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I lavori socialmente utili fra teoria e prassi



Renato Brunetta



Questo saggio appare sul numero 2/2000 della Nuova Serie della rivista Filosofia e Questioni Pubbliche diretta da Sebastiano Maffettone, e fa parte di un forum su Workfare e Welfare. Per ulteriori informazioni potete collegarvi al sito della Luiss Edizioni  o scrivere all'indirizzo e-mail edizioni@luiss.it 

I sistemi di protezione sociale in evoluzione

Il passaggio dell’economia italiana dai sistemi fordisti e tayloristi di produzione incentrati sulla grande impresa, a quelli del post-fordismo e della nuova economia impone con sempre maggiore urgenza il riordino degli ammortizzatori sociali.
In realtà, tale esigenza è avvertita da tutti gli Stati europei che si trovano ad affrontare una serie di importanti sfide quali la necessità di adeguarsi all’evoluzione del mondo del lavoro, alle nuove strutture della famiglia, ai forti cambiamenti demografici.

Una serie di sviluppi economici e politici rendono sempre più urgente la modernizzazione dei sistemi di protezione sociale degli Stati membri. Modernizzazione volta a rendere tali sistemi più incentivanti sotto il profilo del lavoro, conformemente alla strategia europea per l’occupazione.

In realtà il ruolo che essi si trovano a svolgere è di grande rilievo: incidono sulla vita quotidiana di individui e famiglie, promuovono lo sviluppo sociale ed economico, consentono ai cittadini di disporre di un reddito in caso di necessità. In tal modo, promuovono sia la coesione sociale che il dinamismo economico.

Il peso assunto da tali strumenti all’interno della struttura economica della Unione non va sottovalutato: la spesa sociale corrisponde al 28,5 per cento del pil comunitario, la maggior parte del quale (63 per cento) va a finanziare pensioni e sanità. La rilevanza della protezione sociale nella ridistribuzione del reddito è enorme: senza le prestazioni sociali quasi il 40 per cento delle famiglie vivrebbe in relativa povertà, un dato che, grazie ai sistemi fiscali e previdenziali, si riduce al 17 per cento.

Sulla necessità del mantenimento dei sistemi di protezione sociale si è chiaramente espressa l’Unione europea che, lungi dal valutare tali sistemi come un onere economico, considera gli stessi come capaci di operare da fattore produttivo e quindi in grado di contribuire alla stabilità economica e politica, consentendo alle economie europee di essere più efficienti e flessibili e quindi di funzionare meglio.

Tuttavia tali sistemi di protezione sociale vanno adeguati alle nuove situazioni economiche e sociali: i cambiamenti del mercato del lavoro, l’invecchiamento della popolazione, la parità di trattamento uomo-donna, gli sviluppi determinati dalla libera circolazione dei lavoratori.

Accanto ai cambiamenti demografici, occupazionali e delle strutture familiari, si sta assistendo anche ad una serie di importanti mutamenti che riguardano le istituzioni europee. Tra queste appaiono di rilievo: il completamento del mercato interno, l’introduzione della moneta unica, la ratifica del Trattato di Amsterdam che pone l’accento sull’occupazione e sulla lotta all’emarginazione sociale.

In linea con una strategia che colloca le sue finalità nel raggiungimento di obiettivi volti alla realizzazione di una Europa sociale, la modernizzazione dei sistemi di protezione sociale va maggiormente orientata all’occupazione, così da spostare l’asse dalla visione assistenzialistica a quella produttiva.

Il sistema italiano, pertanto, ha bisogno di interventi volti alla semplificazione e contemporaneamente alla universalizzazione delle misure, raggiungendo un maggiore livello di equità tra insider e outsider, nonché tra lavoratori che si trovano in condizioni soggettive diverse. Il sistema deve innovare e arricchire i suoi strumenti e le sue regole non solo sul versante della prevenzione della formazione di eccedenze, ma anche e soprattutto su quello della gestione delle stesse, avendo come obiettivo l’occupabilità dei lavoratori e lo sviluppo dell’imprenditorialità del sistema economico.

Il riordino degli strumenti di gestione delle eccedenze di lavoro dovrebbe pertanto cercare di legare l’erogazione di sussidi finanziari a quella di servizi reali per l’occupabilità, come la formazione professionale, servizio di sostegno al reinserimento, assistenza all’autoimpiego ecc.

In tale ottica i sistemi di protezione sociale vanno adeguati in modo tale da fornire un reddito sostitutivo e un aiuto concreto in caso di cambiamento di posto di lavoro, per evitare che un’interruzione temporanea dell’attività lavorativa possa sfociare in una disoccupazione di lunga durata e quindi in una fuoriuscita definitiva dal sistema produttivo. Essi, tuttavia, non devono intralciare la vita economica, introducendo disincentivi al lavoro, alla formazione, alla mobilità o alla imprenditorialità, ma costituire un valido incentivo, sotto il profilo professionale e formativo, alla permanenza «attiva» nel mercato.

LSU: nuovo strumento con nuove finalità

A metà strada tra la protezione sociale e le politiche per l’occupazione si collocano i lavori socialmente utili (LSU).

Essi costituiscono, infatti, uno strumento volto a favorire l’inserimento o il reinserimento nel mondo del lavoro, di disoccupati e di lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria (cigs) o licenziati e inseriti nelle liste di mobilità.

Nato circa venti anni fa per fronteggiare la disoccupazione di lungo periodo, questo strumento è andato cambiando nel tempo assumendo obiettivi via via diversificati e svolgendo funzioni di inserimento nel mercato del lavoro, di promozione del reimpiego, di controllo del lavoratore, di erogazione di un sussidio a chi fosse privo di reddito.

Attualmente il decreto legislativo 468/97, che puntualizza che per LSU si intendono «attività che hanno per oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva», distingue quattro tipi di LSU: tre destinati alla creazione di occupazione e uno destinato ai titolari soggetti di trattamenti di sostegno al reddito (cigs, indennità di mobilità o altro trattamento speciale di disoccupazione).

All’allargamento della base occupazionale, mediante la creazione di nuovi posti di lavoro, sono destinati i LSU collegati allo svolgimento di progetti mirati alla crescita professionale o alla realizzazione di progetti aventi obiettivi di carattere straordinario.

Accanto a queste finalità, proprio nello spirito di considerare l’istituto a volte come strumento di inserimento e reinserimento al lavoro, a volte come ammortizzatore sociale, possono ricondursi, da un lato, la necessità di riqualificazione della spesa sociale, dall’altro, il miglioramento dei servizi ai cittadini.

Sotto il primo versante, quello della riqualificazione della spesa, emerge il nuovo carattere delle prestazioni di cigs, di mobilità e di sussidio, che vanno a riconnettersi obbligatoriamente alle prestazioni temporanee di attività socialmente utili.

In tal modo si cerca di riorientare in termini produttivi la considerevole spesa a carico dello Stato, legata agli interventi di sostegno al reddito, a favore delle categorie espulse dal ciclo produttivo.

L’altro aspetto legato al primo è quello del miglioramento dell’erogazione dei servizi aventi rilevanza sociale nei confronti dei cittadini. L’immissione di personale aggiuntivo, anche se con carattere di temporaneità, nei servizi dei diversi enti, può contribuire o a migliorare i servizi stessi o, in caso di carenza del personale, istituire il servizio medesimo. Infatti, attraverso il ricorso ai LSU, gli enti possono garantire l’erogazione dei servizi senza caricarsi di oneri eccessivi. Gli stessi sono tenuti infatti ad integrare solo l’eventuale quota di differenza tra il trattamento corrisposto dall’Inps e la retribuzione corrisposta al dipendente che svolga la stessa mansione presso l’ente.

Il ruolo economico di questo strumento assume maggiore risalto se lo si inserisce nel contesto della finanza pubblica, caratterizzata dalla riduzione degli interventi e dai tagli alla spesa sociale, operata a livello centrale, nonché da una riduzione dei trasferimenti a livello locale.

Come nuovo ammortizzatore sociale lo strumento dei LSU viene ad assumere quindi una doppia connotazione: di contenitore del disagio occupazionale, da un lato, di nuova figura del sostegno al reddito, dall’altro.

La prima caratteristica deriva dalla progressiva attrazione nell’istituto delle varie categorie di soggetti presenti sul mercato del lavoro (giovani, disoccupati, iscritti nelle liste di mobilità, fasce deboli ecc.), la seconda si configura come linea di tendenza «produttiva» in alternativa agli ammortizzatori sociali di tipo assistenziale. Infatti, con il decreto legge 31/95 (da ultimo convertito nella legge 608 del 28 novembre 1996 ) vengono poste le basi per un diverso criterio di erogazione delle prestazioni di carattere previdenziale e assistenziale. Infatti, limitatamente alle categorie individuate, il legislatore stabilisce la corresponsione del sussidio solo a condizione che il soggetto sia impegnato in attività di LSU.

Accanto all’allargamento dell’area dei destinatari una ulteriore caratteristica introdotta dal suddetto decreto, riguarda l’eliminazione del carattere di straordinarietà dell’istituto. Ciò significa che è possibile promuovere progetti anche nei settori in cui le attività, pur risultando ordinarie, tendono a migliorare la qualità dei servizi e a consentirne una maggiore fruibilità.

Infine, ciò che rende l’istituto dei LSU non solamente un ammortizzatore sociale o un mero strumento di promozione del reimpiego, ma anche una misura volta ad allargare la base occupazionale è la possibilità, ad esso strettamente legata, della nascita di nuove imprese. In tale ottica sono state previste le società miste per l’occupazione. La legge 608/96, infatti, allo scopo di creare le necessarie opportunità occupazionali per i lavoratori impegnati in progetti di LSU, stabilisce che i soggetti promotori (amministrazioni pubbliche, centrali e locali) possano costituire società miste ai sensi dell’art. 4 della legge 95/95, a condizione che il personale dipendente sia costituito nella misura del 60 per cento da lavoratori già impegnati nei progetti. La partecipazione a società miste è comunque consentita a cooperative formate anche da lavoratori già impegnati in progetti socialmente utili.

La diffusione dello strumento a livello territoriale ha posto al centro dell’attenzione gli enti locali, che hanno assunto sempre un maggiore ruolo come motore per il decollo del nuovo modello di LSU previsto dalla legge. Infatti, viene potenziata la funzione degli organismi territoriali pubblici preposti alla gestione dell’eccedenza della manodopera.

L’utilizzo di tale strumento è stato ulteriormente facilitato dal carattere di ampia flessibilità ad esso legato.

La tipicità dei LSU sta proprio nella temporaneità della prestazione, nel fatto che non dà luogo ad un «classico» rapporto di lavoro tra l’ente e il soggetto utilizzato, e nella possibilità di programmare l’impiego del lavoratore per un orario di lavoro ridotto fino al limite del trattamento goduto dal lavoratore stesso.

Un’analisi quali-quantitativa dei LSU

Dal punto di vista quantitativo un’analisi relativa ai lavoratori socialmente utili (Lsu) mette in evidenza come, all’inizio del 2000, questi risultano essere poco meno di 103.000, pari all’incirca allo 0,5 per cento degli occupati in Italia.
Questi lavoratori sono impiegati in 7.463 progetti realizzati da 3.356 enti.

Circa i 3/4 dei progetti realizzati riguardano i seguenti settori di intervento: salvaguardia dell’ambiente e tutela del territorio (1.273 progetti, pari al 17,1 per cento del totale), potenziamento dei servizi amministrativi ordinari (1.271 progetti), servizi alla persona (826 progetti), recupero e risanamento dei centri urbani (697 progetti), valorizzazione del patrimonio culturale (555 progetti), manutenzione del verde pubblico (393 progetti), servizi scolastici (394 progetti), potenziamento dei servizi amministrativi straordinari (338 progetti).

Degli oltre 3.000 enti che hanno usufruito del lavoro dei Lsu il 72 per cento sono comuni e il 14,2 per cento sono amministrazioni dello Stato. Il restante 13,9 per cento degli enti interessati sono enti locali di diversa natura (comunità montane, province, regioni), cooperative, consorzi, enti religiosi, aziende municipalizzate, asl, università.

Con riguardo alle ripartizioni territoriali, i dati evidenziano che i Lsu sono fortemente concentrati nelle regioni meridionali, dove il sistema produttivo è più fragile e risente rapidamente degli effetti di crisi produttive o di settore. In questa area del paese sono ben 72.000 i Lsu, pari al 70 per cento del totale nazionale, a fronte del fatto che nel Mezzogiorno risiede soltanto il 28 per cento del totale degli occupati in Italia. In particolare, nella sola Campania si concentra oltre il 31 per cento di tali lavoratori.

Per contro, la ripartizione territoriale in cui la presenza di questa tipologia di lavoratori è scarsamente presente è il Nord Est. In queste regioni, infatti, si trova il 22 per cento degli occupati italiani e soltanto il 2,2 per cento del totale dei Lsu.

Una lettura più analitica dei dati conferma come l’espulsione dal sistema produttivo, e quindi un possibile reinserimento in esso, riguarda essenzialmente i lavoratori appartenenti alle fasce centrali di età (35-54 anni). Questi costituiscono circa il 70 per cento dei Lsu equamente distribuiti all’interno del genere.

Ad essere colpiti maggiormente dalle conseguenze di ristrutturazioni o riconversioni sono soprattutto gli uomini (pari al 58 per cento del totale) con bassa scolarizzazione. Il 74 per cento di essi ha infatti un titolo di studio non superiore alla licenza media e tra questi oltre il 2 per cento non possiede alcun titolo.

Le donne invece risultano avere un livello superiore di studi; infatti quasi il 31 per cento delle lavoratrici ha conseguito la licenza di scuola media superiore contro il 19,6 per cento degli uomini. Tale diversità si nota anche per livelli di studio superiori, come la laurea, dove tra i due sessi emerge una differenza di ben tre punti (5,6 per cento delle donne contro il 2,5 per cento degli uomini).

La distribuzione dei dati secondo lo stato civile dei Lsu mette in evidenza come il 78,3 per cento di essi risulta essere coniugato, ciò in linea con il dato relativo alle classi di età.

A risentire per primi delle trasformazioni del sistema produttivo sono le basse qualifiche. Infatti, tra gli eccedentari, e quindi tra le persone da ricollocare nel mercato del lavoro, le professioni prevalenti sono quelle di operaio, manovale o carpentiere per gli uomini, mentre per le donne, subito dopo le operaie, sono le impiegate a costituire il maggior numero di Lsu.

Con riguardo, infine, alla tipologia dei progetti, ben 70.833 Lsu (pari al 69,7 per cento del totale) sono occupati in progetti straordinari, 26.745 (pari al 26,3 per cento) sono occupati in lavori di pubblica utilità LPU, (decreto legislativo468), 3.227 sono occupati in progetti formativi e 752 sono autofinanziati.


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