alternativi, avrebbe attratto l’attenzione
dei mass media sul centrosinistra, conferendogli maggiore visibilità.
Sarebbe stato un modo per dimostrare che a Milano l’Ulivo esiste,
raccogliendo i voti delle primarie in almeno cento punti diversi della
città, oltre che via Internet. All’immagine chiusa e litigiosa
fornita dal centrosinistra, ne sarebbe subentrata una più dinamica e
innovativa. Sono convinto che scartare le primarie sia stato un grave
errore.
Comunque anche l’assemblea degli eletti ha voluto essere un
segnale di apertura. E’ stata presentata come uno strumento molto
democratico.
Formalmente lo era, ma nei fatti abbiamo assistito al manifestarsi dei
soliti schieramenti precostituiti. C’è un particolare rivelatore,
da questo punto di vista: la proposta delle primarie è stata bocciata
dall’assemblea con 105 voti, poi alla candidatura di Antoniazzi,
dopo il mio ritiro dalla competizione, è andato esattamente lo stesso
numero di suffragi. Tra l’altro 105 consensi, su un totale di 220
aventi diritto, non sono certo un risultato che configuri un’investitura
forte da parte della coalizione.
E adesso che cosa intendete fare?
La mia candidatura è stata solo il primo passo di una strategia su
cui i firmatari dell’appello, ai quali si stanno aggiungendo ogni
giorno nuovi nomi, intendono persistere. Settori importanti della
società civile milanese sono disposti a collaborare con l’Ulivo, ma
solo se i partiti assumeranno l’impegno a rinnovare profondamente l’organizzazione
e le modalità di funzionamento della loro vita interna.
I vostri prossimi passi?
Innanzitutto proporremo ai sottoscrittori dell’appello di
trasformarsi in un’associazione politico-culturale. Poi incontreremo
il vice di Francesco Rutelli, Piero Fassino, per illustrargli le
nostre posizioni e discutere insieme le strategie future, il prossimo
19 marzo. E ovviamente parteciperemo con lealtà e convinzione alla
campagna elettorale del centrosinistra, per le comunali come per le
politiche, seguendo direttamente alcuni temi specifici riguardanti la
vità della città, a seconda delle competenze accumulate da ciascuno
di noi nella sua esperienza professionale.
Come si caratterizza la vostra impostazione politica?
A mio parere le trasformazioni in corso attualmente - con la
globalizzazione, l’economia della Rete, la società della conoscenza
- introducono un’accesa competizione tra le grandi metropoli, che
sono un po’ i centri nervosi di questa rivoluzione culturale e
produttiva. Quindi ogni città deve saper valorizzare la sua migliore
tradizione, aggiornandola adeguatamente. A Milano si tratta di
riprendere e sviluppare l’eredità riformista, per delineare un
progetto di governo coerente con il passato, ma fortemente
competitivo. Bisogna salvaguardare i valori della solidarietà e della
coesione sociale, ma al tempo stesso aprire le porte al cambiamento,
stimolare una crescita economica che coniughi equità e qualità.

Su questo, però, si dicono d’accordo tutti, a destra come a
sinistra.
A parole sicuramente sì. Ma nei fatti il centrodestra si affida al
mercato come ordine spontaneo e per sua natura virtuoso, confinando la
politica nell’ambito della pura e semplice amministrazione. Mentre
vasti settori della vecchia sinistra guardano alle novità con
istintiva diffidenza, fanno di tutto per rallentarle, perché sono
convinti che il loro effetto principale sia quello di peggiorare la
situazione dei gruppi sociali più deboli.
Non ci si può nascondere che a Milano l’Ulivo ha stentato molto
a trovare un candidato sindaco, mostrandosi debole e rissoso. Dipende
tutto dal fatto che battere Albertini appare un’impresa disperata o
ci sono altre ragioni alle origini di un travaglio così profondo?
Senza dubbio a Milano la coalizione tra Polo e Lega risulta molto
forte, tanto più che Albertini ha ricevuto l’appoggio di
personalità che non sostengono Berlusconi a livello nazionale, come
Indro Montanelli. Non è facile trovare candidati che abbiano il
coraggio e la generosità di combattere una battaglia così difficile,
soprattutto dichiarando (come abbiamo fatto solo io, Antoniazzi e
Milly Moratti) di essere disposti a rimanere in Consiglio comunale a
fare l’opposizione per cinque anni in caso di sconfitta. Detto
questo, c’è anche un problema di fragilità della coalizione di
centrosinistra, che a Milano riflette, in modo esacerbato, i difetti
evidenti anche a livello nazionale. Purtroppo, in una situazione nella
quale le risorse e le opportunità sono minori, la miopia e la
litigiosità delle forze politiche finiscono per accentuarsi.
E’ possibile pensare di superare la vecchie divisioni
trasformando l’Ulivo in un soggetto politico unitario? Voi vi
riconoscete in una prospettiva del genere?
Certo. Non voglio entrare nel dilemma tra socialdemocrazia europea e
partito democratico di stampo anglosassone. Trovo comunque necessario
lavorare alla creazione di una forza riformista moderna, capace di
ridurre la frammentazione del quadro politico e dare una
rappresentanza ai ceti che si trasformano o emergono ex novo per
effetto dei mutamenti sociali. Resta un discorso aperto quale sia il
percorso più adatto, rafforzare l’area moderata riunita nella
Margherita oppure costruire un’aggregazione più vasta intorno ai Ds,
ma l’obiettivo dev’essere senza dubbio questo.
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