Fenicie di Teatro Settimo
Josè Luis Sànchez-Martìn
L'immaginario mitico tragico di quella che chiamiamo Antica Grecia
sembra essersi concentrato, quasi con accanimento, sul destino e le
vicende di pochissime e importanti famiglie. Le tragedie sopravvissute
nel tempo agli incendi, alle censure e all'incuria che sono riuscite
ad arrivare fino a noi si occupano prevalentemente di due di queste
dinastie. Una è quella che discende da Atreo, gli Atridi appunto, che
annovera nella loro genealogia i nomi di Menelao, Agamennone,
Ifigenia, Elettra e Oreste. L'altra, le cui travagliate vicissitudini
permeano fortemente anche l'immaginario contemporaneo, è quella che
discende da Labdaco, la stirpe dei Labdacidi, che ha come figura
centrale Edipo. Intorno al suo terribile destino e a quello dei suoi
discendenti sono state scritte alcune delle più importanti e
significative tragedie non soltanto dell'antica Grecia. Infatti si
parte da Eschilo, Sofocle ed Euripide, passando da Seneca, Racine e
Alfieri, per arrivare in tempi più recenti a Brecht.

Al re della città di Tebe, Laio, viene annunciato da Apollo che suo
figlio lo ucciderà. Appena nato, viene quindi ordinato di ammazzare
il bambino, che però per pietà invece sarà consegnato a un
contadino che a sua volta lo donerà alla padrona, che lo crescerà
come fosse figlio suo. Edipo, nome del bambino, una volta cresciuto si
reca all'Oracolo, dal quale viene a sapere che il suo destino è
quello di uccidere il padre e di sposare la madre, generando una
stirpe di dannati. Ignaro della sua vera origine, non torna a casa per
evitare che si compia la terribile profezia e nel vagabondare per il
mondo, un giorno incontra a un crocevia Laio, col quale nasce un
violento diverbio che finisce con la morte del re. La città di Tebe
è terrorizzata da un mitico mostro, la Sfinge, Edipo la sconfigge e
per questo viene incoronato re e gli viene data in sposa la regina
vedova, Giocasta, sua vera madre. Nascono quattro figli: due maschi,
Eteocle e Polinice, e due femmine, Antigone e Ismene.
Una volta scoperta la verità, Edipo sconvolto dal dolore e la
vergogna si acceca. I figli, ai quali egli nasconde la loro
inaccettabile origine, non lo capiscono e decidono di rinchiuderlo
contro la sua volontà, ragione per cui Edipo li maledice e li
condanna a spartirsi il potere sulla città con la spada e il sangue.
Spaventati da questa maledizione, Eteocle e Polinice si accordano per
governare a turno un anno ciascuno. Dopo il primo anno sotto la guida
di Eteocle, Polinice, esiliatosi ad Argo, torna per reclamare il suo
turno al potere, ma il fratello rifiuta di farsi da parte. La loro
madre Giocasta tenta una mediazione pacifica, ma fallisce e i fratelli
intraprendono una guerra che finisce in un duello corpo a corpo con la
morte di entrambi, così come preannunciato dalla maledizione del
padre.
Su quest'ultimo conflitto fratricida si concentra la trama della
tragedia scritta da Euripide intitolata Fenicie e che prende il
nome dalle protagoniste del coro, un gruppo di giovani vergini
provenienti dalla Fenicia in transito verso il tempio di Apollo e
attraverso il cui punto di vista viene presentata la tragica vicenda.
E' anche la storia narrata dall'omonimo spettacolo teatrale che il
regista Gabriele Vacis ha tratto dalla tragedia euripidea, per la
compagnia Laboratorio Teatro Settimo da lui diretta e presentato in
questi giorni al teatro Valle di Roma.
Secondo Vacis, "lavorare sulla tragedia classica, madre di tutte
le storie, è indispensabile per capire fino in fondo le ragioni,
sempre uguali, dei conflitti e dei sentimenti. I personaggi della
tragedia, Eteocle, Polinice, Antigone, Edismene -figli di Edipo- sono
quattro ragazzi alle prese con problemi che li travalicano, vittime e
capri espiatorie di colpe che non hanno commesso. La guerra
fratricida, il giovane sangue versato, lo strazio delle donne e madri
di Tebe sono temi che in questi anni di conflitti etnici sembrano
straordinariamente attuali. Filtrare attraverso uno dei maggiori testi
classici sentimenti di così inquietante attualità vuole appunto
essere il tentativo di comprendere le ragioni dell'antico e del
contemporaneo insieme, scoprendo i fili sottili che legano storie solo
apparentemente lontane."

Lodevole per questa sua intenzione di comprendere tramite storie
antiche le ragioni dei conflitti moderni, lo spettacolo diretto da
Vacis è anche e soprattutto una operazione che possiamo definire
coraggiosa. Perchè non fa il verso a tendenze in voga, infatti Vacis
non ha mai ceduto alla tentazione di accodarsi alla facile moda del
culto del "mostro", dell'oscuro e della necrofilia tanto
presente e decantata negli anni Novanta, perchè si basa soprattutto,
come sempre nei suoi spettacoli, sulla presenza e la capacità di
evocazione degli attori e non sullo sfarzo delle trovate scenografiche
o tecnologiche, perchè punta su un gruppo di attori giovani che in
gran parte sono stati suoi allievi alla Scuola d'Arte Drammatica Paolo
Grassi di Milano, a eccezione dell'intensa e grande narratrice Laura
Curino, interprete di Giocasta, attrice veterana e fondatrice
vent'anni fa del Laboratorio Teatro Settimo e protagonista di molti
loro spettacoli.
L'aspetto più affascinante dello spettacolo è legato alla coralità
del gruppo, sia nelle scene in cui l'azione collettiva diventa
astratta e coreografica che in particolare nell'uso del canto come
elemento drammatico e drammaturgico, creando forti atmosfere emotive
tramite cori che richiamano alla memoria i Balcani e la loro intensa e
a volte straziante musica popolare. Purtroppo, a eccezione della forte
e isolata interpretazione della Curino, lo spettacolo non riesce nei
suoi complessi e ambiziosi intenti quando punta sulla presenza e
densità di interpretazione dei singoli attori, che pur nella loro
generosità e totale adesione al progetto, non riescono spesso ad
esserne all'altezza. E' inevitabile ricordare una delle più
importanti e riuscite operazioni teatrali del dopoguerra, a cui
volente o nolente questo spettacolo sembra richiamarsi: il Mahabharata
messo in scena dal regista inglese Peter Brook.
Anche lì storie epico mitiche che raccontano tra l'altro una guerra
fratricida, anche lì povertà di mezzi scenografici ma l'intenzione
di creare intense suggestioni con stoffe e poco altro, anche lì i
soli mezzi dell'attore per evocare mondi invisibili e antichi. Ma quel
Mahabharata fu possibile non soltanto grazie alle eccezionali
capacità registiche di Brook, che riescono sempre a dare unicità e
potenza alla presenza di attori anche provenienti da culture diverse e
a dare un preciso e calibrato senso ad ogni parola, ogni gesto, ogni
azione, ogni elemento tratto da qualunque cultura, ma anche grazie
alla ricchezza del bagaglio e delle capacità attoriali degli
straordinari interpreti. Riusciamo a vedere il dio Krishna perchè
dietro c'è l'inglese Bruce Myers, percepiamo la potenza del mitico
guerriero imbattibile Bima perchè ha le fattezze del griot burkinabé
Sotigui Kouyaté e crediamo nel grande maestro di arti marziali che
addestra i terribili Kaurava perchè è incarnato nell'attore
giapponese Oshi Oida.
Il lavoro di Vacis è confuso nell'individuare la direzione da seguire
e non riesce a costruire quell'unicità di senso di cui parlavamo
prima, lasciando ogni elemento di culture altre, ogni azione e ogni
personaggio alla deriva, risultando alla fine più un ammasso di
frammenti, citazioni e immagini a se stesse che l'omogenea narrazione
di una storia tramite diversi linguaggi. In questa deriva naufragano
le singole personalità dei giovani interpreti, troppo impegnati nel
riportare sul palco le esercitazioni scolastiche, anche se di stampo
alternativo, che hanno appreso dal maestro, a scapito di un
approfondimento dei personaggi e delle situazioni, dando al tutto
quell'apparenza fredda e un po' volutamente scanzonata del saggio di
fine corso.
Da un regista di grande mestiere e calibro come Vacis, che ha firmato
alcuni tra gli spettacoli più interessanti al di fuori della solita
prosa degli stabili negli ultimi vent'anni, già vincitore di premi
nazionali e internazionali al Cairo e a Dublino, ci è lecito
aspettare sul palcoscenico dell'ETI qualcosa di più emozionante,
efficace e maturo.
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