Il Vascello
Josè Luis Sànchez-Martìn
Parlare di teatro di ricerca a Roma significa necessariamente
menzionare quei luoghi in cui, grazie all’intrapendenza, alla
tenacia e alla “resistenza” vera propria di alcuni pochi suoi
promotori, artefici e sostenitori, è stato possibile in tutta
concretezza che questa ricerca trovasse il proprio habitat. Uno dei
luoghi per eccelenza dove si è attuata la rara congiunzione di
determinazione individuale e sensibilità artistica e sociale a Roma
è senza dubbio il teatro Il Vascello, vecchio cinema abbandonato e
cadente nel cuore di Monteverde che nel 1989 viene riesumato e
condotto a seconda vita come teatro dal coraggioso regista Giancarlo
Nanni, già distintosi come nome dell’avanguardia guidando l’eclettica
attrice Manuela Kustermann, sua inseparabile compagna di viaggio fin
dagli inizi, nelle avventure in “cantina” de “La Fede” nel
periodo in cui in altrettante “cantine” spuntavano i nomi di
Carmelo Bene, Carlo Cecchi, Memè Perlini, Leo De Berardinis e tanti
altri.

Il Vascello è forse l’unica struttura a Roma a mettere insieme una
condizione da vero teatro contemporaneo, come gran parte dei teatri
delle altre capitali culturali europee (ovvero il pubblico in
gradinata e uno spazio scenico non inclinato che si presta sia alla
danza che a qualunque allestimento teatrale, al contrario dell’impianto
classico del teatro all’italiana con un palco altissimo e nato per
la lirica e non per il teatro) e una eccellente condizione di
visibilità e di comodità oltre ad una struttura efficace e ben
organizzata.
A rendere omaggio alla coerenza e all’efficacia di questa decennale
attività di frontiera è stato lo stesso Peter Brook, nume mondiale
del teatro contemporaneo di ricerca, che al termine delle repliche del
suo icastico, scolpito e vivo spettacolo “Oh, les Beaux jours” di
Samuel Beckett, ebbe a dichiarare: “Una delle esperienze più felici
che abbiamo avuto nella lunga tournee mondiale di 'Oh, Les Beaux
Jours' è stata quella al Teatro il Vascello. L’intimità, il calore
e la risposta del pubblico sono stati il risultato delle favorevoli
condizioni create dallo spazio in sè e dell’eccezionale gruppo che
lo anima.”
Oltre al grande Peter Brook, Il Vascello è stato il luogo d’elezione
per altri giganti del teatro internazionale come il suo inauguratore,
Tadeusz Kantor, ma anche per il gruppo eternamente dissidente del
Living Theatre, per Robert Lepage, Jan Fabre, lo straordinario gruppo
sudafricano Handspring Puppet, Alain Platel, Sergej Ljiubimov, nonché
le lezioni-letture di Robert Wilson? A questi nomi stranieri vanno
sommate le realtà italiane più importanti dell’ambito della
ricerca e della sperimentazione, da Giorgio Barberio Corsetti a
Remondi e Caporossi, da Elio De Capitani a Andrée Ruth Shammah oltre
a Moni Ovadia, Romeo Castellucci e Cesare Ronconi e ovviamente lo
stesso Nanni, che ha firmato puntualmente ogni anno una sua regia
assieme alla compagnia “La Fabbrica dell’attore”.
Ultimo fondamentale merito del Vascello è quello di aver saputo
investire e scommetttere sulla danza contemporanea spesso e volentieri
relegata a “sottogenere” nel panorama conservatore del teatro
italiano e che ha invece trovato in questo luogo un avamposto
protetto. Sono transitati da qui nomi e compagnie d’eccezione anche
in questo ambito, da Misha von Hoeck a Jan Fabre, Wim Wandekeybus e
tutta la Danza del Nord-Europa e quasi tutti i gruppi italiani che
hanno lasciato un segno o lo stanno lasciando: Sosta Palmizi, Lucia
Latour, Enzo Cosimi, Adriana Borriello, Corte Sconta, Michele Pogliani,
Kinkaleri, Monica Francia, Silvana Barbarini, Massimo Moricone e molti
altri ancora. Il Vascello rappresenta per queste realtà anche un
punto d’incontro e di scambio artistico e professionale, come nel
caso del convegno del ’97 “Coreografi Europei a confronto”
arricchito da dibattiti, proiezioni video, seminari pratici e
iniziative collaterali pertinenti la danza.
Non è poco, dunque, in assoluto e in Italia in particolar modo dove
il cocktail di burocrazia e inconcludenza nelle istituzioni, assenza
di politiche culturali lungimiranti da parte delle forze politiche e
pigrizia mentale del pubblico conservatore può ridurre qualunque
pulsione creativa e artistica, che è già fragile nella sua essenza,
a una irrealizzata elucubrazione.
Della compagnia di Giancarlo Nanni sono segni precisi quelli lasciati
da spettacoli culto come “A come Alice”, un’icona del teatro
degli anni Settanta, riproposto recentemente con rinnovato seguito, o
il multimediale “Il Gabbiano” di Cechov che, interloquendo
dichiaratamente con le grandi regie del passato da Stanivslasky a
Visconti e Strehler, si avventura nel territorio impervio dell’elettronica
al fianco dell’improvvisazione attorale. Proprio con questo
spettacolo la compagnia ha affrontato una tournée internazionale
andando a Kiev, al Cairo, a Buenos Aires e infine al prestigioso
Caffè La Mama di New York, che è valso a Giancarlo Nanni un invito
da parte dell’Actors’ Studio a tenere un seminario di due mesi
come pedagogo.

Venendo alla regia più recente, “Il Gatto con gli Stivali” di
Ludwig Tieck con Manuela Kustermann nel ruolo di protagonista, che ha
debuttato l'anno scorso al Teatro Vascello ed è stato riproposto
quest'anno, bisogna premettere alcune cose riguardanti il testo e il
suo autore per poter inquadrare la sua scelta registica. Scritto dall’autore
tedesco Johann Ludwig Tieck (1773-1853) nel 1797 ispirandosi a uno dei
racconti di “Ma Mere l’oie” di Perrault, “Il Gatto con gli
Stivali" viene considerato un capolavoro satirico, caso esemplare
di “teatro nel teatro”. E’ la storia di Masino, giovane vittima
di un’iniqua ripartizione dell’eredità paterna che, rimasto solo
con il suo gatto Micio, scopre con sorpresa che questi parla e gli
promette perfino di renderlo felice se seguirà tutti i suoi consigli,
a cominciare da fargli fabbricare degli stivali su misura.
Il Gatto mette in opera un piano astuto in cui riesce a far dare al Re
la propria figlia in sposa proprio al povero Masino, presentato al Re
come il conte di Carabas e all’uopo istruito dal Gatto nella farsa.
Questo livello drammaturgico scorre a volte parallelo a volte
intrecciandosi e alternandosi a quello della messa in scena che si
risolve in un fiasco:”la commedia che si rappresenta non è
abbastanza razionale, lacrimevole e macchinosa per piacere al pubblico”....commentano
due razionalissimi quanto acidi critici ora fuori ora dentro la scena,
personificazioni dell’illuminismo di retroguardia incapace di
lasciarsi trasportare dal fascino oscuro dell’irrazionale, dalla
forza mitica e simbolica della fiaba, di scendere nei gorghi della
fantasia (“La scenografia, dov’è la scenografia!” gridano
indignati i due critici davanti ad una scena spoglia di macchine
sceniche e scevra da naturalismi) mentre il suo Autore (Masino)
entrando e uscendo dal ruolo si preoccupa di preservare lo spettacolo
dai fraintendimenti delle sue intenzioni da parte di un pubblico
volubile.
La forma drammatica e il palcoscenico, come recita il programma di
sala, sono accettati da Tieck “solo in quanto espressione materiale
della distanza evasiva e ironica fra il poeta e la sua materia” e in
questo senso è lecito considerare Tieck come un antesignano molto
precoce delle tematiche surrealiste di Pirandello e della “rivoluzione
teatrale ad opera dei futuristi”.
La lettura che ne fà Giancarlo Nanni predilige il lato parodistico,
esasperando le sovrapposizioni tra sviluppo della fiaba e messa in
scena, lasciando volutamente slittare il più possibile verso il
paradosso le situazioni ma la mancanza di approfondimento in una
direzone precisa fà si che lo spettacolo tenda ad essere un miscuglio
un po’ confuso tra un semplice racconto per bambini e una serie di
artifizi che riflettono sul senso del teatro, fin troppo complesssi
per essere capiti lì per lì, senza rendere la mirabile complessità
del testo di Tieck. Attori molto impegnati nelle loro parti,
garbatamente esagerati verso la retorica e il birignao del teatro
accademico, si muovono in una scenografia essenziale ma molto
suggestiva, in un ambiente luminoso di grande fascino.
Auguriamo al Teatro Vascello e alla compagnia di Nanni e Kustermann di
celebrare ancora altri decenni di attività altrettanto prolifica e di
qualità sia come organizzatori che come protagonisti del teatro
italiano, rimanendo in fiduciosa attesa delle loro prossime produzioni
e proposte.
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