Se lottizzano anche a Praga
Karel Schwarzenberg con Giancarlo Bosetti
Continuano a venire in pellegrinaggio, i praghesi, davanti alla sede
della loro televisione, di quella pubblica. Che ci sia o no un
concerto di solidarietà, un intrattenitore sul palco, due canzonette,
tanto per distrarsi e contrastare il freddo che sale dai piedi, la
gente arriva numerosa, specialmente il sabato e la domenica.
Appiccicato a un vetro c’è uno striscione di “Solidarnosc”,
piccolo ma molto carico di significati nella scarsità di indizi sul
senso di questa vicenda praghese, che sembrava solo una protesta
contro un direttore della televisione colpevole di “asservimento ai
partiti” ed è diventata varie cose: una crisi istituzionale, un
movimento, una reazione ostile alla “Grosse Koalition” di
socialdemocratici e conservatori, una ventata liberale, ma anche una
dimostrazione di nostalgia per l’89 (per i più vecchi persino del
’68), un sintomo di malessere della società, e infine forse anche
un fenomeno antipolitico. Intanto, dopo le dimissioni del direttore,
Hodac, lo sciopero prosegue. Il Parlamento è riuscito a varare una
nuova legge sulla emittenza pubblica, ma rendendo ancora più forte il
controllo politico sulla Tv: la direzione contraria a quella che
chiedevano a Natale i centomila in piazza San Venceslao. Il nuovo
direttore non è stato ancora nominato e sono ancora in carica, al
vertice, alcune delle figure che avevano innescato la reazione
negativa, come la direttrice news o il responsabile finanziario.

Ne parliamo con un figura nota della società mitteleuropea, potente
tra Praga e Vienna, conosciuta in Germania. E’ Karel Schwarzenberg,
consigliere del presidente della repubblica Vaclav Havel, eminenza
grigia dietro tutte le cose che contano di Praga. E’ lui il
fondatore e l’editore di Respekt, settimanale cèco di
cultura, è a lui che la stampa e la tv tedesche e austriache chiedono
spesso di commentare i fatti di qui. Ed a lui chiediamo di dirci come
interpretare questa sconcertante pagina di vita praghese dodici anni
dopo la rivoluzione di velluto.
Una manifestazione permanente contro un direttore generale della
televisione pubblica, costretto a dimettersi, l’occupazione, uno
sciopero a oltranza della tv. Come si spiega? La Cekia è una
democrazia, invece queste sembrano situazioni da “regime in crisi”
Le manifestazioni sono a sostegno della televisione pubblica, che
non è di diretta proprietà statale, ma ente di diritto pubblico. La
gente è scesa in piazza per difendere la televisione pubblica da un
attacco a tenaglia, sferrato sia sul piano politico che economico, ed
ha dimostrato per difendere questa televisione, in primo luogo per
difendere la redazione del telegiornale dal tentativo di sottometterla
maggiormente ad interessi di tipo politico-partitico, ed in secondo
luogo per conservare ai due canali esistenti il carattere pubblico,
impedendo che la televisione privata Nova, di Vladimir Zelezny,
divorasse un canale, o magari tutti e due.
Già perché qui a Praga c’è una forte emittente privata, tipo
Berlusconi in Italia o Kirch in Germania, che ha conquistato il 60%
dell’audience. Ma è sempre strano che la gente ci si appassioni in
tal modo. Se una televisione è ributtante, si spegne, si vota contro
chi ha nominato i suoi capi.
In effetti, esistono delle alternative, ci sono i canali tv privati,
ma in questo momento essi sono molto vicini ai due partiti che
governano il paese ed inoltre, dal momento che il proprietario fa
parte dell’establishment, esse godono, per così dire, di un
certo sostegno, ad esempio per quanto riguarda le informazioni. D’altra
parte i servizi del telegiornale della televisione pubblica erano
molto più critici di quelli della concorrente privata. Per questa
ragione, da un certo tempo, era in atto il tentativo di controllare
questo modo critico di dare le notizie. Lo scopo della protesta è
stato quello di difendere la televisione pubblica, non di attaccarla
semplicemente perché il nuovo direttore generale, Hodac, o la nuova
direttrice del Tg, non piacesse alla gente.

Ci faccia capire come sia possibile che, avendo avuto precedentemente
un governo di destra, ed avendone ora uno con i socialdemocratici, la
protesta sia rivolta contro entrambi gli schieramenti.
Le definizioni e le etichettature hanno a che fare con la realtà solo
molto alla lontana. Il partito socialdemocratico cèco ha ben poco a
vedere con i partiti socialdemocratici di quei paesi - come l’Austria,
la Germania, l’Inghilterra, la Svezia e così via - dove esiste in
questo senso una tradizione ininterrotta, e d’altra parte, sarebbe
molto discutibile definire la ODS di Vazlav Klaus come un partito di
destra, dal momento che questo partito nega radicalmente i fondamenti
stessi di un qualsiasi conservatorismo, di una qualsiasi destra, di un
qualsiasi partito borghese europeo. La ODS ha un rapporto molto strano
con la destra, è sì euroscettica come i conservatori inglesi, ma è
anche anticlericale, vale a dire che assomiglia a qualcosa che non
esiste più, se non forse nella tradizione francese, oppure nella
tradizione del radicalismo socialista del dopoguerra. Dunque, definire
semplicemente la ODS come un partito conservatore è sbagliato.
Se la gente è scontenta di entrambi i partiti ci si potrebbe
chiedere: perché allora qualcuno non pensa ad ampliare l’offerta
della politica cèca?
Naturalmente io ritengo che siano necessari dei cambiamenti, ma credo
che essi richiederanno tempo: per prima cosa infatti deve aver luogo
un cambiamento nelle coscienze, e poi deve crescere una nuova
generazione. Una cosa non va dimenticata e gliela spiego con la mia
esperienza personale: nel 1948 io vivevo in Austria, dove andavo a
scuola, poi ho frequentato l’università in Germania e di nuovo in
Austria. Si sentivano ancora nella scuola, nell’università, o in
fabbrica, nelle abitudini e nel linguaggio le ripercussioni di questo
fatto. Ma consideri che il nazismo aveva governato in Germania 12 anni
ed in Austria 7. Qui a Praga, invece, c’è stato un sistema
totalitario per cinquanta anni: all’inizio le SA come forza d’occupazione
dal 1939, poi, dopo il 1948, il sistema comunista.
Per migliorare l’offerta politica lei pensa che ci vorrà più
tempo?
Quando un sistema totalitario regna in un paese tanto a lungo, questo
segna qualsiasi popolo, che continua a portarne a lungo le tracce. Qui
la cosa è ben chiara a prima vista. Una nuova generazione però sta
crescendo, e la stessa idea di libertà appare molto più complicata e
diversa da prima. Anche in Italia la sconfitta di Mussolini nella
seconda guerra mondiale non ha cancellato d’un tratto, con il 1945,
i pensieri, le considerazioni, la mentalità del fascismo, anzi, essi
hanno ancora a lungo fatto sentire il loro peso. Eppure il fascismo
era stato forse meno significativo, perchè l’Italia non era
impregnata di totalitarismo come lo è stato questo paese.
La protesta di Praga rivela una contrapposizione tra la società ed i
politici. Nei paesi democratici, questo è un atteggiamento tipico del
populismo. Non lo teme?
In qualsiasi manifestazione del mondo c’è una parte di populismo,
non c’è alcun dubbio. Questa di Praga non è una questione di
politica di palazzo, anzi proprio il contrario. Chi ha partecipato a
queste dimostrazioni, e chiunque ricordi le manifestazioni degli
ultimi quarant’anni nell’Est europeo è rimasto colpito dalla loro
natura pacifica, avversa agli slogan radicali. Somigliavano alle
manifestazioni per i diritti civili in America. Anche questa volta c’era
quello spirito: la gente stava intorno alla televisione, arrivavano le
feste di fine anno, si ascoltavano le musiche natalizie. Non c’erano
parole di fuoco, si commentavano i fatti, si facevano battute. Così
100.000 persone hanno manifestato di nuovo in piazza San Venceslao.
Non si poteva parlare di radicalismo. Ma indubbiamente in tutto questo
c’è una parte di populismo, così come del resto ce n’è in
qualsiasi partito, dal momento che ogni partito lotta per ottenere
voti.
La situazione è stata spinta fino a un punto critico, il contrasto
tra governanti e governati è pesante.
Se si confronta la radicalità delle parole dei rappresentanti dell’establishment,
si vede bene che sia il Primo Ministro Zeman come anche, e sopratutto,
Vaclav Klaus, presidente del Parlamento, e i suoi, siano stati ben
più demagogici dei dimostranti. Si può dire, naturalmente, che un’occupazione
degli studi televisivi è illegale, che in ogni sciopero c’è una
certa parte di rottura della legalità. E’ un problema di
ponderazione: dove si trova, ad un momento dato, il pericolo maggiore
per la libertà di opinione, e dove il minore. Ci sono argomenti
assolutamenti validi contro la rivolta dei giornalisti. E’ illegale
che essi occupino la redazione, è illegale che non abbiano seguito le
indicazioni del nuovo direttore, legalmente insediato, e che poi si è
dimesso. Ma per altri versi, se si osserva la situazione politica e se
ne conosce lo sfondo politico, si deve affermare che sono più dalla
parte del diritto coloro che protestano che non i nuovi capi della
televisione. Ma mi rendo conto che è una situazione con molti
chiaroscuri.
E il presidente Havel, che ruolo gioca?
Havel si è sostanzialmente schierato a favore dei giornalisti e si è
messo, con molta cautela, al loro fianco. Per questo è stato
attaccato molto duramente dal primo ministro Zeman, il quale ha
dichiarato, riferendosi ad Havel, che chi incita alla rottura della
legge non ha nulla da cercare nella politica del nostro paese, si
trattasse anche della massima autorità dello Stato. Havel ha
ricordato che già altre volte si sono verificate situazioni in cui si
è rispettata la lettera della legge fino in fondo, come ad esempio
nella presa di potere di Hitler in Germania nel 1933. A volte si deve
fare attenzione di più allo spirito delle leggi. C’è stato insomma
uno scambio di colpi duri, ma Havel non ha mai incitato alla rottura
della legge.
Questi eventi avranno una conseguenza duratura?
Spero di sì. Sembra che non avremo una legge perfetta sulla
televisione, ma pur sempre una legge migliore di quella esistente.
Ciò significa che gli organi che determinano le scelte relative alla
televisione non saranno più così dipendenti dai partiti. Il problema
tuttora aperto è quando e se questa legge passerà, quando verranno
rinnovati gli organi di controllo, e come ci si debba organizzare in
questo interregno.
Questa vostra situazione è stata commentata in Ungheria, a Mosca, in
Polonia?
Le televisioni dell’est come pure le emittenti russe hanno mandato a
Praga i loro inviati ed esperti. Si tratta di un evento davvero
speciale ed è sorprendente che la gente sia scesa in piazza per
dimostrare in favore dell’indipendenza di una televisione.
Serve una televisione pubblica?
La questione era anche se la televisione pubblica dovesse continuare
ad esistere o se si dovesse privatizzare il tutto. Klaus ha descritto
la televisione pubblica come un essere bastardo, e vorrebbe
privatizzarla. La questione fondamentale aperta è proprio se debba
esistere una televisione pubblica accanto a quella privata. Ed è
chiaro che se la vogliamo essa deve raccogliere i suoi proventi dal
canone e non deve produrre per lo share, ma per altri scopi. Ma
la stessa questione della giustificazione della necessità della
televisione pubblica non è la stessa in tutta l’Europa occidentale?
Materia per le prossime campagne elettorali, per nuove leggi?
C’è una grande frustrazione ed una grande delusione riguardo alla
capacità della politica di risolvere i problemi, specialmente negli
ultimi sei anni. D’altra parte, la gente ritiene che il Parlamento
non riesca a svolgere una funzione efficace, lo considerano
soprattutto come un campo di gioco per i politici. Le recenti
manifestazioni sono la conseguenza di questa condizione frustrata
della nostra opinione pubblica.
Questa intervista è apparsa sulle pagine culturali ed europee
de Il nuovo
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