Ma chi sarebbe l'‘homo moderatus’?
Carlo Scirocchi
Il concetto di biodiversità ha origini antichissime e nella nostra
cultura occidentale se ne trova già espressione negli scritti
naturalistici di Aristotele. In questi ultimi decenni tale concetto è
andato sempre più precisandosi e acquistando un significato e un’importanza
strettamente legati alle esigenze di sopravvivenza della nostra stessa
specie. Gli studiosi di ecologia umana sostengono che la diversità
biologica o biodiversità costituisce una importantissima risorsa
potenzialmente rinnovabile per l’uomo e per tutte le altre specie
viventi e tale visione ha trovato nella Conferenza di Rio del 1992 una
consacrazione internazionale.
La biodiversità è quindi una parte vitale del capitale Terra, ne
sostiene la vita e fornisce il materiale genetico grezzo per l’adattamento
ai futuri cambiamenti delle condizioni ambientali.
Il valore della biodiversità è perciò da valutare anche in chiave
temporale, cioè come un processo dinamico la cui stabilità e
utilità è data dal massimo grado di complessità raggiungibile in
ogni momento. Ecco perché è dovere preciso di tutti agire in modo da
conservare o ripristinare il massimo grado di tutti gli ecosistemi del
nostro pianeta.
A fronte di tale concezione, ormai universalmente accettata, anche se
con difficoltà messa in pratica per il gioco dei soliti interessi, si
assiste ad un fatto curioso: si trascura di considerare che la
biodiversità è un concetto che riguarda tutto ciò che vive, anche
se non in senso strettamente biologico.
Esattamente gli stessi concetti sopra espressi sono trasferibili a
molti aspetti del vivere umano. Prendiamo la politica, per esempio.
Sulla scia del modello anglosassone, che sembra la massima espressione
della civiltà moderna, i nostri politici fanno a gara per dire le
stesse cose, usare gli stessi termini e gli stessi slogan e rendere le
loro differenze sempre più sfumate e impercettibili. La bandiera che
tutti sembrano inalberare è quella del ‘moderatismo’, sotto la
quale si può dire tutto e il contrario di tutto.

Qualcuno mi dovrebbe spiegare esattamente cosa significa, a più di
due secoli dalla Rivoluzione Francese, ‘essere moderati’. Che
voglia significare: prendere fregature senza neanche protestare? Ma a
parte questo non secondario quesito, che meriterebbe una precisa
definizione visto l’uso abnorme e indiscriminato che si fa di tale
termine, se consideriamo i partiti come altrettante ‘specie
politiche’, sorge spontaneo il raffronto con la ricca e variegata
foresta piena di suoni differenti e perciò interessante e
affascinante.
Ciascuna specie ha il suo proprio richiamo amoroso, il suo proprio
verso di battaglia o di pericolo. Dov’è allora il linguaggio
politico delle diverse specie politiche? Se da destra si odono grida
proprie della sinistra (lavoro, disoccupazione, pensioni) e da
sinistra richiami propri della destra (leggi antisciopero,
privatizzazioni selvagge, globalizzazione) allora il povero cittadino
che tende le orecchie per captare il segnale che potrebbe orientarlo
verso la specie di proprio interesse, rischia di essere azzannato da
una tigre pensando di aver acchiappato un fringuello. A parte poi la
mancanza di fascino di un mondo politico e linguistico ridotto ad un
informe pappone transgenico. Poi c’è chi si meraviglia se il
cittadino si è disaffezionato alla politica. Se, come insegnano le
regole ecologiche, la ricchezza e varietà delle specie biologiche è
condizione di vita, allora la politica sta rischiando l’estinzione
proprio a causa del suo sforzo di omogeneizzazione. Alla faccia dei
teorici del ‘moderatismo’.
Naturalmente avere una identità e un proprio linguaggio presuppone
robusti cromosomi, giusto per non tirare in ballo qualcosa di più
esteriore e rotondo. Ma mi sembra che non ci sia veramente un’alternativa.
Immaginate uno scrittore, o un poeta, che all’improvviso si mette a
scopiazzare qua e la stilemi e forme già usate, argomenti già detti,
smettendo di ricercare, in accordo con i tempi e la cultura in cui
vive, il suo proprio linguaggio, il suo proprio stile. Avrebbe serie
speranze di successo?
Insomma, gli uomini per sedersi a tavola con gusto e divertimento
hanno bisogno che le pietanze siano varie e distinte e che il cuoco,
perciò, sia dotato di un elevato grado di creatività e fantasia
oltre che, naturalmente, di buona tecnica. Forse non è per caso, per
riprendere il confronto con il mondo anglosassone, che la polpetta
veloce e altre forme alimentari dalla forma, colore e gusto adatti ad
una catena di montaggio, abbiano avuto i natali proprio in quelle
terre di spinta all'omologazione e alla conformità sociale.
Se è vero, come mi pare sia, che il bello della vita oltre che la sua
stessa condizione di sussistenza, risiede nella varietà, bisognerebbe
chiedersi come mai questo stesso concetto non appaia in tutta la sua
evidenza anche nel mondo della politica. Il piacere di passeggiare per
il Corso della città implica che le facce delle persone non siano
tutte uguali e che i negozi non mostrino tutti la stessa merce.
Immaginate che incubo sarebbe il contrario. Più si va verso la
differenziazione più aumenta l’interesse e il divertimento.
Come mai i nostri politici vanno nel verso opposto? Certo, è un
calcolo politico: calcolare i tempi del suicidio. Specialmente da
parte delle forze di sinistra che, per definizione, sono quelle
deputate al cambiamento rispetto a quelle conservative e, quindi,
hanno un maggiore grado di responsabilità rispetto al mantenimento
della biodiversità politica. Se si cessa di esprimere su base
strategica il proprio ‘richiamo’ di specie, fatto di verso nuovi e
variazioni sul tema, cos’è che permetterà all’ipotetico
escursionista della foresta di riconoscerla? E se il linguaggio
diventa indistinto chi se ne avvantaggia di più: chi deve esprimere
cose nuove o chi prospera nei vecchi modelli? Non è già questo una
vittoria della conservazione?
Qualcuno dirà: ma eliminare il patrimonio genetico della sinistra è
un modo per accattivarsi le simpatie dei ‘moderati’. Eccoci di
nuovo alla stessa domanda di prima. Chi è il moderato? Uno che non
vuole più divertirsi? Qualcuno la cui massima aspirazione è quella
di mettersi davanti alla TV con una birra e un panino alla polpetta
per guardare la partita? A parte che le squadre di calcio sono belle e
hanno i loro tifosi proprio perché hanno maglie, campioni e gioco
differente, ma siamo tutti sicuri che il suddetto ‘moderato’ sia
tale per convinzione piuttosto che per rassegnazione? E se proprio
esiste una specie ‘homo moderatus’, che essa rappresenti il
pubblico adatto per la sinistra? O rappresenti il massimo dell’evoluzione
dell’umanità? O, in maniera meno ambiziosa, l’unica spinta
possibile per il progresso?
In fondo il consumo di Viagra è abbastanza elevato, segno che
rassegnarsi su alcune questioni basilari, come è quella di
riconoscere la propria specie d’appartenenza, non è ben accetto da
molta gente. Forse se i signori della politica diventassero,
metaforicamente parlando, ‘gli amanti’ delle gente anziché la
tranquilla moglie con i bigodini, molti butterebbero la birra, si
guarderebbero la pancia grassa e pesante e correrebbero in palestra e
in farmacia (magari col tempo il viagra non sarebbe più necessario).
Naturalmente anche la moglie mette i bigodini perché tanto il marito
deve vedere la partita. E così tutto a poco a poco degrada nell’assenza
di desiderio, di pensiero critico, nella perdita del gusto per cibi
diversi dalla polpetta, nell’omologazione del comportamento, per la
gioia dei teorici dell’homo moderatus.
Personalmente mi sono sempre divertito un mondo con i film di Don
Camillo e Peppone e non sono mai riuscito a parteggiare per l’uno o
per l’altro, entrambi simpaticissimi, ciascuno con il suo ruolo
preciso e il suo sacrosanto punto di vista. Ecco, tanto per esprimersi
in termini estetici, la differenza tra personaggi come questi, giusto
per non scomodare esempi letterari e culturali più illustri, e i
nostri politici è che quelli erano personaggi con un loro carattere e
un loro linguaggio. I nostri sono solo intrattenitori televisivi,
tutti con la stessa cravatta a pallini. Don Camillo e Peppone non
erano una caricatura ma una satira arguta di costume.
E pensare che l’Italia da un punto di vista ecologico e culturale è
un Paese straordinario, dalle differenze notevoli da Nord a Sud e da
Est a Ovest, con dialetti, piatti tipici, paesaggi naturali e
architettonici. Con un popolo che ha saputo risollevarsi da tanti
disastri e tante tempeste con grande pazienza. Il nostro Paese
rappresenta proprio la prova tangibile che le differenze fanno
ricchezza e fascino. Riuscirà una classe politica transgenica e
staminale ad uccidere il piacere e il gusto per la vita, la
creatività della specie autoctona che ha riempito il mondo di opere
straordinarie?
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