Licenziamenti: non c'è solo la via radicale
Franco Debenedetti
Questo articolo è apparso su l'Unità (www.unita.it)
del 21 gennaio
Tre anni fa i referendum non erano neppure allorizzonte: non è quindi ai
referendum che pensavo quando scrissi e presentai il progetto di legge sulla disciplina
dei licenziamenti. Ed è indipendentemente dallincombere dei referendum che vorrei,
dopo tre anni, rileggerlo.
Che cosa dice in sintesi? In caso di licenziamento per motivo economico, prevede che il
lavoratore possa scegliere fra il godimento immediato di un congruo indennizzo ( sei mesi
di retribuzione più un mese per ogni anno di anzianità) oppure la permanenza sul posto
di lavoro per un periodo corrispondente, oppure, sempre a sua scelta, per un periodo
minore con monetizzazione della parte restante. In ogni caso il periodo di prosecuzione
del rapporto, il cosiddetto "preavviso lungo", non può superare un anno, Per le
aziende con meno di sedici dipendenti, preavviso e importo sono dimezzati. Inoltre prevede
che la tutela, con termini di preavviso e importo di indennizzo ridotti, sia estesa ai
collaboratori autonomi che svolgono la propria attività continuativamente e in via
prevalente per un unico committente.
Sostengo che questo progetto non solo è attento ai diritti dei lavoratori, ma anzi che
esso offre ai lavoratori tutele maggiori di quelle che hanno oggi.
Prima di motivare questa affermazione, devo fare una premessa: rimane esattamente come
oggi il divieto assoluto del licenziamento discriminatorio; esattamente come oggi il
licenziamento in tronco è lecito solo nel caso di colpa grave; come oggi, è il Giudice
del lavoro a stabilire se cè stato trattamento discriminatorio per il quale
resta la sanzione di nullità e se cè stata colpa grave da parte del
lavoratore. Tutto ciò rimane come oggi per la semplice ragione che di queste cose il
progetto semplicemente non parla. Dovrebbe avrebbe dovuto - essere una premessa
inutile: chi ha fornito la base teorica e giuridica del progetto è Pietro Ichino, un
giurista da sempre vicino al sindacato; e chi lha presentato in Parlamento è stato
mandato al Senato dagli elettori dellUlivo.
Perché sostengo che così si dànno tutele maggiori ai lavoratori? Per tre motivi.
Primo: la legge vigente non dà al lavoratore licenziato per motivi economici alcun
indennizzo; la mia proposta da un minimo di 6 mensilità ( per un neoassunto) a 36 ( per
chi abbia 30 anni di anzianità). Oggi il Giudice del lavoro, se ritiene non sufficienti i
motivi addotti, può ordinare il reintegro del lavoratore ( il famoso art. 18): ma non si
può negare che è maggiore una tutela di entità certa e dovuta in ogni caso per legge,
piuttosto che una tutela affidata alla decisione che di volta in volta il giudice vorrà
prendere. Quando il giudice non ordina il reintegro, e a volte accade, il lavoratore è
meno tutelato di quanto preveda il mio progetto di legge; e latteggiamento dei
giudici, già oggi variabile a seconda delle regioni, potrebbe domani cambiare anche
radicalmente.
Secondo: il "preavviso lungo", uninvenzione di questa legge. Oggi il
reintegro, quando viene ordinato, arriva dopo mesi, talvolta anni di forzata inattività e
di tormentosa incertezza. Invece io propongo che il lavoratore licenziato abbia fino a un
anno di tempo per cercarne un altro stando al lavoro: gli si risparmia il danno
psicologico di doversi cercare un nuovo posto da disoccupato, lo si pone in una condizione
negoziale più forte. E la classica applicazione del principio del "welfare to
work" di Tony Blair: un welfare che accompagna il lavoratore, facilitandogli la
ricerca di un nuovo lavoro.
Terzo: lestensione della tutela a chi oggi non ce lha, i parasubordinati.
La legge Smuraglia, approvata dal Senato ed ora passata alla Camera, è del 30 giugno
1998: la mia di 16 mesi prima.
Ma la migliore difesa della possibilità di lavorare si attua creando lavoro. E sono le
imprese che creano lavoro. E importante dunque guardare al problema anche dal punto
di vista dellaltra parte contraente, limpresa. Con la mia proposta,
limpresa licenzierà solo se la perdita a cui andrebbe incontro con la prosecuzione
del rapporto fosse superiore allindennizzo. E, siccome può fortemente ridurre la
propria perdita se pianifica per tempo le sue esigenze, ha un forte incentivo a praticare
il manpower planning, e ad evitare la precarizzazione dei rapporti di lavoro.
Il giudice con la legge attuale può ordinare il reintegro: ma il giudice non può
creare lavoro per unazienda che non ne ha abbastanza; il giudice non può cambiare
le caratteristiche professionali di un lavoratore. Lincertezza sui costi del
licenziamento induce un atteggiamento iperprudente, quasi timoroso negli imprenditori: e
se tutti gli imprenditori sono timorosi e prudenti, come può crescere leconomia? Le
aziende devono adeguarsi ai cambiamenti della tecnologia e della domanda: come potranno
farlo rapidamente, se il costo e lincertezza di un procedimento giudiziario frenano
e rallentano ladeguamento del mix professionale?
Io rivendico con forza il carattere autenticamente riformista della mia proposta:
perché lascia inalterati i diritti fondamentali, ridistribuisce ed amplia le tutele,
promuove comportamenti non opportunistici nelle imprese, crea condizioni che favoriscono
lo sviluppo. E una proposta profondamente diversa da quella del referendum promosso
dai radicali: diversa per ciò che prevede, diversa soprattutto per la logica da cui nasce
e che la regge.
Certo, il referendum e la mia proposta entrambi eliminano lart.18, vale a dire la
possibilità che il giudice ordini il reintegro. E allora? Il fatto è che larticolo
18 non corrisponde più alla attuale struttura produttiva del paese, ad uneconomia
sempre più basta sui servizi, alle forme che in essa assumono i rapporti di lavoro. Il
fatto è che sta aumentando il peso dei contratti di lavoro diversi da quello del
contratto a tempo indeterminato: e non solo a causa della rigidità posta proprio
dallart.18. Ciò che caratterizza e qualifica le posizioni culturali e politiche non
è il comune riconoscimento dei fatti, ma la risposta culturale e politica che si dà ai
fatti: è questa è nettamente diversa.
Lart.18 è diventato oggi anche un ostacolo allo sviluppo di moderne relazioni
industriali, e finisce per danneggiare proprio coloro che vorrebbe proteggere. Il
reintegro a seguito di un procedimento giudiziario contribuisce a creare lo stigma che
accompagna il licenziamento, non va nella direzione di farne un momento sia pur difficile
della vita lavorativa di una persona, ma contribuisce a fare della disoccupazione uno
stato di cui un po vergognarsi e del disoccupato un lavoratore verso cui si nutre
uningiusta diffidenza. E anche per questo che la disoccupazione italiana, più
di quella europea, è disoccupazione di lungo periodo, per cui da noi più che altrove chi
imbocca la strada della disoccupazione trova molto difficile uscirne.
Un approccio riformista al problema dei licenziamenti non pensa solo ai divieti ed alle
tutele, sa che la vera tutela sta nella crescita della domanda di lavoro. Dirige la
propria attenzione non a ostacolare o ritardare ciò che non può alla fine impedire, ma
si preoccupa di ridurre i tempi di permanenza nella situazione di disoccupato e a
favorirne luscita.
Non è una strada originale: è quella che hanno seguito tutti i governi riformisti dei
paesi che hanno ridotto la disoccupazione.
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