Un grande imprenditore-creatore
Marco Vitale
“Mi è sembrato un uomo buono …. da persone come lui abbiamo
molto da imparare”. Angelo Maria Roncalli, patriarca di Venezia,
dopo un incontro con Adriano Olivetti nel dicembre 1956
“Olivetti Adriano di Camillo. Classifica: Sovversivo”. Così
sta scritto sulla copertina del dossier che la P.S. di Aosta apre su
Adriano Olivetti nel giugno 1931. Credo che tra le tante definizioni
che mi è capitato di leggere, questa dell’oscuro funzionario della
questura di Aosta sia la più centrata. E come può non essere
sovversivo un imprenditore che entra nella fabbrica paterna a 23 anni
(nel 1924) quando questa produce 4000 macchine da scrivere all’anno
con 400 dipendenti e dunque 10 macchine all’anno per addetto e che,
quando muore prematuramente, lascia un gruppo che nel 1958 festeggia
il 50° anniversario con circa 25.000 dipendenti, con cinque
stabilimenti in Italia e cinque all’estero, dai quali escono sei
macchine al minuto; i cui dipendenti hanno un livello di vita
superiore dell’80% a quello dei dipendenti di industrie similari;
che si prepara a digerire, sia pure con fatica, l’acquisizione della
mitica Underwood americana (“una delle più elevate tasse
scolastiche pagate nella storia” dice Raymond Vernon; ma Adriano non
era solo a concludere quella disgraziata acquisizione); che sta già
affrontando la nuova sfida dell’elettronica; che ha saputo imporre
al mondo intero uno stile e un design che sono diventati un
riferimento per tutti; che ha creato la più ricca e significativa
scuola di management della storia italiana?
E come può non essere sovversivo un imprenditore che per trent’anni,
dal 4 dicembre 1932, quando fu nominato, a 31 anni, direttore generale
sino al 27 febbraio 1960, quando una trombosi cerebrale lo stronca sul
direttissimo Milano - Losanna, ha sempre spiazzato tutti (i
concorrenti, le crisi congiunturali, i parenti ostili, le difficoltà
di ogni genere) in avanti, rilanciando sempre l’impresa nella
direzione dello sviluppo e dell’innovazione? Innovazione di
processo, innovazione di prodotto, innovazione di organizzazione,
innovazione di sistema: esattamente come ci compiacciamo di insegnare
nelle migliaia di corsi e seminari che, negli ultimi anni, abbiamo
dedicato al tema dell’innovazione. Come può non essere sovversivo
un uomo che afferma: “E’ vero non siamo immortali: ma a me pare
sempre di avere davanti un tempo infinito. Forse, perché non penso
mai al passato, perché non c’è passato in me”? Sempre in avanti!
Quante volte ho letto di Adriano Olivetti utopista. Ma come può
essere utopista uno che realizza questi risultati. E’ solo un
grande, vero imprenditore di quel tipo non comune che corrisponde alla
figura dell’imprenditore-creatore, che si contrappone, nitidamente,
a quella dell’imprenditore-gestore e a quella dell’imprenditore-approfittatore.
Adriano Olivetti rientra nella categoria del vero innovatore, quello
che George Gilder (in Lo Spirito dell’Impresa, 1984) descrive
con accenni un po’ enfatici ma corretti con queste parole: l’imprenditore
“non ha un mero rapporto di dipendenza da capitale, lavoro, terra;
egli prefigura e crea capitale, conferisce valore alla terra, e offre
il proprio lavoro per rivestire il lavoro amorfo di altri. Non è
eminentemente uno strumento dei mercati, ma un creatore di mercati;
non è uno scovatore di opportunità, ma un suscitatore di
opportunità; non un ottimizzatore di risorse, ma un inventore di
risorse; non un reattivo a domande esistenti, ma un innovatore che
evoca domande; non è principalmente un innovatore di tecnologia, ma
un produttore di tecnologia.
L’imprenditore non opera entro una sfera limitata di squilibri
mercatistici, di opzioni marginali e di avanzamenti incrementali. Per
i piccoli cambiamenti, non sono necessari gli imprenditori… Sono gli
imprenditori che conoscono le regole del mondo e le leggi del Cielo.
In questo modo essi sostengono il mondo. Nel loro operare entrano ben
poco i calcoli dell’ottimizzazione, non entrano affatto le
speculazioni sui delicati equilibri del mercato. Essi tendono a
sovvertire statiche costituite, anziché a stabilire equilibri. Essi
sono gli eroi della vita economica”. Tale era Adriano Olivetti, un
“sovvertitore”, dunque un sovversivo, ed un eroe della vita
economica.
Per questo vogliamo ricordarlo come imprenditore, uno dei più grandi,
perché tutto il resto che egli ha fatto e sviluppato poggia su questa
base granitica: sull’avere egli portato a grande successo l’impresa
Olivetti ed avere fatto della stessa un paradigma con la quale tutti
devono confrontarsi.
Non ho fatto in tempo a conoscere Adriano Olivetti: quando egli morì
mi stavo accostando alla vita di lavoro. Ma sin dagli studi
universitari, nel corso dei quali incominciai ad introdurmi nel mondo
dell’impresa, Adriano Olivetti mi parve soprattutto un grande
imprenditore. E quando, dopo diciotto anni, mi capitò di conoscere a
fondo l’Olivetti e i suoi uomini, in anni difficili, e quando mi
capitò poi di approfondirne la storia in sede di ricerche
universitarie nel corso delle quali potei incontrare tanti olivettiani
attivi nei settori più disparati, mi rafforzai sempre di più in
questa convinzione. E mi resi conto che Adriano Olivetti era stato
anche uno dei più profondi teorici italiani sui temi dell’organizzazione
d’impresa e che soprattutto negli anni ’30, arricchito dalle
conoscenze ed esperienze fatte nel decisivo viaggio negli USA del
1925, aveva messo a punto un sistema di pensiero sull’organizzazione,
organico e profondo, dal quale scaturiranno azioni conseguenti e di
successo.
Ed è, con grande soddisfazione, che ho ritrovato conferma della mia
visione, nelle lucide parole di uno studioso della storia delle
imprese del calibro di Giulio Sapelli: “Il passaggio definitivo a
una moderna teoria della direzione fu realizzato, però, soltanto dal
modello culturale elaborato da Adriano Olivetti, imprenditore e
organizzatore d’eccezione: modello che, rimanendo minoritario e
negletto, costituì tuttavia una innovazione di tale importanza e
valore da essere ancor oggi - e oggi più che mai, nella crisi dei
sistemi d’impresa - interpretato e studiato come uno degli strumenti
di cambiamento fondamentali nel generale panorama dell’industria
italiana…. Ma è tra gli anni ’20 e ’30 che furono gettate le
premesse di fondo di un rivolgimento, dapprima circospetto e poi più
rapido, che aveva come suo centro fondamentale la concezione dell’impresa
come un tutto inscindibile: sistema da organizzare secondo un piano
razionale concepito dalla direzione aziendale. Quella concezione della
“direzione d’impresa”, pur sviluppata appieno soltanto nel
secondo dopoguerra, rimane l’acquisizione più importante della
teoria organizzativa sorta in Italia fra le due guerre. Olivetti,
infatti, fu il più audace tra i “teorizzatori” di una
razionalizzazione e di una concezione dei sistemi industriali che
preannunciavano la stessa ricerca operativa, introdotta nel nostro
paese solo da alcuni anni”. (G. Sapelli, Economia, Tecnologia e
Direzione d’Impresa in Italia, 1994).
Certo anche Adriano Olivetti aveva le sue carenze e fece i suoi
errori. Probabilmente la più vistosa carenza fu la scarsa conoscenza
ed interesse per le metodologie finanziarie, e per le possibilità ed
esigenze del mercato finanziario (probabilmente riconducibile al suo
distacco dal denaro e alla sua visione moralmente negativa del
profitto finanziario), e conseguentemente l’incapacità di pilotare
il gruppo Olivetti verso un assetto di capitale solido e capace di
superare le tipiche debolezze di un nucleo familiare (anche se questo
fu un pensiero che lo tormentò a lungo a partire dai primi anni ’50).
Ma se vogliamo parlare seriamente di innovazione, di impresa della
conoscenza, di capacità di attrarre e motivare talenti, della
necessità di superare schemi di organizzazione gerarchica con schemi
basati sulla flessibilità, sulla responsabilizzazione, sulla
creatività, di capacità di fare rete all’interno e con altre
organizzazioni del ruolo essenziale della qualità totale, di tutte le
cose, insomma, di cui parliamo oggi è da Adriano Olivetti che
dobbiamo ripartire. Non vi è nessuno in Italia, e non molti nel
mondo, che hanno sviluppato una concezione così corretta, così
profonda, così attuale dell’impresa, società di uomini e non di
capitali, e che l’hanno realizzata concretamente.
E se vogliamo ritornare a ricercare, pazientemente, un migliore
rapporto tra impresa e società, non possiamo non ripartire dalla
domanda che Adriano Olivetti si pose in occasione dell’inaugurazione
dello stabilimento di Pozzuoli, il 23 aprile 1955: “ Una domanda che
non esito a definire una delle domande fondamentali della mia vita,
drammaticamente rinnovata nei momenti di incertezza e di dubbio….
Può l’industria darsi dei fini ? Si trovano questi fini
semplicemente nell’indice dei profitti? O non vi è, al di là del
ritmo apparente, qualcosa di più affascinante, una trama ideale, una
destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica”.
Forse Adriano Olivetti non riuscì a dare una risposta definitiva a
questa tremenda domanda. Ma è il suo legato, forse il più
impegnativo che egli lascia a tutti coloro che, consapevolmente e
responsabilmente, si interessano di impresa. Tentare di rispondere a
questa domanda comporta una ricerca, forse, senza fine, ma questo
tentativo ci salva da viltà, pigrizie, strumentalizzazioni, da una
visione semplicistica e banale di quel drammatico fenomeno che è l’impresa.
Ci sprona sulla strada dell’innovazione in senso totale e continuo.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |