Cartelli a pagamento
Guido Martinotti
Il traduttore dal russo Mark Bernardini ha una eccellente idea:
diffonde via Internet le caricature dei manifesti di Silvio Berlusconi,
che diventano un oggetto di culto, tanto da venire ripubblicati in un
libro che si vende come i panini caldi. L’oggetto della satira, il
Cavalier Berlusconi, come in un manuale del perfetto marketeer, invece
di adontarsi, convoca, o meglio, (sempre secondo le regole) dà l’annuncio
che convocherà una giuria per premiare la migliore satira. (L'Espresso,11
Gennaio 2001, p.18) Tutti ne parlano: il giro dei portici del
villaggio globale si conclude nel migliore dei modi, anzi dei mondi,
possibili.
Ma qualcosa mi sfugge, e sfugge a tutti del resto. E il punto non è
la persona di Berlusconi, ma i suoi manifesti (quelli veri, intendo) e
le frasi che vi vengono vociate. Frasi che non dicono nulla e tutto
(un lavoro migliore anche per te, nessuno resta indietro, una scuola
che insegni - e per non fraintendere - davvero. Effettivamente
Berlusconi chissà dove le ha fatte queste benedette scuole).

Oppure dicono il dritto e il contrario contemporaneamente, ad esempio
una pensione decente - vattelapesca che significa in nummario - e meno
tasse. Coppia di frasi che, se presa alla lettera (ma chissà chi
giudicherà al momento buono la decenza promessa) è esattamente come
volere la moglie ubriaca e la botte piena, tanto per rimanere nel folksy.
Insomma niente di molto diverso dalla usuale merdettina pubblicitaria
che raccomanda prodotti per stimolare l’intestino reticente o
frenare il sebaceo dirompente.
Ma poi si pensa: dove ho già visto questi volti, e sentito questi
slogan? A parte i periodi elettorali, dico, durante i quali, per
comune accordo, il buon senso (e gusto) è bandito. Come nel caso di
quel costruttore di una città meridionale devastata da speculazioni e
abusivismo, che si promuoveva con il solito melenso ghigno su uno
sfondo di tetti sterminati: “nell’ordine, per costruire”. Certo
i manifesti ricordano qualcosa. Ma soprattutto viene da domandarsi:
quale filosofia politica, quale concezione dei rapporti tra chi
comanda e il cittadino presuppone una campagna impostata con tanta
violenza visiva e tanta approssimazione persuasiva?

I paesi dove si sono visti esempi simili di città invase da un solo
volto, quello del lider maximo di turno, si possono elencare
facilmente. Lasciamo da parte Stalin e tutti gi altri despoti
dell'Europa dell'Est che, appartenendo a una cultura materialista,
preferivano i monumenti alla immagine, stimolando tra l'altro l'attesa
generalizzata del loro rovesciamento fisico. E anche Zio Sam con il
ditone, che era un personaggio simbolico. Le affiche con il
faccione e la scritta didascalica li usano Fidel Castro a Cuba,
Mao-Tse-Dung, o il suo successore pro-tempore, in Cina, Gheddafi in
Libia, ma soprattutto, con diffusione quasi berlusconiana, Saddam
Hussein in Irak.
Per l’Italia occorre andare indietro di mezzo secolo a ritrovare le
facce del Duce, ma poiché la tecnologia iconica del cartellone non
era così sviluppata, quel che si vedeva erano soprattutto i detti,
peraltro non molto diversi come qualità retorica da quelli che
leggiamo in questi giorni.”Molti nemici molto onore” oppure ”L’aratro
traccia il solco ma è la spada che lo difende” sono forse diversi
per contenuto, ma per concezione dei rapporti tra leader e cittadino
appartengono alla stessa famiglia di “Una pensione decente per tutti”
o “Meno tasse per tutti”, "Non lasciare indietro
nessuno" o banalità del genere.
E’ per questa loro caratteristica, la banalità, che è stato
possibile inventare tante parodie. Ciò che conta infatti non è la
caricatura in sé e per sé (che come è del tutto evidente nel mondo
della comunicazione scivola come l’acqua sulla pietra liscia) ma la
cadenza, il ritmo, la facile ripetibilità di questi slogan, di queste
frasi che permettono di dire tutto e nulla esattamente come
"paghi due e prendi tre".
Ed è proprio la diffusione di questi manifesti, con l'implicito
immane sciupio di denaro, che dovrebbe fare riflettere chi vota per il
Polo sdl (sedicente delle libertà), perché attratto dalla parola
"libertà" e perché pensa di fare un gesto contro i partiti
e contro lo stato. Quando sarà al potere chi usa questi mezzi, lo
stato e i partiti, dicono, svaniranno esattamente come lo Stato
borghese dopo la rivoluzione comunista secondo le promesse del Manifesto
dei comunisti del 1848.
Già, si è visto. Pensa che ridere: tutti questi bei signori
Brambilla che gridano contro i politici e che per i prossimi vent'anni
(i vent'anni li auspicano quelli del Polo, non io) tutti i giorni,
aprendo la loro bottega, si troveranno di fronte il faccione del lider
maximo, ma ovviamente per imitazione anche quelli dei vari
cacicchi di turno con le loro massime catechistiche senza senso. Come
si è già visto con Martelli e Bobo Craxi.
Evviva! Se l'Ulivo avesse le risorse potrebbe fare il gioco di
saturare l’opinione pubblica, comperando gli spazi lasciati vuoti e
riempiendoli con un duplicato dei cartelli del Cavaliere in modo da
far vedere come saranno le cose quando, oltre a quelli dell’opposizione,
la stessa persona avrà a disposizione gli spazi del governo. Ma la
sinistra questi soldi non li ha e l'obiezione prevedibile è
"sono soldi di Berlusconi, ne fa quello che vuole".
Propro così, ma quello che si fa in politica non è una scelta
privata. La politica è un atto pubblico e la scelta dell'imbonitura
è un pessimo segno di come si intenderà governare. E poi i soldi
buttati in questa forsennata campagna narcisistica sono di Berlusconi
solo per chi crede che la concessione dello spazio di tutti per le
trasmissioni a costo quasi zero sia un fatto di bravura
imprenditoriale. Perchè il senso di tutta questa cartellonistica,
destinata naturalmente a diventare il panorama stabile del prossimo
ventennio, è facilmente riassumibile in un cartello base:”Italiani,
quando saremo al governo, questi cartelli li pagherete voi”.
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