Questo saggio appare sul numero 1 della Nuova Serie della rivista Filosofia e Questioni
Pubbliche. Per ulteriori informazioni potete contattare Luiss Edizioni all'indirizzo
e-mail edizioni@luiss.it
Introduzione
Lo scopo. Che cosa è il costituzionalismo progressista liberaldemocratico
(Cpld)? Limpressione è che si tratti di una dottrina politica. In questo saggio, mi
propongo di definire quale possa essere il contenuto di tale dottrina.
Vi immagino mentre vi date da fare per essere certi che lordine politico, in
qualsiasi paese, possa essere tutte e quattro queste belle cose insieme, ovvero: 1) un
ordine progressista, 2) un ordine liberale, 3) un ordine democratico e 4) un ordine
costituzionale. Ma perché impegnarvi in questo esercizio mentale? Credo che lo facciate
perché in ognuno di questi quattro termini scorgete un riferimento a uno specifico valore
o bene politico, o una condizione necessaria perché un ordine politico sia una
combinazione interessante, che voi vorreste conservare come una concezione intelligibile
di una pratica politica, per la cui realizzazione potrebbe effettivamente valer la pena
impegnarsi. È adesso mia intenzione chiarire come dovreste costruire, mettendole
reciprocamente in rapporto, le condizioni necessarie rispettivamente indicate da ognuno
dei quattro termini, al fine di dar vita a un unico insieme minimamente coerente.
Dobbiamo pertanto porci un problema concettuale, la cui soluzione prevede poche e
semplici regole:
a) ogni termine deve aggiungere qualcosa di nuovo; b) nessuno di questi termini può
essere del tutto separato dal suo normale ventaglio di associazioni semantiche, e c) non
deve esserci troppa tensione fra le coppia di termini. Si noti che queste regole non ci
obbligano mai a esprimere una nostra opinione su cosa «veramente» o «oggettivamente»
significhi ciascuna di queste quattro cose. Lipotesi che il nostro esercizio vuole
verificare è molto più debole di quanto vorrebbe un qualsivoglia discorso essenzialista
(o «realista» o «oggettivista»). Molto semplicemente, cè un modo di mettere, e
tenere, insieme tutti e quattro questi bei termini in una concezione sufficientemente
coerente di un assetto immaginabile di accordi politici, senza che ci sia bisogno di
distorcere alcuno di essi, al di là dei suoi limiti ordinari di significato.
Ora proporrò una maniera possibile per realizzare questo progetto. Quando vedrete di
che si tratta quando vedrete quali sfumature di significato in ognuno dei quattro
termini chiave, siano necessarie per inquadrarli in una concezione politica coerente
forse il risultato non vi piacerà. Il liberalismo e la democrazia, in special
modo, appariranno in forme che vi potranno sembrare svuotate del loro significato
originario. Sia i liberali convinti che i democratici convinti potrebbero dunque rimanere
insoddisfatti dal disegno di società bene ordinata che risulta da questo esercizio.
Oppure altri lettori, di qualsiasi inclinazione politica, potrebbero semplicemente
constatare che il mio tentativo di costruire un insieme di rapporti mutualmente
compatibili fra liberalismo, progressismo, democrazia e costituzionalismo impone di uno, o
più, di questi termini una versione grottescamente distorta, oppure troppo distante dal
significato ad esso comunemente attribuito. In tal caso, non avrò argomenti a mia difesa
se non la situazione di emergenza: ogni porto è buono nella tempesta.
Naturalmente, anche in questa follia cè del metodo. Immagino che almeno alcuni
fra i miei lettori abbiano già abbracciato definitivamente tutti e quattro i nostri
criteri per la giustizia e la bontà di un ordine politico, e che pertanto siano già
definitivamente convinti che sia effettivamente possibile che un ordine politico sia al
tempo stesso progressista, liberale, democratico e costituzionale. E dato che non mi sono
prefisso lo scopo di dimostrare altro, non voglio assolutamente che la causa del
costituzionalismo progressista e liberaldemocratico scompaia dalla faccia della terra.
Sono pertanto disposto a correre il rischio di sottoporvi alla prova del fuoco (mi rivolgo
adesso a voi, partigiani dichiarati del Cpld). Se per una qualsiasi ragione rifiutate la
mia proposta di Cpld, allora dovrete trovare un altro modo per tenere insieme tutto ciò
che ritenete essere particolarmente desiderabile in ciascuno dei quattro bei termini,
oppure dovrete riconsiderare la vostra posizione.
La sfida. Il Cpld è un ideale di ordine politico nel quale ognuno dei quattro
elementi (costituzionalismo, progressismo, liberalismo, democrazia) ha un carattere
aggiuntivo e non contraddittorio. Sembra improbabile? Non stiamo forse considerando due
coppie di elementi che spesso, nel nostro linguaggio politico abituale, appaiono come
opposti luno dellaltro, il progressismo contrapposto al liberalismo, il
costituzionalismo alla democrazia? Per quanto riguarda la prima coppia, basta ricordarsi
di come il professor Robert Lipkin ha inaugurato il recente «Widener Symposium» sul
costituzionalismo progressista. Ha cominciato con lavvertire coloro i quali, fra il
pubblico, si definivano liberali (raggruppandoli in questo caso con i conservatori) di non
aspettarsi di aver lo stesso tempo a disposizione, in quanto si sarebbe trattato di una
conversazione fra progressisti. Per lui era evidente, in questi commenti, che il
liberalismo costituzionale e il costituzionalismo progressista fossero due cause politiche
in competizione, e pertanto incompatibili.
Prendiamo adesso in esame la coppia democrazia-costituzionalismo. Non intendiamo forse
per «costituzionalismo» un modo per limitare la politica, anche quella popolare, per
mezzo di una legge superiore che sta al di sopra della sfera politica che deve limitare?
Non si intende forse per costituzione una legge che serva a guidare la politica, e
pertanto una legge che sta necessariamente a monte e al di sopra della politica? Eppure,
non intendiamo forse per democrazia (se la prendiamo sul serio) un popolo che decide da
solo del contenuto di tutte le leggi cui sono interessati, in quanto individui o gruppi,
per buone ragioni politiche o morali? Se è così, allora la democrazia sembra veramente
in un conflitto profondo e incolmabile con il costituzionalismo. Infatti, fra le questioni
che si possono decidere politicamente, cui la gente ha buone ragioni morali o pratiche per
interessarsi, e sulle quali ha il potere di decidere, dovrebbero essere necessariamente
comprese, in forza del principio democratico, quelle leggi che stabiliscono i termini
fondamentali per la loro società politica, quelle stesse leggi per la conduzione della
politica che per il costituzionalismo devono stabilire limiti e confini allautorità
politica.
Un esempio eclatante è il nodo di problemi che riguardano il rapporto tra soldi e
politica, che il professor J.N. Balkin ha discusso in questo simposio. Fra le questioni da
regolare prima di mettere in atto la democrazia politica, questa non può certo mancare.
Il problema è: che cosa i governi possono esigere o permettere in materia di denaro?
Lasciare che questo problema venga regolato dalla discussione politica democratica è
altrettanto sensato che lasciare che il punteggio in una partita di calcio (immaginate che
alcuni partecipanti pretendano che ogni calcio dangolo assegnato conti per un punto
e ogni calcio segnato a dovere nella rete avversaria conti per tre) venga lasciato al
capriccio della squadra che vince la partita. Eppure ogni vero democratico dovrà
riconoscere che è questo il tipo di questioni che un popolo che si autogoverna deve poter
decidere da solo, democraticamente. In modo tale che quando, ad esempio, la Corte suprema
degli Stati Uniti stabilisce per il suo paese una qualche soluzione del problema
soldi-e-politica, nel nome della Costituzione degli Stati Uniti, molti potrebbero
protestare in nome della democrazia.
In questo convegno, abbiamo parlato di «costituzionalismo progressista» come qualcosa
che potrebbe esser morto e sepolto, qualcosa che potrebbe esser stato verosimilmente in
vita ad un momento dato. Come se sapessimo di cosa stiamo parlando quando nominiamo il
costituzionalismo progressista. Ma è così? «Costituzionalismo progressista» è una
nozione coerente? Certo, niente di quanto ho detto sinora ha contrapposto
costituzionalismo al progressismo, ma solo al liberalismo; e niente di quanto ho detto
sinora ha messo il costituzionalismo in opposizione al progressismo, solo alla democrazia.
Ma nella nostra retorica politica abituale, il liberalismo non viene forse associato al
costituzionalismo, in una concezione di governo rappresentativo fortemente mediato e
sottoposto ad un forte controllo giudiziario? E non si associa specularmente lesser
di sinistra con la democrazia, in una concezione di governo popolare abbastanza diretto e
scevro da costrizioni? E chi si definisce come democratico progressista, non accusa la
coppia liberalismo-costituzionalismo senza far distinzione fra le due componenti
di fare un feticcio delle libertà individuali, ostacolando le misure per alleviare
la sofferenza, abolire le caste, e far vincere la giustizia? E daltro canto, forse
che chi si definisce costituzionalista liberale non accusa talvolta la coppia
sinistra-democrazia senza far distinzione fra le due componenti di esser fin
troppo incline a sacrificare lindividualità, la libertà, e lo Stato di diritto (rule
of law) sullaltare delluguaglianza? In questo contesto retorico,
lidea di un costituzionalismo progressista viene in ogni caso definita come una
provocazione.
Ritengo pertanto che si debba partire dal fatto che nel nostro discorso politico
abituale vi sia almeno una certa inclinazione a concepire come incompatibile non solo il
rapporto fra progressismo e liberalismo, ma anche fra progressismo e costituzionalismo; lo
stesso dicasi per i rapporti del costituzionalismo non solo con la democrazia, ma anche
col progressismo. Il nostro compito consiste dunque nel valutare che cosa possa comportare
la costruzione di un rapporto fra i quattro termini, rendendoli compatibili.
Genealogia
Un modo per rendere compatibile un quartetto di termini normativi consiste nel
costruire i loro rapporti in termini genealogici. Si inizia con laffermare uno di
questi termini, e si passa poi a mostrare come questa affermazione porti ad affermare il
secondo, il che a sua volta porta a affermare il terzo, che a sua volta implica il quarto.
È mia intenzione adesso compiere una ricostruzione di questo tipo, proponendo un
movimento di pensiero che a partire dal liberalismo proceda verso il costituzionalismo e
poi verso la democrazia e verso il progressismo. Secondo il mio suggerimento, il pensiero
liberale si trova di fronte il problema di giustificare luso politico della forza o
della coercizione, problema per il quale lidea molto astratta di Costituzione
politica può rappresentare una soluzione. In seguito, la soluzione del costituzionalismo
astratto per il problema del liberalismo trova a sua volta degli ostacoli, per i quali la
democrazia si propone come soluzione. In seguito, la democrazia così concepita (come
rimedio alle difficoltà affrontate dal costituzionalismo, inteso come soluzione per il
problema della giustificazione del liberalismo) sembra imporre un contenuto specificamente
progressista alla Costituzione; ovvero, a ogni Costituzione che si fondi sulla democrazia
per permetterle di risolvere il problema del liberalismo.
La mossa fondamentale: una concezione pre-programmatica del liberalismo. Se
progressismo e liberalismo sono due visioni politiche opposte e avversarie, come il
professor Lipkin sembrava dare per scontato, il nostro progetto è sin dallinizio
votato al fallimento. Pertanto, ci conviene cercare di capire perché egli veda le cose
sotto tale luce. E senza dubbio, parte della risposta sta nella sua visione del
liberalismo come dottrina programmatica, come dottrina di istituzioni e assetti politici
più specificamente, una dottrina che vuole difendere una serie di diritti
giuridici degli individui contro lo Stato e, in senso più ampio, una sfera privata di
vita sociale sottratta al potere dello Stato.
Ma si consideri la seguente definizione del liberalismo politico, articolata in sette
punti: 1) impegno ad abbattere le caste in qualunque momento; 2) una politica che sia
disposta a lasciarsi convincere da opinioni dissenzienti, dopposizione e marginali;
3) (connesso con 1 e 2) una società ospitale e rispettosa della multiculturalità; 4) una
concezione delluguaglianza materiale e non solo formale, che comprenda: 5) la
certezza di un livello minimo di benessere e di buon funzionamento di ogni membro della
società; 6) il rifiuto di distinguere categoricamente fra il potenziale oppressivo o
subordinante dello Stato e il potenziale oppressivo o subordinante delle varie formazioni
di poteri privati o fondati sul mercato; e di conseguenza, 7) un atteggiamento sempre
pronto a considerare lapplicazione attiva del potere dello Stato ovunque necessario
nella società per la realizzazione dei punti 1-5. Questi sette punti sembrano definire
una posizione opposta a quella che vede i diritti giuridici individuali definiti in
astratto e arroccati in una posizione strettamente difensiva contro lo Stato e, più in
generale, opposta allesclusione di ogni sorta di intervento governativo da qualsiasi
sfera predefinita di vita sociale. Se sin dallinizio il liberalismo deve essere
definito come affermazione proprio di questultimo tipo di programma istituzionale,
allora veramente linimicizia e lincompatibilità di prospettive fra il
progressismo e il liberalismo sembrano mali congeniti e incurabili.
Sembra pertanto che le sole speranze di costruire effettivamente un Cpld stiano nella
sostituzione di una certa concezione programmatica del liberalismo con unaltra. Non
possiamo iniziare con una nozione di liberalismo politico che contenga dal principio, come
suo proprio nucleo ed essenza, una lunga lista di libertà negative individuali in difesa
dai poteri dello Stato, o lidea di un regno privato al di fuori della portata dello
Stato. Al contrario, avremo bisogno di una nozione di liberalismo che pure potrebbe
colpire alcuni lettori come priva di significato. Per servire ai nostri scopi, il
liberalismo dovrà essere una dottrina del valore che non sia ancora una dottrina
istituzionale.
Inteso come dottrina pre-programmatica dei valori, il liberalismo si presenterà come
quella dottrina che a) ritiene che qualsiasi valore, compreso qualsiasi tipo di ordine
politico o insieme di assetti politici, consista soprattutto nella loro capacità di
cambiare in positivo la qualità della vita umana; b) concepisce la vita umana come
formata effettivamente da esperienze di vita realizzate da individui (per quanto possa
essere vero, e profondamente, che gli individui conducano insieme una vita migliore di
quanto non possano fare da soli, o persino che individui solitari non possano vivere in
modo veramente umano); c) considera condizione essenziale perché le vite umane
individuali abbiano valore la loro capacità di essere orientate a uno scopo e al
raggiungimento di esso, e d) sostiene che fra individui possa esistere nella società un
«pluralismo ragionevole» di scopi.
Per chiarire lultimo punto, i liberali fanno notare che le persone, nella nostra
società, ricercano cose molto diverse e si impegnano in progetti molto diversi, e che
questa diversità è sempre a rischio di scatenare seri conflitti, in parte perché gli
individui che si impegnano per questa pluralità di progetti sono profondamente divisi
nelle loro idee riguardo a ciò che è giusto o a ciò che è buono e degno, conflitti che
non possono sperare di risolvere in tempo politico reale. Inoltre, i liberali sono
convinti che molte delle idee e dei progetti potenzialmente in conflitto, se non tutti,
possano esser considerati ragionevoli, nel senso che non ci sono ragioni migliori per
limpiego della forza pubblica contro una di queste idee o progetti piuttosto che
contro qualsiasi altra. (Ciò che veramente è «irragionevole» in questa prospettiva è
lincapacità o il rifiuto di riconoscere quando progetti o idee che sono in
conflitto con le vostre sono, ciononostante, tali da poter essere fatte proprie da agenti
morali, agenti dai quali non potreste pretendere la rinuncia ai loro principi e progetti
più di quanto loro non potrebbero pretenderla da voi). Pertanto il liberalismo è anche
e) contrario a far paragoni o a misurare il valore o il potenziale valore della vita di
chiunque contro quella di chiunque altro una posizione che a volte viene esplicitata col
dire che ogni persona si rapporta allaltra come «libera ed eguale».
Nella mia ricostruzione, questo è tutto quanto cè da dire sullidea del
liberalismo in politica. Pertanto, il liberalismo politico quale io lho ricostruito,
non inizia la propria vita come una dottrina istituzionale, o costituzionale, che si
occupa di diritti e governo limitato, ma semplicemente come dottrina del valore, e
soprattutto come una dottrina specificamente umanista, individualista del valore, riferito
al diritto della persona a perseguire i propri scopi. E se questa può essere una
concezione lievemente eterodossa del liberalismo politico, ho cercato di dimostrare con le
mie citazioni come essa non sia del tutto senza precedenti.
Dal liberalismo al costituzionalismo. Il liberalismo, inteso come dottrina del
valore, non contiene già concettualmente lidea della Costituzione o della carta dei
diritti. Queste idee però ne discendono prontamente quando si aggiunga ad esso il
pluralismo ragionevole. Per chiunque si riconosca in una dottrina del valore umanista,
individualista, che permetta a chiunque di scegliere i propri obiettivi, in condizioni
dichiarate di pluralismo ragionevole, non cè alternativa al governo politico come
esercizio della forza messo in pratica o minacciato da parte di certe
persone contro altre. In una prospettiva liberale in tal modo definita e situata, la sfera
del governo è o è sempre sul punto di diventare un potere esterno
allindividuo, un estraneo pronto a limitare la libertà altrui.
Inoltre, quanto consegue dalle premesse di valore liberali non è solo che un regime
politico ha costantemente bisogno di giustificarsi, ma che deve essere giustificato in
termini universalistici, ovvero in riferimento a un qualche ordine di ragioni
preponderante che noi (accettando la giustificazione) siamo pronti ad attribuire non solo
a noi stessi, rispettivamente, ma anche reciprocamente, e anche a chiunque si trovi nel
raggio dazione del regime in questione. Nel dibattito liberale e protoliberale era
assolutamente de rigueur riuscire ad esprimere questo bisogno di fondamenti della
giustificazione potenzialmente universalistici. Ciò che venne fatto in termini di giudizi
su quali assetti fossero più adatti alle potenzialità, agli interessi e ai diritti
innati e naturali dellumanità, oppure, di ciò su cui sarebbe stato possibile
raggiungere un accordo universale, in un dialogo appropriatamente condotto fra persone che
si riconoscono reciprocamente come libere ed eguali, oppure ancora, di un overlapping
consensus fra prospettive etiche generali ragionevoli, o proposte di principi per
lordinamento sociale che non potrebbero essere ragionevolmente rifiutate da chiunque
si sia impegnato a trovare simili principi. Per comodità, userò questultima
formula per illustrare la discussione che in seguito svolgerò, e talvolta userò i
termini «ragionevolmente non rifiutabile» e «non ragionevolmente rifiutabile» al posto
di «non ragionevolmente rifiutabile da chiunque si sia impegnato a trovare simili
principi di ordinamento sociale che nessuno che si sia assunto lo stesso impegno potrebbe
ragionevolmente rifiutare».
Provate a immaginarvi mentre state cercando di spiegare a voi stessi, in termini
liberali, quale sia la giustificazione morale di ogni vostro atto quotidiano di
acquiescienza e collaborazione con un regime esistente. Come procedereste? Prendereste in
esame le vostre azioni politiche nellordine in cui hanno luogo, ritenendovi
soddisfatti se ogni singolo atto legislativo o altra attività governativa si può
definire non rifiutabile? Certo che no. Non potreste agire così, se conservaste un minimo
di rispetto liberale per lindividualità libera ed eguale di persone variamente
motivate da diversi scopi, progetti, e concezioni del giusto e del bene inevitabilmente
confliggenti, quali sono quelle che popolano una società moderna.
A questo punto, noi liberali introdurremmo piuttosto lidea, del tutto astratta,
della Costituzione politica, avendo in mente lidea che il sistema politico dato
dalla Costituzione, ovvero quellinsieme di leggi che organizzano la politica e
lazione legislativa, possa essere giustificato di fronte a chiunque in quanto
abbastanza equa, o non ragionevolmente rifiutabile da chiunque ricerchi sinceramente
termini equi di coesistenza sociale, in una situazione di inevitabile conflitto fra gli
interessi di persone che si presumono libere, eguali e ragionevoli. Partiamo dal
presupposto che un sistema politico abbia molte più possibilità di superare questa prova
di quanta ne abbiano i singoli atti politici che dal sistema derivano, e inoltre dal
presupposto che chiunque sia ragionevolmente tenuto ad accettare il sistema sia anche
tenuto ad accettare i risultati che derivano dal funzionamento del sistema stesso (e
cosaltro mai può significare accettare il sistema?). In effetti, una ragione
preponderante, ed esplicita, che ha portato un teorico quale John Rawls a spostare il
fulcro della giustificazione politica dal livello delle azioni politiche di ogni giorno a
quello più astratto e sistemico della Costituzione («struttura fondamentale» della
società), è proprio il fatto che al primo livello vi sia poca speranza di trovare un
accordo, anche fra i «ragionevoli», mantenendo al tempo stesso una parvenza di rispetto
liberale per la diversità di opinioni e di convinzioni riguardo al giusto e al bene.
Dando motivo di sperare in un accordo ragionevole sul sistema politico, anche quando
viene a mancare la speranza per un accordo ragionevole su ogni atto specifico prodotto dal
sistema, lidea astratta della Costituzione soddisfa un bisogno profondo di
giustificazione politica. E voglio sottolineare che lo soddisfa in modo tale da non
implicare in alcun modo che una Costituzione debba necessariamente fornire speciali
protezioni giuridiche ai diritti o alle rivendicazioni di nessuno, e neppure che respinga
necessariamente la sfera dello Stato al di fuori di quella privata. Né un governo
limitato né una carta dei diritti giuridicamente garantiti sono parti necessarie,
logicamente o concettualmente, di un piano o sistema completo e praticabile di governo
politico. E nemmeno, queste nozioni sono già concettualmente contenute nellidea di
(non) rifiutabilità ragionevole, quale è applicata a piani di governo politico. La
domanda ovvia, date premesse liberali, è se sia mai possibile aspettarsi che
lelettorato di un paese, anche se limitato al novero dei «ragionevoli», possa
arrivare ad un consenso abbastanza stabile su una proposta ragionevolmente non rifiutabile
di Costituzione, che porti a un ordine politico completo e praticabile.
Non bisogna mai dimenticare che nel mondo del liberalismo politico ci sono infinite
differenze di opinioni etiche e normative, dovute in parte a differenze di concezioni e di
sensibilità legate a fattori quali il background etnico e la condizione sociale.
Lesperienza americana ci suggerisce con forza che lunico modo di appianare
queste differenze e disaccordi per un testo costituzionale è di esprimersi, su qualsiasi
insieme di questioni fondamentali, ad un livello di astrazione tanto alto da lasciare non
risolte questioni che dovrebbero essere risolte (e che presto o tardi verranno risolte da
ciò che chiamiamo interpretazione costituzionale), in modo da poter definire e
specificare un ordine politico realizzabile in pratica.
Ad esempio, non cè alcun dubbio che chiunque sia ragionevole (da un punto di
vista liberale) possa convenire sin dallinizio che nessun insieme di accordi
politici può essere non rifiutabile ragionevolmente e universalmente se non è anche
orientato a trattare ogni persona con uguale rispetto e interesse. Si può cercare di
soddisfare questo criterio (anche se certo non è questo lunico modo pensabile)
scrivendo nella Costituzione una garanzia giuridica esplicita di uguaglianza di fronte
alla legge e di libertà da qualsiasi trattamento iniquo e discriminante. Forse tutte le
persone ragionevoli possono trovare che una tale proposta di testo costituzionale sia non
ragionevolmente rifiutabile. Tuttavia, non ci sono molte possibilità che tutte le persone
ragionevoli riescano a trovare un accordo in tempo politico reale (o quantomeno, non negli
Stati Uniti e in questo momento della nostra storia) su quanto spazio dazione debba
essere lasciato allo Stato per limitare la pubblicazione di materiale pornografico, o per
regolare i rapporti fra soldi e politica, o per adottare politiche e decisioni orientate
specificamente a questioni razziali o che le tengano in considerazione. In altre parole,
la clausola «uguale protezione della legge» può essere ragionevolmente non rifiutabile,
ma «non vedere i colori» certo non lo è, né lo sono quelle implicite in Booksellers
vs Hadnut o Buckley vs Valeo.
Noi abbiamo convinzioni profondamente diverse e conflittuali su questi problemi,
sicuramente a causa delle nostre differenti esperienze di vita e situazioni sociali, o
forse anche per la diversa formazione personale. Fino a quando questi problemi non sono
risolti, lordine politico non è specificato in termini abbastanza chiari da poter
effettivamente essere operativo. (Una volta formulato, il ricorso di un votante bianco
contro una ridefinizione del proprio distretto elettorale, per assicurare un minimo di
rappresentanza ai neri in un parlamento statale, deve inevitabilmente ricevere una
risposta, non consensuale, da una qualche autorità sociale. Se la Corte suprema non dà
una risposta, allora toccherà allo stesso parlamento statale). Come può il
costituzionalismo liberale sperare di gestire un tale problema?
Dal costituzionalismo liberale alla democrazia. Torniamo a quella che considero la
fonte del pensiero politico liberale, ovvero il problema della forza e del potere. In una
prospettiva liberale e pluralista, qualsiasi ordine politico stabilito prima o poi
minaccia di usare la forza contro gli individui che sono nel suo raggio dautorità,
e questa forza può essere giustificata solo nella misura in cui il sistema politico dal
quale essa è guidata non sia ragionevolmente rifiutabile da chiunque sia ad esso
soggetto. Questo significa che la giustificazione politica, concepita da un punto di vista
liberale, stabilisce uno standard oggettivo per la legge costituzionale, almeno in linea
di principio pubblicamente verificabile. In altre parole, questo significa che
lunica alternativa che i liberali politici hanno rispetto al concludere che
nessun esercizio politico della forza potrà mai essere giustificato sta nel
ritenere che la questione della ragionevole non rifiutabilità universale di qualsiasi
proposta di Costituzione, o interpretazione o applicazione di parte di una Costituzione,
potrebbe effettivamente trovare se solo ci fosse tempo sufficiente per stabilirla
una soluzione giusta e pubblicamente raggiungibile.
Ma ovviamente il tempo non basta. È proprio questo il punto che i liberali politici
fanno notare rispetto al «dato di fatto» del pluralismo ragionevole, applicato come i
liberali politici lo devono coerentemente applicare al processo decisionale sul livello
operativo di una «interpretazione costituzionale». È vero che il pluralismo ragionevole
non rende filosoficamente non disponibile la verità sulla ragionevole non rifiutabilità
delluna o laltra parte della Costituzione, per come è interpretata o
applicata, né la pone al di là di ogni discussione ragionevole, né la rende solo
questione di opinione o di desideri o di potere. La rende solo politicamente non
disponibile fra persone che, coscienti della fragilità umana e rispettose delle umane
differenze, forse condividendo lidea che vi sia effettivamente una verità, non
possono, in tempo politico reale, trovare un accordo su quale sia questa verità, né
liquidare come irragionevoli tutte le posizioni contrarie alla propria. Questo tuttavia
basta a chiarire come i liberali politici che sostengono il pluralismo ragionevole si
trovino di fronte alla possibilità che non vi sia alcuna risposta alla domanda su cosa
sia giusto fare per me o per voi, in questo momento, su questa questione della forza; in
altri termini, che si trovino di fronte alla possibilità che niente di quanto voi o io
possiamo fare possa essere giusto (o sbagliato, peraltro), che tutto sia in fin dei conti
una questione di potere.
Se vogliamo evitare di giungere a tale conclusione, abbiamo solo questa alternativa:
dovremo sostenere che il problema decisivo della moralità politica che il cittadino di
convinzioni liberali si trova di fronte sia diverso dal problema, sotto ogni aspetto e
scopo non decidibile, della universale e ragionevole non rifiutabilità della
Costituzione, per come è applicata. Il nostro problema, pertanto, consiste nel trovare
qualche altro modo di formulare la questione decisiva, un modo che non la leghi fatalmente
al problema irrisolvibile della non rifiutabilità ragionevole e universale della
Costituzione, per come viene applicata.
Ma come possiamo formulare allora la domanda decisiva? Sembra che in un modo o in un
altro, la formulazione dovrà specificare una qualche caratteristica risolutiva capace di
superare, in un insieme attualmente prevalente di garanzie, le difficoltà poste da un
regime in cui prevarrebbero le ragioni contro la possibilità di far valere in maniera
giustificata la forza.
Ma ora sappiamo cosa non può essere questa caratteristica: non può essere la
conoscenza pubblica e certa, «oggettiva», della ragionevole non rifiutabilità di tali
garanzie. Ma vi sono altre possibilità?
Il carattere risolutivo in queste garanzie dovrà rispondere in qualche modo alla
preoccupazione principale, quella riguardante luso politico della forza, che sin
dallinizio spinge a cercare giustificazioni. Questo significa che il carattere
risolutivo dovrà esser tale da mettere in grado chiunque sia soggetto al regime
costituito, per come è applicato, di rispettare le sue decisioni legislative per una
motivazione che non sia soltanto il desiderio di evitare le dolorose misure di
applicazione della forza. Nei termini di Jürgen Habermas, dovrà essere una
caratteristica che permetta di assoggettarsi al funzionamento del sistema, almeno in parte
in una proporzione che basti come motivazione in forza di un «rispetto
per» il sistema stesso e il suo funzionamento.
Ma quale può essere lattributo capace di suscitare tale rispetto in un regime
politico, se non quello che unapplicazione coerente del pluralismo ragionevole ci ha
portato ad escludere, ovvero la conoscenza pubblica e certa di una sua vera e universale
non rifiutabilità?
Potrebbe essere una risposta la continua e credibile apertura delle garanzie
dellattività legislativa del sistema (specialmente quelle connesse con la riforma
del sistema stesso) alle critiche rigorose e alle influenze possibili della democrazia
politica? Potrebbe essere questo un fattore che fa sì che chi si deve assoggettare al
regime lo faccia, del tutto o in modo determinante, per rispetto?
In mancanza di vera e propria anarchia, non cè alternativa alla necessità di
autorizzare i funzionari, individui o organi, a decidere di volta in volta, per
interpretazione se non per approvazione, il contenuto applicato delle leggi fondamentali
di un paese. Dato che di solito non ci si può aspettare lunanimità su tali
questioni, la decisione deve essere di tipo maggioritario-collettivo (anche la Corte
suprema, sotto questo aspetto, è una istituzione maggioritaria convenzionale. Per vincere
bisogna essere cinque contro quattro). Ma il fatto che ci dobbiamo inchinare a tali
necessità pratiche non significa che non riteniamo il giudizio di un singolo funzionario
una guida particolarmente degna di rispetto su cosa qui ed ora sia giusto aspettarsi
dallinsieme delle leggi fondamentali di un paese. Tuttavia, si può ritenere che i
giudizi più degni di rispetto verranno, in generale, da organi ufficiali i cui membri si
trovano ad essere costantemente in contatto con lesplosione di tutte le opinioni su
tali questioni, prodotte liberamente e senza inibizioni dai membri della società a
partire dalle loro diverse esperienze, posizioni e riflessioni.
Questo convincimento potrebbe essere fondato su di un coerente intreccio di
considerazioni radicate nel buon senso e nella dignità. Perché mai non dovremmo
conservare il nostro rispetto per ambienti ufficiali che si sforzino credibilmente di
impegnarsi a rendersi sempre più aperti allinfluenza di deliberazioni e dibattiti
pubblici che siano pienamente ed equamente ricettivi del modo di percepire le situazioni e
degli interessi di ognuno, e conseguentemente, delle opinioni di ognuno sulla giustizia,
incluse quindi le opinioni su quale tipo di assetti rendano davvero equamente ricettive di
tutti i punti di vista le deliberazioni pubbliche, rendendo veramente gli organi ufficiali
aperti allinfluenza di tali vedute?
Democrazia e diritti. Così si è fatta strada lidea che sia proprio la
democrazia il possibile attributo di un ordine politico che possa aiutare a recuperare la
sua «rispettabilità» universale, nonostante il fatto che la ragionevole e universale
non rifiutabilità dellordine stesso dovrà rimanere per sempre una questione non
decidibile in pratica. Si suggerisce dunque che la democrazia possa in tal modo aiutare a
soddisfare il bisogno liberale di giustificare la collaborazione nellapplicazione
della forza politica. Ma se è così, è evidente come «democrazia», intesa in questo
senso, debba consistere in qualcosa di più che una regolamentazione del voto in vista di
una serie di decisioni che devono essere prese da tanta gente insieme. Le procedure dei
processi decisionali legislativi fondamentali, e i relativi processi di formazione
dellopinione pubblica, non saranno democratici in misura significativa se gli
abitanti di un paese non hanno accesso ad essi a partire da una posizione di uguaglianza,
indipendenza, libertà, e sicurezza, luno verso laltro e di fronte alla
collettività politica e ai suoi poteri. La democrazia comporta pertanto garanzie ex ante
della libertà e dellindipendenza individuali. Comporta il porre freni e limiti su
ciò che possa legittimamente esser compiuto (o, come avremo presto modo di notare, su
ciò che può legittimamente esser lasciato incompiuto) dalla pura forza di una volontà
politica dominante. In breve, non ci può essere democrazia (significativa) senza ciò che
sotto ogni punto di vista si deve considerare una carta dei diritti.
Come avremo presto modo di vedere, questo significa anche una carta dei titoli validi (entitlements);
la «democrazia», per i nostri scopi, deve contenere anche la democrazia sociale. Ma
prima di passare a questa fase della discussione, voglio ribadire che questa è la prima
volta che una qualche idea di costituzionalizzare le rivendicazioni individuali di
qualsiasi tipo è apparsa nella nostra costruzione genealogica. Come ci siamo sforzati di
osservare sopra, nel momento in cui la speranza liberale in un consenso ragionevole e
universale in politica richiede che si avanzi lidea astratta di Costituzione
uno schema o sistema politico che possa essere universalmente e ragionevolmente non
rifiutabile, anche se spesso, o sempre, gli specifici atti politici che autorizza non sono
tali tale idea astratta non contiene ancora alcun impegno a fornire una speciale
protezione legale per i diritti individuali o i titoli validi di chiunque, oppure a
escludere lo Stato dalla sfera privata. Questo tipo di impegni entrano nel nostro scenario
solo quando al costituzionalismo viene ad aggiungersi la democrazia, nella speranza di
rendere degna di rispetto una Costituzione di cui non è possibile accertare la giustizia
obiettiva, recuperando in tal modo la possibilità di una giustificazione di stampo
liberale della collaborazione politica.
Dal costituzionalismo liberaldemocratico al progressismo. Questo titolo è
significativo. Suggerisce che, nel quadro di Costituzioni liberali (quali le abbiamo
genealogicamente costruite) le rivendicazioni rivolte da alcune persone nei confronti di
attori, governativi e non, perché vengano garantiti certi atti e certe esenzioni, possono
svolgere una funzione di spinta. Questo perché «costituzionalismo liberale e
democratico» deve essere il nome di una forma di vita sociale oltre che di una serie di
procedure che regolino i processi decisionali politici. Questa espressione indica una
forma di vita sociale che rispetta profondamente ogni persona e che si prende cura delle
capacità di ognuno in quanto portatore di unopinione politica degna di rispetto. Al
tempo stesso, designa un insieme di accordi giuridici intesi sia a sostenere tale forma di
vita sociale sia a fornire a tutti gli interessati delle buone ragioni per ritenersi
autori, o potenzialmente tali, delle leggi fondamentali del paese in misura non minore di
altri. Per leggi fondamentali intendo quelle leggi che istituiscono i termini e le
condizioni nelle quali viene espletata la maggior parte delle funzioni di governo da parte
di istituzioni più o meno rappresentative. Dato che si deve dare per scontato che in ogni
momento si possano verificare fenomeni di esclusione, emarginazione, subordinazione, o che
in ogni momento qualcuno potrebbe esser messo a tacere, sarà necessario impegnarsi per un
processo decisionale sociale che cerchi costantemente di liberarsi da questi mali, in
parte mantenendosi sempre aperto ai punti di vista e alle opinioni di chi ha meno potere o
di chi non si trova in una posizione di preminenza; e questo vale, inter alia, per
le condizioni necessarie per lemancipazione di questi ultimi.
Ma qualsiasi processo decisionale sociale è inevitabilmente e sempre un processo
istituito in termini sociali e giuridici, e ciò che lo costituisce sotto il punto di
vista giuridico è molto più che un insieme di leggi riguardanti le elezioni e la
rappresentanza nella sfera statuale e governativa. Adesso stiamo parlando di leggi che
contribuiscono a dar forma alla società civile, quali, ma non solo, le leggi concernenti
la famiglia, il commercio e le professioni, il lavoro e le sue condizioni, la scuola, la
casa, la proprietà, la libertà di espressione, i mezzi di comunicazione e così via. Se
la democrazia riesce a esistere e a prevalere in un dato paese o in un dato momento, ciò
dipende in buona parte dal fatto se quel dato paese, in quel dato momento è riuscito a
darsi le leggi «giuste».
Certo, abbiamo sostenuto poco fa che, sotto tale forma, non si potrà mai dare una
risposta completa a chi domandi la giustificazione del nostro sostegno a un dato regime
corrente di dispensations di provvedimenti legali e costituzionali quali vengono
applicate. La risposta parla di un processo che sia «pienamente ed equamente» aperto ad
accogliere i punti di vista di chiunque, uno standard che non si estende solo al terreno
formale della legislazione e del giudizio ma, con uguale importanza, anche alla società
civile in generale. Ma, naturalmente, la domanda se gli atti legislativi pertinenti
possano quindi essere «giusti» non è esente dalla legge ferrea liberale del pluralismo
ragionevole. Se i pertinenti atti legislativi contribuiscano a soddisfare i corretti
prerequisiti costitutivi della democrazia sociale per la «rispettabilità» universale
della politica, è una domanda destinata ad essere molto spesso materia di disaccordo
vivace anche se ragionevole.
La domanda (e io la intendo veramente come tale) è se il problema liberale della
giustificazione politica è stato adesso formulato in modo tale da rendere immaginabili
certe condizioni, condizioni di apparente quasi-democrazia, politica e sociale, nelle
quali i cittadini possano ragionevolmente e reciprocamente dichiararsi daccordo sul
fatto che il paese stia portando avanti, in buona fede e dignitosamente, un progetto
politico forse mancante di uno scopo finale, ma che tuttavia presenta unidea
regolativa intelligibile. La ricerca democratica della democrazia sarebbe tale progetto, e
il suo primo e costante requisito sarebbe questo: le decisioni che, di tanto in tanto,
devono essere prese su alcune questioni politiche fondamentali, qualora non possano essere
raggiunte per consenso, dovranno essere comunque prese da istituzioni che sono sempre
effettivamente sottoposte alle pressioni di una pubblica opinione in fieri, che si dedica
a democratizzare se stessa e le condizioni sociali e legali che ne assicurano la
formazione.
Nella misura in cui questa è la questione giusta per i liberali politici, oppure, in
altri termini, nella misura in cui la nostra genealogia è riuscita a dispiegare un
costituzionalismo profondamente e socialmente democratico a partire dalla dottrina
liberale del valore, sembra allora che un piccolo germe di progressismo si sia annidato
nel cuore stesso del costituzionalismo liberale. Consideriamo ancora la nostra definizione
di progressismo politico in sette punti: 1) impegno ad abbattere le caste (o
«discriminazione sociale») in qualunque momento si manifestino; 2) una politica che sia
disposta a lasciarsi convincere da opinioni dissenzienti, dopposizione e marginali;
3) (connesso con 1 e 2) una società ospitale e rispettosa della multiculturalità; 4) una
concezione delluguaglianza materiale e non solo formale, che comprenda 5) la
certezza di un livello minimo di benessere e di buon funzionamento di ogni membro della
società, 6) il rifiuto di distinguere categoricamente fra il potenziale oppressivo o
subordinante dello Stato e il potenziale oppressivo o subordinante della varie formazioni
di poteri privati o fondati sul mercato; e di conseguenza, 7) un atteggiamento sempre
pronto a considerare lapplicazione attiva del potere dello stato ovunque necessario
nella società per la realizzazione dei punti 1-5. Ognuno di questi elementi di una
dottrina o «posizione» costituzionale è implicato dalla specifica nozione di democrazia
che si pone come risposta al bisogno liberale di un garante della rispettabilità
universale dellordine politico, la cui universale non rifiutabilità resta
oggettivamente indecidibile.
Che cosa resta
Adesso è il momento di accertarsi se siamo davvero riusciti a costruire un
«costituzionalismo progressista e liberaldemocratico», nel quale, per ricordare due
regole del primo esercizio che ci eravamo assegnati «b) nessuno di questi termini può
essere del tutto separato dal suo normale ventaglio di associazioni semantiche e c) non
devono esserci eccessive tensioni fra ciascuna coppia di termini». Occupiamoci per prima
cosa della regola (b). In almeno tre delle quattro costruzioni terminologiche che
risultano, alcuni lettori possono trovare unovvia ragione per protestare: come avevo
predetto, ci siamo affidati a versioni di secondordine del liberalismo e della
democrazia e in certa misura anche del progressismo.
Abbiamo costruito il liberalismo non come un programma per questioni istituzionali,
quali libertà giuridicamente garantite o un governo limitato dalla legge, ma puramente
come dottrina etica e morale, una dottrina del valore umanista e individualista, legata a
una dottrina morale di tolleranza e di ragionevolezza. Abbiamo costruito il progressismo
come una teoria procedurale, una elaborazione della democrazia sociale, guidata non
dallavversione alla sofferenza e al dominio ma da unansia di legittimazione.
Abbiamo costruito la democrazia non come il diritto sovrano di un popolo, o della
maggioranza di esso, a decidere come debba essere governato il paese stesso, ma come una
dottrina di strutture sociali e di processi politici che dia allopinione pubblica
influenza sulle decisioni di chi si trova al potere. Ancora una volta: non ho mai
sostenuto che alcuna di queste sia la migliore costruzione del liberalismo, della
democrazia, o del progressismo. Sto semplicemente suggerendo che queste costruzioni sono
il risultato possibile di un serio lavoro per il costituzionalismo progressista
liberaldemocratico.
Ma il gioco vale la candela? Se scoprissimo di non esser riusciti a soddisfare la
regola (c), sembrerebbe proprio di no. Chiediamoci dunque: abbiamo effettivamente fatto
combaciare il progressismo con il liberalismo o con il costituzionalismo liberale?
Liberalismo e progressismo come concezione sociale. Dobbiamo chiederci ancora una
volta, con buona pace del professor Lipkin: se il «liberalismo» e il «progressismo»
vengono considerati semplicemente come termini per idee sociali generali, per concezioni o
posizioni concernenti le condizioni moralmente preferibili per la società, sono davvero
così profondamente incompatibili? «Liberalismo progressista» è veramente un ossimoro?
In questo saggio, non posso che rispondere no, se riteniamo che il liberalismo consista in
una dottrina pre-programmatica del valore, specificamente in(I) una richiesta di accordi
sociali che mostrino un grande rispetto per il valore dellazione individuale o per
il progetto di vita (accettando la diversità e la rivalità in una società moderna, di
interessi e scopi fra diverse persone, e delle più generali visioni etiche da cui esse
traggono ispirazione), unita a (II) laspirazione a una forma universalista di
giustificazione per accordi politici fondamentali, il che significa limpegno a far
sì che questi accordi siano coerenti con un equilibrio di ragioni, che saremmo pronti a
rendere valide per chiunque sia in condizione di esserne influenzato, supponendo che tutti
siano coscienti di sé e degli altri come persone «libere ed eguali» e anche
«ragionevoli», in circostanze di diversità e rivalità etica già nominate.
Se «liberalismo» e «progressismo» possono essere equamente definiti nei termini
dellelenco dei sette punti poco sopra suggerito, allora non sembrerebbe esservi
unobiezione troppo forte allidea di liberalismo progressista. Questa sarebbe
uninterpretazione o una versione del liberalismo altrettanto coerente in ogni sua
minima parte quanto lo sono altre interpretazioni, più radicalmente libertarie, più
legate al mercato, più risolutamente antistataliste con le quali si trova in
competizione. È vero, naturalmente, che un liberalismo progressista implica un gran
numero di richieste conflittuali riguardo agli accordi sociali fondamentali, una
confusione che qualsiasi sistema funzionante deve riuscire a tradurre in una pratica
politica gestibile, intelligibile, e soprattutto normativamente difendibile, che la sola
logica non è in grado di indicare. Questo è però vero di ogni versione del liberalismo
che possa essere praticamente applicabile in qualsiasi paese, in condizioni sociali e
industriali moderne; e di questo si sta occupando buona parte della nostra legge
costituzionale.
Cosa dire sul costituzionalismo liberalprogressista? In questo caso non stiamo
parlando solo di una visione ideale generale di una società bene ordinata, ma più
specificamente di costituzionalismo. Una concezione costituzionale non è
interamente descritta, o piuttosto il contenuto giuridico di questa o quella Costituzione
può non essere del tutto descritto, dalla dottrina liberale del valore, e nemmeno da una
visione liberalprogressista più concreta. Ogni Costituzione deve anche prender posizione
sugli accordi istituzionali in base ai quali qualsiasi norma essa voglia imporre sulla
vita politica possa essere verificata, interpretata ed applicata a casi specifici, ad
esempio da un potere giudiziario indipendente che abbia in ogni situazione lultima
parola, oppure da organi parlamentari che rispondano allelettorato, oppure dalla
democrazia diretta. Nonostante tutti i miei sforzi per definire il liberalismo come
antecedente al costituzionalismo, per rendere il costituzionalismo una conseguenza
dellidea liberale piuttosto che una parte della sua essenza stessa, è veramente
difficile mettere le due parole insieme nella stessa frase, «costituzionalismo
liberale», senza evocare una carta dei diritti e il controllo giudiziario. Per questo un
«costituzionalismo liberalprogressista» può sembrare un ossimoro, anche se un
«liberalismo progressista» non lo è.
La difficoltà sembra stare in buona parte nellidea di diritti sociali ed
economici «positivi». Sembra che qualsiasi costituzionalismo progressista degno di
questo nome dovrebbe imporre al governo lobbligo esplicito di soddisfare certe
necessità degli abitanti del paese. Per esempio, le sezioni 26 e 27 della costituzione
del Sudafrica del 1996 garantiscono a chiunque il diritto ad una casa dignitosa, al cibo,
allacqua, alle cure mediche e alla previdenza sociale, e impongono allo Stato il
dovere di soddisfare questi diritti per mezzo di misure progressive nel quadro delle
risorse disponibili, mentre la sezione 29 dello stesso strumento conferisce ad ognuno il
diritto alleducazione di base. Eppure, è stato sostenuto con forza che
linclusione di tali diritti in uno strumento costituzionale è preclusa
dallidea stessa di costituzionalismo liberale. Se il progressismo richiede, mentre
il costituzionalismo proibisce, che i diritti positivi sociali ed economici facciano parte
della legge costituzionale di un paese, allora il costituzionalismo liberalprogressista è
veramente impossibile.
Ma perché mai il costituzionalismo liberale dovrebbe opporsi allinclusione di
diritti positivi in una costituzione? È ben vero che i tribunali, per ragioni
comprensibili (fra le quali vi è anche il rispetto per la democrazia) tendono ad evitare
di «applicare» in senso ampio e diretto tali obblighi, cercando di non anticipare
decisioni politiche su un ampio ventaglio di questioni amministrative e di bilancio. La
questione, piuttosto, è di capire perché il fatto che un certo «diritto» non sia
applicabile in senso pieno (nel migliore dei casi) da parte del potere giudiziario debba
essere considerato condizione sufficiente per escluderlo dalla Costituzione. La risposta
che si riceve di solito è che, da un lato, linclusione di un tale «diritto» è
estremamente pericolosa, poiché un diritto che non trovi un tribunale pronto ad
applicarlo non è altro che una finzione, una falsa promessa, segno di una vittoria
politica che deve essere ancora vinta nei fatti; dallaltro, linclusione in una
Costituzione di diritti non applicabili ha leffetto di svalutare i diritti
costituzionali in generale. Se un gruppo di attori politici si rende conto di non aver
niente da temere dal diritto A, o che il diritto A non lo vincola «veramente», senza
dubbio comincerà a pensare allo stesso modo anche al diritto B, C e D.
Ma tutto questo è inevitabile? Forse che una Costituzione non potrebbe essere intesa
come una legge vincolante per gli attori politici oltre che per il potere giudiziario, a
prescindere dal fatto che questultimo sia o meno in condizione di «applicarla»?
Perché mai si dovrà considerare come gesto privo di senso limposizione
costituzionale di obblighi su attori non giudiziari, anche se nessun tribunale potrà
costringere al loro adempimento? Senza dubbio la risposta sarà che tutto ciò è
possibile in alcune culture politiche e impossibile in altre. Potrebbe darsi il caso che
la cultura americana si trovi ora in condizioni tali da non poter prendere sul serio
lidea che esista un vero obbligo politico a meno che, e fino a quando, un ordine
giudiziario si faccia avanti per riempirlo di verità. Ma deve essere per forza così?
Esiste una qualche ragione per preferire che sia così?
La risposta, infine, potrebbe essere che il costituzionalismo progressista e
liberaldemocratico è possibile a seconda delle contingenze culturali. Nella qual cosa non
vi è certo nulla di sorprendente.
(traduzione di Debora Spini)