Qui=molti luoghi, Uno=molti 
           
           
           
          Tapa Sudana con Josè Luis Sànchez-Martìn 
           
           
           
          Alla fine di Gennaio si è tenuto al Centro Malafronte di Roma il
          primo dei tre seminari pratici intensivi per attori e danzatori
          professionisti all'interno del Progetto Pedagogico Internazionale Katabasis
          (Viaggio attraverso i principi dell'azione teatrale), organizzato
          dall'Associazione Krakatoa Productions e da me ideato. 
           
          I tre incontri con gli illustri ospiti internazionali, Tapa Sudana,
          Lindsay Kemp e Mass N'Diaye, prevedono un lavoro pedagogico
          complementare che approfondisce il tema Le categorie dell'energia
          tra maschile e femminile offrendo a giovani professionisti
          un'opportunità di crescita reale su un unico aspetto, anche se vasto
          e molto importante, della propria arte. 
           
          Al termine della settimana di seminario con Tapa Sudana, attore
          straordinario nato a Bali che ha cominciato la sua avventura teatrale
          in Indonesia, trasferendosi in Europa quando è cominciata la sua
          collaborazione con Peter Brook per lo spettacolo La Conferenza
          degli Uccelli. Brook gli chiese di guidare il gruppo nel lavoro
          sulle maschere, esperienza che è proseguita per quindici anni,
          durante i quali Tapa Sudana ha preso parte agli spettacoli storici del
          regista inglese: L'Os, Carmen, Mahabharata, La Tempesta. 
           
          Abbiamo intervistato a lungo l'attore balinese sul suo excursus umano,
          artistico e professionale ancora in pieno fermento a partire dalla sua
          intensa attività di pedagogo in giro per il mondo. 
           
          Che cosa l'ha spinta a fare teatro? 
           
          Quando ero all'università ho incontrato un insegnante di ingegneria
          molto intelligente con un carattere non troppo disponibile: era teso e
          pieno di problemi ma anche molto intelligente e allora io pensai:
          "Abbiamo bisogno di lavorare sul comportamento umano" ed è
          per questo che cominciai a prendere lezioni per entrare nell'accademia
          teatrale. Realizzai ben presto che dovevo interrompere l'università e
          continuare con il teatro. I primi guadagni sono venuti proprio dal
          teatro e può essere un segno, dal momento che ero molto povero e
          questa è stata la prima attività che mi ha permesso di continuare a
          vivere materialmente. 
           
          Suo padre come reagì a questa sua passione? 
           
          Mio padre mi ha insegnato i fondamenti della danza tradizionale
          balinese e anche il senso di esibirmi difronte ad altre persone che mi
          guardano - in una cerimonia del villaggio, o una festa nella quale io
          sono messo in scena. Ero molto timido ...balbettavo e dovetti perciò
          confrontarmi col mio carattere, dovevo lavorare su me stesso ed
          espormi in una situazione particolare. Quando cominciai a studiare
          teatro, praticavo molto severamente e seriamente lo yoga, facendo
          digiuni, non toccando carne, alzandomi alle 5 del mattino e praticando
          i Krya, i lavaggi rituali, poi asana (posture fisiche) e meditazione
          fino alle dieci del mattino, camminando da solo a lungo, in silenzio,
          desiderando fortemente diventare uno yogi. La vita invece mi ha
          condotto nel teatro.
            
           
          A Bali il teatro è religioso, la drammaturgia è anche
          celebrazione; quali erano le sue impressioni di spettatore bambino? 
           
          Quando ero spettatore a Bali, del Topeng per esempio, vedevo che
          ogni azione era necessaria affinchè la cerimonia si svolgesse
          correttamente. All'epoca l'attore come professionista non esisteva, si
          apprendeva a recitare solo seguendo il maestro o ereditando dalla
          madre o dal padre l'arte della danza, del teatro e della musica
          necessaria a completare la cerimonia d'offerta - a Dio, ai defunti, ai
          neonati, agli sposi - che può durare dalle dieci di sera alle cinque
          del mattino. Non essendoci all'epoca alcuna scuola, gli attori avevano
          il dovere di dare informazioni e di insegnare, dovevano conoscere la
          sociologia, la religione, l'etica di vita, il canto, la danza. 
           
          A Bali non c'è palco, si blocca una strada e quello è il teatro. In
          piazza, nel tempio del villaggio, si mette un recinto di quattro
          bambù e quella diventa la loggia dove stanno gli attori seduti a
          terra e poi i musicisti, anche i bambini. Ogni persona anziana porta
          la propria sedia e i giovani si mettono attorno e dietro (sembra che
          stiano guardando il teatro ma in verità guardano le ragazze i ragazzi
          e viceversa e si toccano, scambiandosi l'energia, i sentimenti, le
          emozioni, l'entusiasmo). 
           
          Gli attori devono saper fare i clown per svegliare i bambini, devono
          intendersi di filosofia per coinvolgere gli anziani , devono conoscere
          le storie di sesso per i giovani: questo ha animato la concezione del
          mio lavoro sui tre mondi - emozioni, pensiero e corpo. Alle volte nel
          lavoro, parlo di sesso come modo per risvegliare le emozioni,
          lavorarci sopra, ed è il motivo per cui capita che qualcuno si metta
          a piangere o si innamori. Altrimenti uso anche piccole asserzioni per
          risvegliare un pensiero che rischiari, educhi e sviluppi
          l'intelligenza. 
           
          Se gli allievi fanno un esercizio io chiedo loro qual'è la differenza
          tra fare e non fare, cosa osservare, come sviluppare l'abitudine ad
          essere attivi e contemplativi allo stesso tempo. Il modo particolare
          che ho inventato di lavorare sul bastone e il lavoro relativo sulle
          arti imarziali può risvegliare la coscienza, la prontezza,
          l'apertura, la concentrazione a seguire qualcosa. Con un qualunque
          oggetto si può inventare un "Kata" di movimento dove si
          può mantenere il gesto fatto con il bastone con la sola
          immaginazione: se non è sveglia, forte e sensibile abbastanza per
          "tenere" l'itinerario del bastone, che è molto rigido, dico
          loro: "Dovete sviluppare la flessibilità per vivere con qualcuno
          che è rigido". Questo è il concetto di dualità. 
           
          Tornando alle tua storia , dopo quell' accademia di teatro, dove
          hai imparato il tuo lavoro sulla maschera ? 
           
          Il lavoro sulla maschera lo ho imparato da solo, praticamente,
          quando osservavo le performance assieme agli altri bambini, osservando
          e partecipando. Ho cominciato molto tardi, il teatro che facevo a
          Jakarta era teatro occidentale, non ho mai fatto teatro tradizionale
          balinese. 
           
          Come sei arrivato in Europa? 
           
          Venni in Europa con "La Strega Didirà" e andammo in scena a
          Roma nel 1974, con un gruppo di attori, danzatori, cantanti, facendo
          un tour in Europa invitati da Jack Lang, che all'epoca era il
          direttore del Teatro Palais de Chaieau a Parigi. Poi andai a Nancy,
          Firenze, Holstebro dove ho incontrato Eugenio Barba, Amsterdam,
          Ginevra. 
           
          Come ti fu chiesto di restare in Europa? 
           
          Quando finì la tournée tornai a Bali, dove sognavo di formare un
          gruppo internazionale . Una volta ho incontrato un uomo molto acuto
          nella propria meditazione ed era un uomo di teatro, si chiamava Marcel
          Robert, veniva da Ginevra era felice di stare con me, come un
          fratello. Volle che stessimo ancora un po' di tempo assieme,
          soprattutto dal momento che era lì con un gruppo di teatro, e quando
          il gruppo partì dall'Indonesia mi portò con sè a Ginevra, dove
          lavorai per 5 mesi facendo con loro un lavoro sulle maschere balinesi
          mescolato ad un lavoro di maschere Ceghedè di Luc Shantal. Finito il
          mio contratto Suzanne Berg mi invitò a lavorare per un certo periodo
          nel suo centro di danza e lì prese vita il gruppo "Patra",
          con un altro danzatore balinese che si chiama Netra, così Tapa e
          Netra hanno dato vita al gruppo Patra. Patra significa anche Spazio,
          Luogo Tempo e Situazione, che sono i parametri della Verità. 
           
          Quando tornai da Ginevra a Parigi incontrai Jack Lang, che mi propose
          di restare ancora in Francia per visitarla, conoscerla meglio,
          lavorare con differenti gruppi teatrali. Dovetti lavorare per trovare
          i soldi per vivere, feci spettacoli per bambini, nelle scuole,
          presentando la musica e le maschere balinesi; proprio grazie al
          fascino delle maschere incontrai in quel periodo Peter Brook che
          voleva mettere in scena La Conferenza degli Uccelli e mi
          propose di far parte del gruppo: avrei lavorato assieme a loro per
          quindici anni, sotto la sua regia. 
           
          Tu venivi da Bali, da un'altra tradizione, un'altra cultura e
          facevi un teatro che non era occidentale nè tradizionale. Poi hai
          cominciato a lavorare in un vero e proprio teatro occidentale. Qual è
          stato il tuo impatto con la cultura europea nella vita oltre che nel
          lavoro? 
           
          All' inizio non avevo certo idea della grandezza di Peter Brook ed
          essendo stato ancora molto poco in Europa non avevo avuto molte
          occasioni per vedere spettacoli. Vidi L'Age d'Or del Teatre du
          Soleil. Ad ogni modo non pensavo certo di restare, semmai di fare
          un'esperienza dopodichè fare ritorno. Quando le esperienze sono
          arrivate le ho vissute in modo naturale senza grande esaltazione. Mi
          ricordo di quando vidi la Carmen per la prima volta: la musica
          classica è molto precisa e molto difficile da recitare, non sapevo
          come leggerla, ma quando Peter mi ha chiesto di partecipare alla Carmen
          mi ha guidato in modo così naturale che non ho fatto in tempo neppure
          a rendermi neanche conto che ero già dentro. Il modo di rapportarsi
          di Peter Brook con gli attori non è mai quello di negare o di dire:
          "questo è giusto o sbagliato" ma molto semplicemente
          "prendi questo e poi questo, fai questo e poi quest'altro",
          così abbiamo dovuto semplicemente seguire la sua strada. 
           
          Nella Conferenza degli Uccelli i colombi vedono che qualcuno
          sta piangendo e che costui diventa un demone. Allora uno degli uccelli
          ferma il loro strepitare e loro lo ammoniscono di non cadere
          nell'idolatria. Allo stesso modo io provo a "scomparire",
          nel senso di evitare di essere posto ad idolo, e cercdo di dissuadere
          le persone che mi prendono come un maestro perchè finirebbero col
          dipendere da me. Il maestro ideale sa essere invisibile, così lo
          studente può crescere senza di lui, è un maestro che genera un
          secondo maestro e non un maestro che produce discepoli che lo
          seguiranno per tutta la vita. Di questo ho fatto tesoro durante
          l'esperienza di lavoro con Peter Brook e questo è confluito nel mio
          approccio al lavoro di pedagogo. 
           
          Puoi raccontarci qualcosa dell' esperienza del MahaBharata,
          un poema che è un capisaldo di riferimento per il tuo paese, ma al
          quale avete lavorato non in modo tradizionale come viene fatto a Bali
          ma in modo occidentale? 
           
          MahaBharata e Ramayana sono molto importanti per gli
          induisti che nel mio paese sono una minoranza, circa duecentomila: gli
          altri sono mussulmani o cristiani. Così le persone che li seguono
          realmente in modo religioso non sono tante. Quando venni a lavorare
          con Peter Brook pensai che poi sarei tornato a casa, invece Peter fece
          il Mahabharata e mi volle anche in quel lavoro. Volle che le
          persone che lavoravano con lui facessero un lavoro preliminare e
          allora decisi di restare con lui, e poi ho proseguito fino alla Tempesta. 
           
          Nei nove mesi di preparazione al Mahabharata abbiamo lavorato
          molto sulle arti marziali, Brook invitò un maestro di Kalarypayattu,
          antichissima arte marziale indiana. Anche quando andammo a New York
          con la Carmen Peter mi mandò me a lavorare con un maestro di
          arti marziali di colore molto forte che mi picchiò veramente.
          Quell'esperienza mi ha confermato che alcune arti marziali possono
          essere davvere violente, molto traumatizzanti, ma mi ha anche fatto
          costruire un approccio nel mio modo di lavorarare che viene da mio
          padre e mio zio. Entrambi lavorano molto sul tocco, se fai male
          gratuitamente, se non hai il pieno controllo della tua energia e della
          forza significa che stai sbagliando alla radice. 
           
          Nel Mahabharata avevi la parte di Shiva, una presenza molto
          forte, veramente da Divinità. Puoi raccontarci come sei arrivato a
          costruire quella presenza, perchè non è un personaggio qualsiasi, è
          un Dio che si manifesta con il suo aspetto reale? 
           
          Non ci sono arrivato, ce l'avevo dentro perchè quello è il
          sentiero del mio credo. In principio Peter Brook mi ha chiesto di
          mostrare la maschera di Randa, che è una manifestazione di Shiva.
          Questa maschera terrificante richiede agli attori di andare in trance,
          esperienza che Brook ebbe modo di vedere assieme al resto del gruppo.
          Decise così di darmi nella Conferenza degli Uccelli il ruolo
          del Supremo Ashtroolok: questo lavoro sul personaggio confluì nel
          ruolo di Shiva durante i Mahabharata. Ciò che reciti è in fin
          dei conti ciò che hai dentro, per riuscire ad "essere" devi
          cominciare dal lasciar crescere ciò che hai già in te. Significa
          trovare, come un giardiniere, la terra, l'acqua, il modo in cui
          coltivare così che il seme possa crecere e germogliare ed infine
          diventare il fiore e il frutto. 
           
          Capire come essere vero in scena vuol dire sapere che significati usi,
          quali sono gli scopi che ti prefiggi, qual'è la soddisfazione che
          vuoi ricevere. Se il regista è contento ma io non sono ancora
          soddisfatto del risultato che ho raggiunto, cerco di trovare un altro
          criterio, propongo altre cose, un altro riferimento. L'armonia va
          creata tra i desideri del testo, il regista, gli attori e il pubblico
          e questo dobbiamo verificarlo in teatro, sulla scena. Il regista non
          lo può sentire perchè non recita. Per avere l'esperienza reale della
          verità dei tre mondi bisogna sentire, capire e avere. Peter Brook è
          un regista con una capacità straordinaria di vedere chiaro dove
          andare, che cosa è necessario, e riesce a guidare i suoi attori senza
          parere. Anche quando lo spettacolo è finito, se c'è qualcosa che
          rispetto all'immagine che voleva ottenere non è ancora convincente,
          lui lascia che gli attori sviluppino i propri risultai perchè
          desidera migliorare sempre e se dà ancora altre indicazioni gli
          attori sanno che devono lavorare ancora. Lui vede in modo speciale:
          guardando i suoi occhi ho avuto la sensazione di attraversare un
          Vuoto. 
           
          Il teatro di Peter Brook è fatto da persone provenienti da altre
          culture, con differenti tradizioni teatrali. Qual è stata la
          difficoltà nell'entrare in relazione con gli altri attori? 
           
          Le persone possono trovare un linguaggio comune. Da persona a
          persona ognuno ha un proprio linguaggio, e teatralmente parlando ogni
          tradizione ha un proprio linguaggio, quindi nel Mahabharata è
          stato difficile trovare una comunicazione con gli altri. Ma appena
          abbiamo stabilito ciò che volevamo comunicare, le difficoltà sono
          diminuite. Ogni storia ha bisogno di un linguaggio, e ogni linguaggio
          ha bisogno di una tecnica. Come ripeto ai miei allievi,
          "comun-icazione" deriva da "comune", che a sua
          volta viene da "come uno"; se abbiamo qualcosa in comune
          almeno fino ad un certo livello dobbiamo prendere la stessa strada,
          allora non ci saranno difficoltà, ma più andiamo a fondo più sarà
          facile smarrirci se non c'è un linguaggio comune nell'azione o nella
          storia. 
           
          Puoi raccontarci qualche momento speciale durante la tua esperienza
          in India? 
           
          In India, vedemmo una cerimonia in cui uno sciamano danzante era
          ricoperto da strisce di colore giallo, il simbolo di Shiva, disegnate
          con un colorante naturale di pasta di sandalo profumata che si
          utilizza ritualmente. Il nostro decoratore costumista, Claude, era con
          noi. Quando tornò a Parigi per fare il mio trucco nel ruolo di Shiva
          gli chiesi della vernice gialla, ma lui rifiutò, allora gli chiesi
          della pasta di sandalo e il suo profumo mi ha ricondotto con la
          memoria al profumo dell'incenso usato a Bali, restituendomi sensazioni
          provate durante il rituale in cui mio nonno interpretava in trance La
          Scimmia. Sentendo questo profumo ho raggiunto interiormente, con lo
          spirito, la realtà del passato, e questo mi ha dato una lezione su
          che cosa sia un costume, e cosa debba essere usato come strumento di
          lavoro. 
           
          Nel teatro l'esperienza può passare soltanto attraverso la pratica
          altrimenti è solo conoscenza teorica che non entra nei tre mondi. Lo
          strumento che usi, devi farlo vedere al pubblico, e mostrargli cosa
          significhi senza doverlo spiegare, cosa vogliamo che lo strumento dica
          in modo che venga compreso. Il teatro è l'arte della suggestione,
          la realtà teatrale non è la realtà quotidiana. I criteri della
          verità dipendono da Spazio, Tempo e Situazione e questi mutano
          continuamente, mentre a teatro può accadere che Spazio e Situazione
          vengano espressi tramite le luci ma il tempo di ieri non puoi viverlo
          oggi. Essere reali e agire nel teatro ti avvicina sempre più alla
          consapevolezza. 
            
           
          Come mantenere "vivo" un personaggio senza incorrere
          nella routine? 
           
          Io incorro nella routine, ma questa è animata da qualcosa di
          essenziale, qualcosa di preciso, ma preciso in cosa? Nella forma? Nel
          mescolarsi delle emozioni? Nessuno può misurare il riferimento di
          verità, la precisione dei sentimenti. C'è un detto africano che
          dice: "Tu parli, ma se non sai nemmeno ascoltare?" Tutto
          parla, se sai come ascoltarlo tutto insegna. 
           
          Torniamo alla tua esperienza, che non è solo il lavoro nel teatro
          di Peter Brook: hai sviluppato anche una forte legame con le arti
          marziali, puoi raccontarcelo? 
           
          Le arti marziali le ho apprese da mio zio, quando ero bambino a
          Bali: tutte le notti vedevo mio zio combattere in modo dimostrativo 
           
          Il Penchak Silat? 
           
          Sì, l'arte marziale indonesiana. Mio zio mi diceva: " praticala,
          perchè ti sarà utile quando viaggi". Quando ero giovane facevo
          atletica e quando in seguito ho interpretato il ruolo di Macbeth con
          il famoso poeta e regista indonesiano Rendra ho studiato un po' di
          Aikido, e poi il Penchak Silat, che è un insegnamento molto completo,
          con molti fondamentali, le spiegazioni di Kata, i movimenti, lenti,
          veloci, i movimenti a due, il combattimento, la meditazione, e anche
          lezioni sulle malattie, sulla filosofia di vita. Io non sono affatto
          portato allo scontro fisico, quand'ero un bambino ho avuto
          l'opportunità di combattere, quasi stavo per colpire un altro bambino
          ma non ce l'ho fatta, mi sono messo a piangere, non ne capivo il
          senso. 
           
          Con il Penchak Silat ho capito che facendo certi movimenti, toccando e
          facendosi toccare, come in uno scontro vero ma in realtà controllando
          qualunque movimento, si genera comunicazione dell'energia. L'atto di
          uccidere ha un'altro impulso, un'altra destinazione, un altro metodo:
          nel Mahabharata per esempio Sandaya racconta che Bisma uccide
          molti eserciti come se stesse danzando la danza dell'Universo,
          ripulendo i mali della terra. Se puoi combattere come stessi danzando,
          allora danza e combattimento diventano preghiera: "Piece de
          teatre, priere de vie, priere de teatre, piece de vie". Se
          assumiamo queste parole per animare il nostro lavoro, comprendiamo il
          bisogno di saper pregare: è il motivo per cui durante il seminario ho
          introdutto qualche piccolo frammento di una preghiera in greco. 
           
          Tu non sei solo un attore, hai anche una grande attività di
          pedagogo. Qual è la cosa principale che vuoi dare e lasciare negli
          studenti? 
           
          Se c'è un desiderio in me è quello di far fluire quello che ho
          ricevuto, così come ho appreso dal mio maestro di Silat, il quale mi
          diceva: "Non abbiamo il diritto di ricevere qualcosa senza poi
          farlo fluire, come è giunto a te il sapere dell'insegnamento così
          devi trasmetterlo ad altri". Significa imparare a farlo fluire
          con lo spettacolo o con le spiegazioni; scorrendo l'acqua asseconda la
          sua natura, se si blocca però si determina uno squilibrio. Lo stesso
          vale per la Conoscenza che ha bisogno di fluire secondo la propria
          natura. Quando la Conoscenza scorre accresce via via, arricchendo chi
          ne fruisce e restituendo a chi la dona come un' offerta rituale un
          segreto sentimento di gioia. 
           
          Puoi approfondire il concetto dei tre mondi? 
           
          Il triangolo formato da percezione, riflessione e decisione ci
          permette di vivere e affrontare la dualità di vita-morte, bene-male,
          maschile-femminile, senza risolverla in un conflitto ai danni di noi
          stessi ma considerandolo come parte della natura delle cose, per
          imparare ad essere sensibili. Anche nel lavoro pratico cerco di
          insegnare ad articolare la propria energia, e come riflesso l'allievo
          impara a sentirsi anch'egli un'articolazione di quello che io chiamo
          il potere dell'Universo. 
           
          Parli di elementi molto concreti che si muovono verso simboli
          metafisici e parli in modo metafisico per rivolgerti nuovamente ad
          elementi concreti. Quale concezione anima il teatro che hai in mente,
          considerati i richiami continui che fai alla sfera spirituale? 
           
          Deve essere un teatro che risponda alla mia concezione dei tre
          mondi e deve perciò contenere gli elementi che ne sono l'espressione,
          in grado cioé di sviluppare l'intelletto, il corpo e lo spirito. Deve
          avere una sensibilità, una musicalità, un movimento e un cuore, nel
          senso di un centro di verità che si accordi con il Tutto. Non sarà
          balinese, occidentale od orientale, semmai ci si chiederà: "Che
          tipo di ingrediente dei tre mondi è presente in questo teatro?".
          Un esempio? Un teatro-danza con attori capaci di recitare un testo e
          di cantare, non solo, anche di eseguire una coreografia di gruppo. Un
          teatro che ponga grande importanza proprio sul lavoro d'assieme,
          insegnando a convivere e condividere a partire dal teatro per arrivare
          alla vita reale, oltre la concezione di nazione, di etnia e
          appartenenza razziale. La dura lezione della Storia non può passare
          inosservata: se sappiamo che una sola persona può distruggere il
          mondo, come è successo durante la seconda guerra mondiale, abbiamo il
          dovere e la responsabilità di lavorare fin dall'inizio sul nostro
          carattere. 
           
          All' attore dirò di cercare un personaggio da recitare tramite il
          quale possa fare l'esperienza della compresenza di corpo-mente-spirito
          e sarà poi compito del regista individuare quali sono le peculiarità
          dell'attore che possono emergere attraverso un canto, un movimento o
          una danza interiore. Se ci domandiamo: "Perchè Peter Brook ha
          scelto il Mahabharata?" La risposta è: perchè in esso
          sono contenuti gli elementi riguardanti Dio, l'essere umano, il
          potere, temi eterni e contemporanei. E' forse lo stesso motivo per cui
          oggi così tante compagnie fanno Amleto, perchè si pongono il
          quesito "essere o non essere.....", e soprattutto come
          essere. Il teatro ideale è quello che sa conciliare il meglio della
          sua eredità storica, senza essere conservatore, potendo persino
          diventare d'avanguardia non però come una idealizzazione irrealizzata. 
           
          Tapa, hai tenuto molti seminari in Italia, conoscendo da vicino gli
          attori e gli studenti di teatro italiani. Qual è una differenza che
          hai riscontrato con il resto del mondo e dell'Europa, quale ritieni
          essere la loro migliore qualità e quale il difetto peggiore? 
           
          Per rispondere dovrei dire prima quale concetto di base ho di bene e
          male. In generale preferisco mostrare i criteri del
          "giusto", perchè la giustizia dipende sempre da Tempo,
          Spazio e Situazione, ciò che è giusto per alcune persone per altre
          non lo è, mentre bene e male sembrano categorie immutabili e rigide.
          Se riesci ad espandere la tua consapevolezza includendo gli altri
          saprai rappresentare il criterio del "giusto". Ad esempio in
          Italia le persono sono sempre socievoli, affettuose, amichevoli, che
          è un 'ottima qualità tranne quando conduce ad una mancanza di
          disciplina e poi di rispetto per se stessi, per gli altri e per il
          lavoro che deve invece essere onorato sacralmente. Quando durante il
          seminario che ho appena condotto a Roma ho detto: "State
          disonorando il lavoro" , tutti si sono accorti di come era
          decaduta la loro sensibilità, attenzione, disciplina e coscienza. Dai
          miei allievi preferisco ascoltare quali siano secondo loro i criteri
          buoni e quelli cattivi. A Bali la parola che descrive tutto questo è
          "soekondann omòn aledhàn mugninè" (trascrizione fonetica,
          nda) ovvero "prima di parlare dai il fondamento delle tue
          parole." 
           
          Quale ritieni sia l'aspetto più carente dei giovani attori
          italiani, su cosa consiglieresti loro di lavorare maggiormante nella
          prospettiva di una crescita professionale e artistica? 
           
          Innanzitutto il senso di responsabilità, la chiarezza
          dell'intelligenza nello sviluppo della propria vita, così come ci
          insegna il genio di Leonardo Da Vinci, individuare la strada, avanzare
          sulla strada, e creare. Confucio ha detto: "Conosci la Via da
          percorrere, le tappe, il luogo dove arrivare e la soddisfazione".
          Io mi regolo a secondo di chi ho davanti, se è qualcuno che ambisce
          alla fama gli indico una strada, se vuole trovare buoni criteri di
          verità un'altra. Dico una sola cosa: trovare il meglio è trovare
          ciò che vuoi e in che modo lo metterai in atto. 
           
          Abbiamo parlato tra di noi della grande carica emotiva degli attori
          italiani a discapito spesso dell'ordine, del rispetto, del senso di
          sacralità e di concentrazione..... 
           
          Sì, l'ordine e la disciplina sono una via da praticare fondamentale
          nel teatro, tuttavia anche il caos ha suoi criteri specifici che può
          essere interessante conoscere. La relatività, per concludere, è uno
          dei concetti a cui sono più legato perchè ti consente di essere in
          un certo senso ovunque, inducendoti a guardare la realtà da quanti
          più punti di vista possibile. Il teatro è un luogo privilegiato
          della relatività perchè ti permette di vivere l'equazione non
          matematica Qui=molti luoghi, Uno=molti, e secondo me questa è
          un'esperienza unica e molto profonda per l'essere umano. 
           
            
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