"La fisionomia dell'Ulivo fu elaborata con estrema gradualità. I primi tratti
cominciarono a delinearsi nel febbraio 1995 e poi, in modo più netto, nella primavera
successiva. Tutto, però, era cominciato un anno prima, nel giugno 1994. Ricordo benissimo
quell'episodio. Fui ospite, con Romano Prodi e Marco Vitale, di Virginio Rognoni nella sua
casa vicino Pavia. Era una splendida giornata di sole. Parlammo a lungo. Discutemmo
seriamente dei modi più adatti per contrastare il governo Berlusconi. La spaccatura
all'interno dei Popolari e soprattutto il logoramento dei rapporti fra Bossi e il
Cavaliere facevano ben sperare. Fummo concordi sul fatto che bisognava prepararsi al più
presto ad agire". Michele Salvati, economista e autorevole esponente Ds, rievoca
così l'inizio, avvenuto proprio cinque anni fa, dell'avventura dell'Ulivo della quale è
stato testimone e protagonista.
Salvati, quali caratteristiche consentirono a Prodi di rivestire il ruolo di leader
dell'Ulivo?
"La figura di Prodi era essenziale per il buon esito del progetto ulivista. Il
Professore piaceva a cattolici come Beniamino Andreatta, che ebbe un ruolo decisivo nel
convincerlo ad entrare in politica, alla Confindustria di Abete, e alla sinistra. Riusciva
insomma a far convergere le ideologie più diverse. Preparatissimo studioso di economia,
dotato del carisma dell'uomo politico, Prodi aveva la personalità adatta a svolgere la
funzione di candidato premier: era bonario e insieme grintosissimo, molto ambizioso e
soprattutto disposto a rischiare".

Chi furono gli altri protagonisti della fase iniziale dell'Ulivo?
"La culla intellettuale dell'Ulivo fu l'Associazione il Mulino, animata dalla
ferma volontà di superare i contenitori partitici tradizionali e di fondere i vari
riformismi. Posizioni centrali ebbero, in questa prima fase del movimento, Beniamino
Andreatta, Arturo Parisi, Giovanni Bianchi. In seguito, D'Alema e Veltroni. Almeno alle
origini, l'Ulivo parve in grado di risanare la spaccatura creatasi, all'epoca della
segreteria di Occhetto, fra il post-berlingueriano Veltroni e il post-togliattiano
D'Alema".
Da cosa era nutrito lo 'spirito del '96' di cui molto recentemente si è riparlato?
"Per comprenderlo, bisogna tornare con la mente al 1994. Il
governo Berlusconi si andava sfasciando, incapace di mantenere unita la sua maggioranza.
Gli subentrava, nel dicembre di quell'anno, Dini, il cui governo non era politico, ma
tecnico. Si cominciava a vivere in attesa delle successive elezioni. La necessità di un
soggetto politico nuovo, originale, s'imponeva con forza. La scoperta che partiti dalle
ideologie diverse potevano unirsi e cooperare, dando vita a un unico movimento, portò
un'incredibile energia, una coscienza nuova dell'identità del centrosinistra.
Quell'energia e quella coscienza furono, secondo me, le cause prime della grande vittoria
del 21 aprile 1996".
Quali furono i primi errori dell'Ulivo?
"Clamorosi sbagli furono compiuti già pochi giorni dopo il trionfo elettorale. La
strategia ulivista si basava su un governo del premier più accentuato che in passato:
invece, ben presto, al posto della fusione dei gruppi parlamentari, si accettò l'idea di
gruppi rappresentanti dei singoli partiti".
La caduta del governo Prodi nel '98 fu solo colpa di Bertinotti?
"Non cercherei capri espiatori. Piuttosto direi che il grande errore che portò
alla fine dell'Ulivo fu quello di tutti coloro che, detentori di forti poteri all'interno
dei partiti della coalizione, non seppero credere abbastanza nell'anima del
progetto".
Le sembra possibile, oggi, ricreare l'Ulivo del '96 o comunque proporre un soggetto
politico simile?
"Non credo, almeno per queste elezioni. Bisognerebbe smettere di litigare sul nome
del candidato premier e su ogni piccola questione, come accade. Se passerà il referendum
sull'eliminazione del proporzionale, forse si potrà tornare a sperare in un'unione più
profonda del centrosinistra. Ci vorrebbe però uno scatto d'orgoglio, di fantasia, e ci
vorrebbero idee buone e vincenti accompagnate da una consistente efficacia
propagandistica".