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Qui=molti luoghi, Uno=molti



Tapa Sudana con Josè Luis Sànchez-Martìn



Alla fine di Gennaio si è tenuto al Centro Malafronte di Roma il primo dei tre seminari pratici intensivi per attori e danzatori professionisti all'interno del Progetto Pedagogico Internazionale Katabasis (Viaggio attraverso i principi dell'azione teatrale), organizzato dall'Associazione Krakatoa Productions e da me ideato.

I tre incontri con gli illustri ospiti internazionali, Tapa Sudana, Lindsay Kemp e Mass N'Diaye, prevedono un lavoro pedagogico complementare che approfondisce il tema Le categorie dell'energia tra maschile e femminile offrendo a giovani professionisti un'opportunità di crescita reale su un unico aspetto, anche se vasto e molto importante, della propria arte.

Al termine della settimana di seminario con Tapa Sudana, attore straordinario nato a Bali che ha cominciato la sua avventura teatrale in Indonesia, trasferendosi in Europa quando è cominciata la sua collaborazione con Peter Brook per lo spettacolo La Conferenza degli Uccelli. Brook gli chiese di guidare il gruppo nel lavoro sulle maschere, esperienza che è proseguita per quindici anni, durante i quali Tapa Sudana ha preso parte agli spettacoli storici del regista inglese: L'Os, Carmen, Mahabharata, La Tempesta.

Abbiamo intervistato a lungo l'attore balinese sul suo excursus umano, artistico e professionale ancora in pieno fermento a partire dalla sua intensa attività di pedagogo in giro per il mondo.

Che cosa l'ha spinta a fare teatro?

Quando ero all'università ho incontrato un insegnante di ingegneria molto intelligente con un carattere non troppo disponibile: era teso e pieno di problemi ma anche molto intelligente e allora io pensai: "Abbiamo bisogno di lavorare sul comportamento umano" ed è per questo che cominciai a prendere lezioni per entrare nell'accademia teatrale. Realizzai ben presto che dovevo interrompere l'università e continuare con il teatro. I primi guadagni sono venuti proprio dal teatro e può essere un segno, dal momento che ero molto povero e questa è stata la prima attività che mi ha permesso di continuare a vivere materialmente.

Suo padre come reagì a questa sua passione?

Mio padre mi ha insegnato i fondamenti della danza tradizionale balinese e anche il senso di esibirmi difronte ad altre persone che mi guardano - in una cerimonia del villaggio, o una festa nella quale io sono messo in scena. Ero molto timido ...balbettavo e dovetti perciò confrontarmi col mio carattere, dovevo lavorare su me stesso ed espormi in una situazione particolare. Quando cominciai a studiare teatro, praticavo molto severamente e seriamente lo yoga, facendo digiuni, non toccando carne, alzandomi alle 5 del mattino e praticando i Krya, i lavaggi rituali, poi asana (posture fisiche) e meditazione fino alle dieci del mattino, camminando da solo a lungo, in silenzio, desiderando fortemente diventare uno yogi. La vita invece mi ha condotto nel teatro.


A Bali il teatro è religioso, la drammaturgia è anche celebrazione; quali erano le sue impressioni di spettatore bambino?

Quando ero spettatore a Bali, del Topeng per esempio, vedevo che ogni azione era necessaria affinchè la cerimonia si svolgesse correttamente. All'epoca l'attore come professionista non esisteva, si apprendeva a recitare solo seguendo il maestro o ereditando dalla madre o dal padre l'arte della danza, del teatro e della musica necessaria a completare la cerimonia d'offerta - a Dio, ai defunti, ai neonati, agli sposi - che può durare dalle dieci di sera alle cinque del mattino. Non essendoci all'epoca alcuna scuola, gli attori avevano il dovere di dare informazioni e di insegnare, dovevano conoscere la sociologia, la religione, l'etica di vita, il canto, la danza.

A Bali non c'è palco, si blocca una strada e quello è il teatro. In piazza, nel tempio del villaggio, si mette un recinto di quattro bambù e quella diventa la loggia dove stanno gli attori seduti a terra e poi i musicisti, anche i bambini. Ogni persona anziana porta la propria sedia e i giovani si mettono attorno e dietro (sembra che stiano guardando il teatro ma in verità guardano le ragazze i ragazzi e viceversa e si toccano, scambiandosi l'energia, i sentimenti, le emozioni, l'entusiasmo).

Gli attori devono saper fare i clown per svegliare i bambini, devono intendersi di filosofia per coinvolgere gli anziani , devono conoscere le storie di sesso per i giovani: questo ha animato la concezione del mio lavoro sui tre mondi - emozioni, pensiero e corpo. Alle volte nel lavoro, parlo di sesso come modo per risvegliare le emozioni, lavorarci sopra, ed è il motivo per cui capita che qualcuno si metta a piangere o si innamori. Altrimenti uso anche piccole asserzioni per risvegliare un pensiero che rischiari, educhi e sviluppi l'intelligenza.

Se gli allievi fanno un esercizio io chiedo loro qual'è la differenza tra fare e non fare, cosa osservare, come sviluppare l'abitudine ad essere attivi e contemplativi allo stesso tempo. Il modo particolare che ho inventato di lavorare sul bastone e il lavoro relativo sulle arti imarziali può risvegliare la coscienza, la prontezza, l'apertura, la concentrazione a seguire qualcosa. Con un qualunque oggetto si può inventare un "Kata" di movimento dove si può mantenere il gesto fatto con il bastone con la sola immaginazione: se non è sveglia, forte e sensibile abbastanza per "tenere" l'itinerario del bastone, che è molto rigido, dico loro: "Dovete sviluppare la flessibilità per vivere con qualcuno che è rigido". Questo è il concetto di dualità.

Tornando alle tua storia , dopo quell' accademia di teatro, dove hai imparato il tuo lavoro sulla maschera ?

Il lavoro sulla maschera lo ho imparato da solo, praticamente, quando osservavo le performance assieme agli altri bambini, osservando e partecipando. Ho cominciato molto tardi, il teatro che facevo a Jakarta era teatro occidentale, non ho mai fatto teatro tradizionale balinese.

Come sei arrivato in Europa?

Venni in Europa con "La Strega Didirà" e andammo in scena a Roma nel 1974, con un gruppo di attori, danzatori, cantanti, facendo un tour in Europa invitati da Jack Lang, che all'epoca era il direttore del Teatro Palais de Chaieau a Parigi. Poi andai a Nancy, Firenze, Holstebro dove ho incontrato Eugenio Barba, Amsterdam, Ginevra.

Come ti fu chiesto di restare in Europa?

Quando finì la tournée tornai a Bali, dove sognavo di formare un gruppo internazionale . Una volta ho incontrato un uomo molto acuto nella propria meditazione ed era un uomo di teatro, si chiamava Marcel Robert, veniva da Ginevra era felice di stare con me, come un fratello. Volle che stessimo ancora un po' di tempo assieme, soprattutto dal momento che era lì con un gruppo di teatro, e quando il gruppo partì dall'Indonesia mi portò con sè a Ginevra, dove lavorai per 5 mesi facendo con loro un lavoro sulle maschere balinesi mescolato ad un lavoro di maschere Ceghedè di Luc Shantal. Finito il mio contratto Suzanne Berg mi invitò a lavorare per un certo periodo nel suo centro di danza e lì prese vita il gruppo "Patra", con un altro danzatore balinese che si chiama Netra, così Tapa e Netra hanno dato vita al gruppo Patra. Patra significa anche Spazio, Luogo Tempo e Situazione, che sono i parametri della Verità.

Quando tornai da Ginevra a Parigi incontrai Jack Lang, che mi propose di restare ancora in Francia per visitarla, conoscerla meglio, lavorare con differenti gruppi teatrali. Dovetti lavorare per trovare i soldi per vivere, feci spettacoli per bambini, nelle scuole, presentando la musica e le maschere balinesi; proprio grazie al fascino delle maschere incontrai in quel periodo Peter Brook che voleva mettere in scena La Conferenza degli Uccelli e mi propose di far parte del gruppo: avrei lavorato assieme a loro per quindici anni, sotto la sua regia.

Tu venivi da Bali, da un'altra tradizione, un'altra cultura e facevi un teatro che non era occidentale nè tradizionale. Poi hai cominciato a lavorare in un vero e proprio teatro occidentale. Qual è stato il tuo impatto con la cultura europea nella vita oltre che nel lavoro?

All' inizio non avevo certo idea della grandezza di Peter Brook ed essendo stato ancora molto poco in Europa non avevo avuto molte occasioni per vedere spettacoli. Vidi L'Age d'Or del Teatre du Soleil. Ad ogni modo non pensavo certo di restare, semmai di fare un'esperienza dopodichè fare ritorno. Quando le esperienze sono arrivate le ho vissute in modo naturale senza grande esaltazione. Mi ricordo di quando vidi la Carmen per la prima volta: la musica classica è molto precisa e molto difficile da recitare, non sapevo come leggerla, ma quando Peter mi ha chiesto di partecipare alla Carmen mi ha guidato in modo così naturale che non ho fatto in tempo neppure a rendermi neanche conto che ero già dentro. Il modo di rapportarsi di Peter Brook con gli attori non è mai quello di negare o di dire: "questo è giusto o sbagliato" ma molto semplicemente "prendi questo e poi questo, fai questo e poi quest'altro", così abbiamo dovuto semplicemente seguire la sua strada.

Nella Conferenza degli Uccelli i colombi vedono che qualcuno sta piangendo e che costui diventa un demone. Allora uno degli uccelli ferma il loro strepitare e loro lo ammoniscono di non cadere nell'idolatria. Allo stesso modo io provo a "scomparire", nel senso di evitare di essere posto ad idolo, e cercdo di dissuadere le persone che mi prendono come un maestro perchè finirebbero col dipendere da me. Il maestro ideale sa essere invisibile, così lo studente può crescere senza di lui, è un maestro che genera un secondo maestro e non un maestro che produce discepoli che lo seguiranno per tutta la vita. Di questo ho fatto tesoro durante l'esperienza di lavoro con Peter Brook e questo è confluito nel mio approccio al lavoro di pedagogo.

Puoi raccontarci qualcosa dell' esperienza del MahaBharata, un poema che è un capisaldo di riferimento per il tuo paese, ma al quale avete lavorato non in modo tradizionale come viene fatto a Bali ma in modo occidentale?

MahaBharata e Ramayana sono molto importanti per gli induisti che nel mio paese sono una minoranza, circa duecentomila: gli altri sono mussulmani o cristiani. Così le persone che li seguono realmente in modo religioso non sono tante. Quando venni a lavorare con Peter Brook pensai che poi sarei tornato a casa, invece Peter fece il Mahabharata e mi volle anche in quel lavoro. Volle che le persone che lavoravano con lui facessero un lavoro preliminare e allora decisi di restare con lui, e poi ho proseguito fino alla Tempesta.

Nei nove mesi di preparazione al Mahabharata abbiamo lavorato molto sulle arti marziali, Brook invitò un maestro di Kalarypayattu, antichissima arte marziale indiana. Anche quando andammo a New York con la Carmen Peter mi mandò me a lavorare con un maestro di arti marziali di colore molto forte che mi picchiò veramente. Quell'esperienza mi ha confermato che alcune arti marziali possono essere davvere violente, molto traumatizzanti, ma mi ha anche fatto costruire un approccio nel mio modo di lavorarare che viene da mio padre e mio zio. Entrambi lavorano molto sul tocco, se fai male gratuitamente, se non hai il pieno controllo della tua energia e della forza significa che stai sbagliando alla radice.

Nel Mahabharata avevi la parte di Shiva, una presenza molto forte, veramente da Divinità. Puoi raccontarci come sei arrivato a costruire quella presenza, perchè non è un personaggio qualsiasi, è un Dio che si manifesta con il suo aspetto reale?

Non ci sono arrivato, ce l'avevo dentro perchè quello è il sentiero del mio credo. In principio Peter Brook mi ha chiesto di mostrare la maschera di Randa, che è una manifestazione di Shiva. Questa maschera terrificante richiede agli attori di andare in trance, esperienza che Brook ebbe modo di vedere assieme al resto del gruppo. Decise così di darmi nella Conferenza degli Uccelli il ruolo del Supremo Ashtroolok: questo lavoro sul personaggio confluì nel ruolo di Shiva durante i Mahabharata. Ciò che reciti è in fin dei conti ciò che hai dentro, per riuscire ad "essere" devi cominciare dal lasciar crescere ciò che hai già in te. Significa trovare, come un giardiniere, la terra, l'acqua, il modo in cui coltivare così che il seme possa crecere e germogliare ed infine diventare il fiore e il frutto.

Capire come essere vero in scena vuol dire sapere che significati usi, quali sono gli scopi che ti prefiggi, qual'è la soddisfazione che vuoi ricevere. Se il regista è contento ma io non sono ancora soddisfatto del risultato che ho raggiunto, cerco di trovare un altro criterio, propongo altre cose, un altro riferimento. L'armonia va creata tra i desideri del testo, il regista, gli attori e il pubblico e questo dobbiamo verificarlo in teatro, sulla scena. Il regista non lo può sentire perchè non recita. Per avere l'esperienza reale della verità dei tre mondi bisogna sentire, capire e avere. Peter Brook è un regista con una capacità straordinaria di vedere chiaro dove andare, che cosa è necessario, e riesce a guidare i suoi attori senza parere. Anche quando lo spettacolo è finito, se c'è qualcosa che rispetto all'immagine che voleva ottenere non è ancora convincente, lui lascia che gli attori sviluppino i propri risultai perchè desidera migliorare sempre e se dà ancora altre indicazioni gli attori sanno che devono lavorare ancora. Lui vede in modo speciale: guardando i suoi occhi ho avuto la sensazione di attraversare un Vuoto.

Il teatro di Peter Brook è fatto da persone provenienti da altre culture, con differenti tradizioni teatrali. Qual è stata la difficoltà nell'entrare in relazione con gli altri attori?

Le persone possono trovare un linguaggio comune. Da persona a persona ognuno ha un proprio linguaggio, e teatralmente parlando ogni tradizione ha un proprio linguaggio, quindi nel Mahabharata è stato difficile trovare una comunicazione con gli altri. Ma appena abbiamo stabilito ciò che volevamo comunicare, le difficoltà sono diminuite. Ogni storia ha bisogno di un linguaggio, e ogni linguaggio ha bisogno di una tecnica. Come ripeto ai miei allievi, "comun-icazione" deriva da "comune", che a sua volta viene da "come uno"; se abbiamo qualcosa in comune almeno fino ad un certo livello dobbiamo prendere la stessa strada, allora non ci saranno difficoltà, ma più andiamo a fondo più sarà facile smarrirci se non c'è un linguaggio comune nell'azione o nella storia.

Puoi raccontarci qualche momento speciale durante la tua esperienza in India?

In India, vedemmo una cerimonia in cui uno sciamano danzante era ricoperto da strisce di colore giallo, il simbolo di Shiva, disegnate con un colorante naturale di pasta di sandalo profumata che si utilizza ritualmente. Il nostro decoratore costumista, Claude, era con noi. Quando tornò a Parigi per fare il mio trucco nel ruolo di Shiva gli chiesi della vernice gialla, ma lui rifiutò, allora gli chiesi della pasta di sandalo e il suo profumo mi ha ricondotto con la memoria al profumo dell'incenso usato a Bali, restituendomi sensazioni provate durante il rituale in cui mio nonno interpretava in trance La Scimmia. Sentendo questo profumo ho raggiunto interiormente, con lo spirito, la realtà del passato, e questo mi ha dato una lezione su che cosa sia un costume, e cosa debba essere usato come strumento di lavoro.

Nel teatro l'esperienza può passare soltanto attraverso la pratica altrimenti è solo conoscenza teorica che non entra nei tre mondi. Lo strumento che usi, devi farlo vedere al pubblico, e mostrargli cosa significhi senza doverlo spiegare, cosa vogliamo che lo strumento dica in modo che venga compreso. Il teatro è l'arte della suggestione, la realtà teatrale non è la realtà quotidiana. I criteri della verità dipendono da Spazio, Tempo e Situazione e questi mutano continuamente, mentre a teatro può accadere che Spazio e Situazione vengano espressi tramite le luci ma il tempo di ieri non puoi viverlo oggi. Essere reali e agire nel teatro ti avvicina sempre più alla consapevolezza.


Come mantenere "vivo" un personaggio senza incorrere nella routine?

Io incorro nella routine, ma questa è animata da qualcosa di essenziale, qualcosa di preciso, ma preciso in cosa? Nella forma? Nel mescolarsi delle emozioni? Nessuno può misurare il riferimento di verità, la precisione dei sentimenti. C'è un detto africano che dice: "Tu parli, ma se non sai nemmeno ascoltare?" Tutto parla, se sai come ascoltarlo tutto insegna.

Torniamo alla tua esperienza, che non è solo il lavoro nel teatro di Peter Brook: hai sviluppato anche una forte legame con le arti marziali, puoi raccontarcelo?

Le arti marziali le ho apprese da mio zio, quando ero bambino a Bali: tutte le notti vedevo mio zio combattere in modo dimostrativo

Il Penchak Silat?

Sì, l'arte marziale indonesiana. Mio zio mi diceva: " praticala, perchè ti sarà utile quando viaggi". Quando ero giovane facevo atletica e quando in seguito ho interpretato il ruolo di Macbeth con il famoso poeta e regista indonesiano Rendra ho studiato un po' di Aikido, e poi il Penchak Silat, che è un insegnamento molto completo, con molti fondamentali, le spiegazioni di Kata, i movimenti, lenti, veloci, i movimenti a due, il combattimento, la meditazione, e anche lezioni sulle malattie, sulla filosofia di vita. Io non sono affatto portato allo scontro fisico, quand'ero un bambino ho avuto l'opportunità di combattere, quasi stavo per colpire un altro bambino ma non ce l'ho fatta, mi sono messo a piangere, non ne capivo il senso.

Con il Penchak Silat ho capito che facendo certi movimenti, toccando e facendosi toccare, come in uno scontro vero ma in realtà controllando qualunque movimento, si genera comunicazione dell'energia. L'atto di uccidere ha un'altro impulso, un'altra destinazione, un altro metodo: nel Mahabharata per esempio Sandaya racconta che Bisma uccide molti eserciti come se stesse danzando la danza dell'Universo, ripulendo i mali della terra. Se puoi combattere come stessi danzando, allora danza e combattimento diventano preghiera: "Piece de teatre, priere de vie, priere de teatre, piece de vie". Se assumiamo queste parole per animare il nostro lavoro, comprendiamo il bisogno di saper pregare: è il motivo per cui durante il seminario ho introdutto qualche piccolo frammento di una preghiera in greco.

Tu non sei solo un attore, hai anche una grande attività di pedagogo. Qual è la cosa principale che vuoi dare e lasciare negli studenti?

Se c'è un desiderio in me è quello di far fluire quello che ho ricevuto, così come ho appreso dal mio maestro di Silat, il quale mi diceva: "Non abbiamo il diritto di ricevere qualcosa senza poi farlo fluire, come è giunto a te il sapere dell'insegnamento così devi trasmetterlo ad altri". Significa imparare a farlo fluire con lo spettacolo o con le spiegazioni; scorrendo l'acqua asseconda la sua natura, se si blocca però si determina uno squilibrio. Lo stesso vale per la Conoscenza che ha bisogno di fluire secondo la propria natura. Quando la Conoscenza scorre accresce via via, arricchendo chi ne fruisce e restituendo a chi la dona come un' offerta rituale un segreto sentimento di gioia.

Puoi approfondire il concetto dei tre mondi?

Il triangolo formato da percezione, riflessione e decisione ci permette di vivere e affrontare la dualità di vita-morte, bene-male, maschile-femminile, senza risolverla in un conflitto ai danni di noi stessi ma considerandolo come parte della natura delle cose, per imparare ad essere sensibili. Anche nel lavoro pratico cerco di insegnare ad articolare la propria energia, e come riflesso l'allievo impara a sentirsi anch'egli un'articolazione di quello che io chiamo il potere dell'Universo.

Parli di elementi molto concreti che si muovono verso simboli metafisici e parli in modo metafisico per rivolgerti nuovamente ad elementi concreti. Quale concezione anima il teatro che hai in mente, considerati i richiami continui che fai alla sfera spirituale?

Deve essere un teatro che risponda alla mia concezione dei tre mondi e deve perciò contenere gli elementi che ne sono l'espressione, in grado cioé di sviluppare l'intelletto, il corpo e lo spirito. Deve avere una sensibilità, una musicalità, un movimento e un cuore, nel senso di un centro di verità che si accordi con il Tutto. Non sarà balinese, occidentale od orientale, semmai ci si chiederà: "Che tipo di ingrediente dei tre mondi è presente in questo teatro?". Un esempio? Un teatro-danza con attori capaci di recitare un testo e di cantare, non solo, anche di eseguire una coreografia di gruppo. Un teatro che ponga grande importanza proprio sul lavoro d'assieme, insegnando a convivere e condividere a partire dal teatro per arrivare alla vita reale, oltre la concezione di nazione, di etnia e appartenenza razziale. La dura lezione della Storia non può passare inosservata: se sappiamo che una sola persona può distruggere il mondo, come è successo durante la seconda guerra mondiale, abbiamo il dovere e la responsabilità di lavorare fin dall'inizio sul nostro carattere.

All' attore dirò di cercare un personaggio da recitare tramite il quale possa fare l'esperienza della compresenza di corpo-mente-spirito e sarà poi compito del regista individuare quali sono le peculiarità dell'attore che possono emergere attraverso un canto, un movimento o una danza interiore. Se ci domandiamo: "Perchè Peter Brook ha scelto il Mahabharata?" La risposta è: perchè in esso sono contenuti gli elementi riguardanti Dio, l'essere umano, il potere, temi eterni e contemporanei. E' forse lo stesso motivo per cui oggi così tante compagnie fanno Amleto, perchè si pongono il quesito "essere o non essere.....", e soprattutto come essere. Il teatro ideale è quello che sa conciliare il meglio della sua eredità storica, senza essere conservatore, potendo persino diventare d'avanguardia non però come una idealizzazione irrealizzata.

Tapa, hai tenuto molti seminari in Italia, conoscendo da vicino gli attori e gli studenti di teatro italiani. Qual è una differenza che hai riscontrato con il resto del mondo e dell'Europa, quale ritieni essere la loro migliore qualità e quale il difetto peggiore?

Per rispondere dovrei dire prima quale concetto di base ho di bene e male. In generale preferisco mostrare i criteri del "giusto", perchè la giustizia dipende sempre da Tempo, Spazio e Situazione, ciò che è giusto per alcune persone per altre non lo è, mentre bene e male sembrano categorie immutabili e rigide. Se riesci ad espandere la tua consapevolezza includendo gli altri saprai rappresentare il criterio del "giusto". Ad esempio in Italia le persono sono sempre socievoli, affettuose, amichevoli, che è un 'ottima qualità tranne quando conduce ad una mancanza di disciplina e poi di rispetto per se stessi, per gli altri e per il lavoro che deve invece essere onorato sacralmente. Quando durante il seminario che ho appena condotto a Roma ho detto: "State disonorando il lavoro" , tutti si sono accorti di come era decaduta la loro sensibilità, attenzione, disciplina e coscienza. Dai miei allievi preferisco ascoltare quali siano secondo loro i criteri buoni e quelli cattivi. A Bali la parola che descrive tutto questo è "soekondann omòn aledhàn mugninè" (trascrizione fonetica, nda) ovvero "prima di parlare dai il fondamento delle tue parole."

Quale ritieni sia l'aspetto più carente dei giovani attori italiani, su cosa consiglieresti loro di lavorare maggiormante nella prospettiva di una crescita professionale e artistica?

Innanzitutto il senso di responsabilità, la chiarezza dell'intelligenza nello sviluppo della propria vita, così come ci insegna il genio di Leonardo Da Vinci, individuare la strada, avanzare sulla strada, e creare. Confucio ha detto: "Conosci la Via da percorrere, le tappe, il luogo dove arrivare e la soddisfazione". Io mi regolo a secondo di chi ho davanti, se è qualcuno che ambisce alla fama gli indico una strada, se vuole trovare buoni criteri di verità un'altra. Dico una sola cosa: trovare il meglio è trovare ciò che vuoi e in che modo lo metterai in atto.

Abbiamo parlato tra di noi della grande carica emotiva degli attori italiani a discapito spesso dell'ordine, del rispetto, del senso di sacralità e di concentrazione.....

Sì, l'ordine e la disciplina sono una via da praticare fondamentale nel teatro, tuttavia anche il caos ha suoi criteri specifici che può essere interessante conoscere. La relatività, per concludere, è uno dei concetti a cui sono più legato perchè ti consente di essere in un certo senso ovunque, inducendoti a guardare la realtà da quanti più punti di vista possibile. Il teatro è un luogo privilegiato della relatività perchè ti permette di vivere l'equazione non matematica Qui=molti luoghi, Uno=molti, e secondo me questa è un'esperienza unica e molto profonda per l'essere umano.

 

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