Federico Pacifici, attore di cinema e di
teatro, è stato uno dei 25 attori selezionati per partecipare al seminario di recitazione
"The work" condotto recentemente dal regista americano Arthur Penn presso il
Teatro di Roma. Quello che segue è la prima puntata del resoconto della sua esperienza.
Breve cronaca del più istruttivo dei miei tanti fallimenti.
Queste mie considerazioni potrebbero interrompersi subito dopo aver consigliato la
lettura di tre libri:
- "Respect for acting" by Uta Hagen with Haskel Frankel, 1973, consigliato da
Penn stesso come fondamentale.
- "Acting, the first six lessons", by Boleslavsky, 1933, considerato da
Harvey Keitel la sua bibbia.
- "Strasberg at the Actors Studio" (recorded sections),1966, fondamentale per
tutti.
A questi tre libri in inglese, tutti rintracciabili via Internet tramite Amazon
(www.amazon.com), si possono naturalmente aggiungere "Il lavoro
dellattore" di Stanislavskij, con il quale Strasberg ha elaborato il suo
"Metodo" a mio avviso molto pragmatico così come lo è gran parte della cultura
americana, ma anche "Il teatro e il suo doppio" di Artaud, i libri di Peter
Brook, i saggi su Luca Ronconi, quelli su Carmelo Bene, su Grotowski, su Barba, ma anche
"Teoria del dramma moderno" di Szondi, "Paradosso dellattore" di
Diderot, il "Wilhelm Meister" di Goethe e mille, forse milioni di altri libri,
tutti utilissimi per avere una visione più completa sugli argomenti recitazione, attori,
costruzione del personaggio, rapporto tra attore e regista, o tra attore e autore.
Arthur Penn, celeberrimo regista americano di capolavori cinematografici come Furia
selvaggia (1958), Gangster story (67) e Il piccolo grande uomo (70), è anche
attivissimo in teatro dove ha realizzato più di diciotto regie. E attualmente
direttore dellActors Studio e ha fondato due anni fa lActors
Studio Free Theatre a New York, dove per essere liberi di fare quel che preferiscono gli
insegnanti non sono pagati e gli spettatori non pagano. Anche il seminario di cui sto per
parlare, Penn lha fatto gratis.
Nato a Filadelfia nel 1922, Arthur Penn si trasferisce prima a New York, poi nel New
Hampshire, dove prende lezioni di recitazione e si esibisce nei teatri di quartiere e alla
radio. Nel 46 si diploma in recitazione al Black Mountain College. Nel 1950 segue
corsi di pittura a Perugia. Nel 1951 a New York comincia a lavorare per le grandi reti
televisive americane. La sua indipendenza di pensiero e la sua continua ricerca
espressiva, la sua lunga carriera ne fanno uno dei registi più importanti del nostro
secolo.
I seguenti appunti riguardano solo alcune mie impressioni riguardo quel che ho visto e
fatto durante i sei incontri pomeridiani con Arthur Penn: sono quindi parziali, non
obiettivi e personalissimi.
Annunciato presso il Teatro di Roma il seminario di Arthur Penn dal titolo "The
work", 25 fortunatissimi attori sono stati selezionati sulla base dei curriculum e
della conoscenza più o meno buona della lingua inglese da Gianni Amelio, Caterina
DAmico e Mario Martone, che con il Teatro che dirige promuove una straordinaria
campagna di avvicinamento dei professionisti italiani alle più diverse esperienze
artistiche di rilevanza internazionale. Sono stati selezionati anche un folto gruppo di
allievi o ex allievi di recitazione e regia della Scuola Nazionale di Cinema (ex CSC) come
spettatori già avviati alla professione.
Alla domanda di fronte a che cosa ci saremmo trovati, ha risposto in
piccolissima parte la richiesta ricevuta da tutti gli attori ,insieme alla notizia di
essere stati selezionati, di preparare due pezzi di teatro uno in inglese e uno in
italiano della durata di venti minuti il primo e una decina il secondo.
Paura è poco, panico è termine più appropriato. Non provavo un così grande buco
nello stomaco dalle mie prime esperienze teatrali. Presentare un pezzo di teatro davanti a
un così grande regista, un pezzo a mia scelta e in inglese, lingua che parlo bene o male
a seconda del livello d'ansia che mi prende al momento di usarla, mi terrorizzava. C'era
tutta la difficoltà di far passare la mia recitazione non attraverso il dominio delle
parole, ma attraverso un "sentire reale, vero". Impedito nella possibilità di
modulare termini, significati, nuance, ritmo... il buco nello stomaco si allargava.
Lunica cosa che effettivamente tutti capivamo è che ci saremmo trovati di fronte
al "Metodo",quello ampiamente elaborato da Strasberg e sempre discusso e
continuamente rielaborato presso lActors Studio e che non è una scuola, ma
unassociazione di attori e registi, alla quale si accede per presentazione e
audizione, dove si discutono, si elaborano, si provano le tecniche della recitazione di
tanti attori che del "Metodo" hanno fatto la propria guida e il proprio
sostegno, la fonte inesauribile di consigli per migliorarsi nella propria arte, i cui
strumenti sono solo il proprio corpo ed il proprio "sentire". Lo
"studio" è anche e soprattutto il luogo dove attori professionisti si mettono
in discussione e ricevono consigli da altri attori professionisti che a loro volta si
mettono in discussione. Unassociazione in cui il livello di mutuo soccorso è
altissimo e indissolubilmente legato al rispetto degli uni per gli altri.
Detto questo, continuavamo a non sapere di fronte a cosa ci saremmo trovati, io meno di
chiunque altro perché assolutamente un principiante rispetto al "Metodo", del
quale avevo letto, sentito e discusso, ma che non avevo mai sperimentato direttamente.
Oltre allinglese, dunque, avevo anche questa nuova lingua da apprendere, e il più
in fretta possibile.
Paura. Questa lunica devastante sensazione. Bene! ne ho proprio bisogno, ora
nellesercizio stanco della professione che si dipana tra frettolosità ed
incompetenza sempre più dilaganti. Bene, ne ho proprio bisogno! sono le uniche parole di
auto conforto che sono riuscito a trovare.
La scelta:
Cosa portare come pezzi di teatro?
- Ladorato Pirandello di "Non si sa come", una mia lunga riduzione:
impossibile trovarlo in inglese, in tempi brevi almeno. Tradurlo io? Non mi azzardo, il
mio inglese non mi sembra sufficiente a tradurre la lingua di Pirandello, difficile e
colta anche per chi parla litaliano.
- Un pezzo di quel capolavoro tra i capolavori di Dostoevskij, "La Mite", mia
riduzione e adattissimo al caso, ma anche questa volta risulta impossibile trovarlo in
inglese, stesso argomento riguardo il tradurlo da me.
- Una brevissima novella di Cechov "Estasi" (Rapture, in inglese): perché
no? La preparo.
- Le proposte di una splendida attrice che subito mi entusiasmano:
"LOrso" o "La Proposta di Matrimonio" di Cechov, perfetti, e di
nuovo impossibile trovarli in inglese in tempi brevi.
- Le due proposte di un altro attore: "Uno sguardo dal ponte" di Arthur
Miller e un altro testo americano contemporaneo, "Detective story" di Sidney
Kingsley. Al primo non mi sento adatto, il secondo non mi piace per la sua dimensione da
film dazione, io non sarò mai chiamato a interpretare un personaggio americano e
nemmeno un italoamericano (il cinema internazionale e quello americano in particolare
tengono in massimo conto lorigine dellattore a meno che non sia una star).
- Una scena da "Zio Vanja" di Cechov tra Astrov e Elèna, dal terzo atto.
Difficilissima perché Astrov vi espone i propri studi e disegni sulla condizione della
regione da loro abitata a una Elèna disinteressata, presa comè da un altro
pensiero, quello di trovare il coraggio di chiedere ad Astrov se ha qualche interesse per
Sonja, figlia di primo letto del suo anziano e malato marito. Lei stessa avrebbe qualche
interesse verso il medico, è solo in parte consapevolmente e in parte inconsapevolmente
lusingata dalle attenzioni che lo stesso Astrov le manifesta. Per Astrov rivelare la sua
intima passione per quegli studi è forse un modo di entrare in intimità con Elèna,
svelarsi nella sua passione privata, nel tentativo non riuscito e non nascosto di
affascinarla. La scena ha mille implicazioni, è difficilissima ed effettivamente rischia
di annoiare, come dice Astrov stesso ad Elèna alla fine del suo monologo. Naturalente, è
proprio questa la scena che scelgo.
Non ho una partner per cui preparo tutta la scena, ma presto particolare attenzione al
monologo, che già da solo riserva infiniti ostacoli oltre a quelli già detti della
lingua inglese. Capisco che la sto affrontando più come proposto da "Vanja sulla
42° strada" che come proposto da Cechov, ma le due cose sono intimamente legate. La
preparazione si fa molto interessante.
Contemporaneamente ricevo da una giovane collega la proposta di lavorare insieme sulla
prima scena di "Tradimenti" di Pinter. Mi entusiasmo subito.
Continuo a lavorare sul monologo di Cechov da solo e sulla scena di Pinter insieme a
lei.
La mia partner è più esperta del "Metodo", ha frequentato diversi corsi e
quindi mi informa su molti elementi che io proprio non conosco, ma dice di non aver alcuna
esperienza di teatro, che non ha mai praticato.
Primo pomeriggio, dalle 15 alle 21.
La paura si fa terrore. Non sono preparato ne sul monologo ne sul dialogo,
almeno non come lo sarei se li avessi studiati in italiano. Lidea di preparare un
pezzo nella mia lingua è stata abbandonata da me come da tutti gli altri partecipanti al
corso a eccezione di uno che non parla inglese. Ciò è consolatorio, ma non basta.
Appuntamento alle tre alla Sala Uno Teatro. Fin dalle due siamo quasi tutti lì fuori,
tremanti ed emozionati come bambini al primo giorno di scuola elementare.
Entra Arthur Penn.
Devo descriverlo? Un uomo piccolo di statura, ma dal fascino immenso: cortesia,
sensibilità ed esperienza sprizzano da ogni dove. Ciò riscalda lanima, ma la paura
non passa.
Introduce il seminario: lavorerà con noi così come fa con i suoi attori e
allActors Studio, sui pezzi che noi abbiamo preparato, e il suo ruolo sarà di
"Moderatore". I più tremano. Alcuni temerari si offrono volontari.Tutti siamo
terrorizzati dalla presenza di spettatori che dovrebbero anchessi essere del
mestiere, ma ci sembrano spettatori e basta, tuttal più guardoni.
Il Moderatore spiega subito che non si tratta e non si tratterà di prodursi in
esibizioni o dimostrazioni di bravura, ma di procedere ad affrontare il nostro lavoro
secondo la metodologia da lui affinata. Lui emana tranquillità e disponibilità, niente
di ciò che ho visto e anche brevissimamente sperimentato in altre occasioni: tensione e
fermenti mistici, pianti e psicoanalisi di gruppo, cose che aborro in genere, figuriamoci
in teatro. La psicoanalisi, nei luoghi deputati, mi piace molto e lho frequentata un
po. I fermenti mistici invece, anche se relegati nelle sole chiese di qualunque
genere esse siano, li evito, non sono per me. Per qualcuno il teatro è una chiesa, per me
è luogo e attività eminentemente profani e desidero lo resti.
Le tensioni, come vedremo in seguito, sono la mia specialità. Le esplosioni di pianto
(come di riso) appartengono al mio privato, e fanno anche parte dei miei strumenti di
lavoro: non ho quindi preconcetti.
Comunque qui latmosfera è serena, si respira una grande intensità
dinteresse. Penn discute con noi, con la platea e con gli attori in prova, gli
elementi principali ai quali dobbiamo fare attenzione nel nostro lavoro: le circostanze e
le azioni fornite dalle scene in esame.
Grossolanamente, il significato dei termini è:
Circostanze: tutto ciò che fa di quella scena, quella e non unaltra.
Azioni: ciò che il personaggio compie nella scena data (non necessariamente
fisicamente), da dove viene, dove va e perché. Per definire unazione è
rigorosamente vietato usare un aggettivo, ma solo verbi. In Italia le chiameremmo
intenzioni o motivazioni dei personaggi.
Dalle labbra del Moderatore sgorgano parole semplici e concetti chiari, che messi in
pratica danno immediatamente risultati che emozionano: scene timide e
"maldestramente" recitate acquistano improvvisamente fascino e tensione
artistica mirata a "esprimere", ma sarebbe meglio dire a provare, sperimentare,
"sentire" sulla propria pelle, sentimenti reali, qui ed ora. Impressionante!
Alcuni dubbi mi accompagneranno però per tutta la durata degli incontri:
Come si può riprodurre in palcoscenico quel sentimento sincero e reale sperimentato
nello studio? Lo spettatore prova quello che prova lattore o solo ciò che il bravo
attore è in grado di fargli provare? Lattore professionista deve sottoporsi tutte
le sere a quellincredibile stress psicologico?
Arriveranno direttamente o indirettamente le risposte del Maestro.
~~~
Prima parola magica "lostacolo".
Ci si deve sempre dare degli "ostacoli", perché lazione possa essere
mirata e precisa.
Amleto, per esempio: Certo, per una tragedia, rivelare allinizio il delitto e i
colpevoli dovrebbe voler dire arrivare immediatamente alla fine; invece seguono cinque
lunghi atti durante i quali la personalità problematica di Amleto gli impone quanti più
ostacoli possibile. AllActors studio, ricorda Penn, dicono spesso che se
Macbeth fosse nelle condizioni di Amleto, il tutto durerebbe giusto il tempo di uno scarno
atto unico. Anche Macbeth ha i suoi ostacoli di natura tutta diversa, ma questo non è
largomento del giorno.
Darsi un ostacolo aiuta a dare concretezza (to make it real) allo sforzo di superarlo.
Altra cosa è quella di darsi un compito quotidiano sempre diverso, durante i lunghi mesi
di repliche di uno stesso spettacolo, per tenerlo fresco e vivo. Ostacolo e compito sono
due cose molto diverse che coincidono un poco nello scopo e nei modi.
Dalle prove coraggiosissime di alcuni attori emergono elementi e difficoltà comuni: la
poca o appena sufficiente chiarezza del compito che si sono attribuiti
nellaffrontare lesercizio, lassenza o la poca chiarezza
dellostacolo, la poca chiarezza delle circostanze e delle azioni della scena e dei
personaggi.
Per affrontare e superare questi problemi Penn invita alcuni attori a ripetere la scena
senza parlare, lasciando che il corpo "senta" quello che precedentemente si
delegava solo alle parole. Non si tratta di un esercizio di mimo, ma di liberare la
capacità del corpo di "sentire". Ed effettivamente ciò accade.
Alcuni attori anche molto valenti e coraggiosi, forse anche proprio per queste loro
intime qualità, dopo lesercizio scoppiano in lacrime. Credo ci siano almeno due
motivi tra i tanti:
1) lesaurimento della tensione per la prova fatta.
2) il raggiungimento tardivo ma importantissimo del livello di quel "sentire"
"realmente" che accompagnerà tutto il corso.
Bastano poche parole di Penn, ben mirate, a dimostrare a tutti come la realtà della
vita e "il sentimento reale", nonostante gli sforzi, fossero fino a quel momento
rimasti fuori dallesercizio, o fossero stati solo avvicinati.
Gli altri allievi invitati a parlare, a esprimere la propria opinione e i propri
consigli a quelli che si sono sottoposti alla prova, danno punti di vista personali anche
molto interessanti.
Scopriamo (a me lo spiega la mia partner) che è vietato usare le
categorie, molto in uso qui da noi, del "mi piace, non mi piace".
Sempre si deve lodare quanto si è visto e considerarlo comunque un punto di partenza per
migliorarsi. Si può e si deve analizzare e consigliare su come raggiungere il
miglioramento.
Appare ai più semplicemente straordinario lesercizio di un attore che poi viene
molto lodato e che del pezzo presentato conosce il titolo dellopera da cui lha
tratto, ma poi non risponde a nessuna delle domande su circostanze e azioni: dice di non
averci pensato. Penn conclude: qualche volta accade che si verifichi la "magia"
inspiegabile del Teatro.
Per una scena piuttosto interessante (come tutte le altre) di due attori avvezzi al
"Metodo", la discussione verte anche sullimportanza di farsi sentire dai
presenti e di non tenere un volume di voce esclusivamente privato. C'è dunque, da parte
di Penn, anche una certa attenzione al fatto che sebbene si sia in una fase di studio è
pur sempre uno studio indirizzato verso il teatro, che tenga conto degli spettatori.
Anche questo mi sarà più chiaro in seguito e riguarderà la capacità di sentirsi
soli in pubblico, soli, ma per il pubblico, che se no uno se ne starebbe a casa.

Durante i due giorni che seguono, la mia partner ed io continuiamo a studiare insieme
nella casa dove abito e che la mia compagna lascia scientemente libera per noi (da
artista, capisce benissimo il bisogno di solitudine e silenzio e rispetta il tempo della
ricerca e studio). Proviamo alcuni esercizi per analizzare il testo dicendocelo,
leggendocelo, studiandolo a memoria, e anche cercando di spiegarcelo, ma questa ultima
fase non è prevista dal "Metodo"; mi sembra strano, ma mi adeguo.
Emergono le prime difficoltà: cosa fare, dove sederci come e dove indirizzare le
battute ed il loro senso. Ci scopriamo già molto diversi e abbastanza incompatibili. Io
scelgo di assecondare la mia partner in tutte le sue esigenze sia "artistiche"
che "alimentari" che vanno dal farmi preparare numerosi tè che poi non beve, al
preparare degli spaghetti che poi lascia nel piatto, al fare degli esercizi di memoria che
in passato avevo sempre fatto senza sapere che fossero esercizi del metodo, come quello di
dirsi le battute velocissimi senza recitarle mentre con le mani si svolge una qualche
attività di destrezza, ad esempio facendo dei nodi su di una corda (è così che ho
imparato tutti i nodi da marinaio oltre ai testi dei miei passati spettacoli).
Comincio a esprimere il mio disappunto perché tra lei e me non sgorga una goccia di
niente, nemmeno per una frazione di secondo. Addirittura la prima lettura è stata la
migliore, forse perché eravamo tutti e due entusiasti di cominciare, ma in seguito non
riusciamo a percorrere neanche un centimetro in avanti nonostante gli sforzi. Lei, saggia
(ma in quel momento non lo capisco), mi invita a mantenere la calma e a essere positivo
nei confronti di ciò che stiamo affrontando. Io mi sforzo, ma dentro di me comincio a
scalpitare. Mi ero riproposto di affidarmi completamente alle cure di un attore o attrice
più esperti di me anche del Metodo e invece cerco una scintilla di comunicazione tra me e
la mia partner che non scocca.
Cosa fareste se di una intera scatola di fiammiferi non riusciste ad accenderne nemmeno
uno? se di un intero accendino consumaste tutto il gas senza riuscire a far scattare la
scintilla? Forse smettereste di fumare. Comincio a pensarci anch'io, sono
preoccupatissimo. Adotto tecniche che conosco, che non amo, ma che credo di aver
orecchiato dal "Metodo": cerco riferimenti concreti della scena in esame con la
nostra vita privata e personale. Cerco, tento, di lusingare la mia partner dicendole che
mi è sempre piaciuta, che mi è sempre sembrata bellissima, che ipoteticamente avremmo
potuto essere amanti, almeno per quanto mi riguarda, come i nostri due personaggi....
Evidentemente non cè nulla di lusinghiero nel piacere a me, perché appena ho
smesso di parlare e abbiamo ricominciato a provare ci siamo ritrovati di nuovo fermi al
punto di partenza, forse anche un po indietro. Non riuscivo a trovare un appiglio.
Eppure cera lappiglio. Era lì davanti a me ma io non lo vedevo. La collera
montava dentro di me, nulla succedeva.
Paura infernale.
Unica consolazione, il giorno della prova si sarebbe trattato di un esercizio e non di
uno spettacolo, sicuramente Penn ci avrebbe aiutato.
~~~
2° pomeriggio.
Sappiamo che prima o poi toccherà a noi. Io spero di recitare prima il mio monologo di
Astrov, ma Penn preferisce i dialoghi perché determinano un necessario contatto tra i due
attori.
Mentre altri compiono il loro esercizio, si rinnovano le analisi dei problemi: alcuni
attori (ma valgono per tutti) appaiono come prigionieri delle parole del testo.
Comincia a delinearsi il gruppo di attori che più degli altri parteciperanno
esprimendo le loro opinioni. Io taccio e guardo ammirato.
Il Maestro dice che lui comincia le prove dei suoi spettacoli lasciando che gli attori
improvvisino sui personaggi e sulle scene prima di conoscere il testo, proprio per
liberarli dalla prigione delle parole. Se il corpo capisce, poi verranno le parole, non si
deve rimanere costretti dal testo che lautore ha scritto, con lui bisogna
collaborare, il testo è una cosa, lo spettacolo unaltra.
La considerazione precedente è una delle tante involontarie e straordinarie
similitudine con il metodo che io ho studiato, amo e applico, quello "Mimesico"
Di Orazio Costa Giovangigli, scomparso pochi giorni fa a 88 anni. Non posso fare a meno di
rivolgergli il pensiero affettuoso e la riconoscenza che da anni speravo di esprimergli
pubblicamente in occasione di un mio anche piccolo successo: è accaduto solo in America,
ma a lui ne non sarà arrivato neanche leco.
Insieme agli esercizi ritorna lesigenza di trasformare quel che si fa in qualcosa
di più "reale", si devono rispettare le circostanze e le azioni delle quali
bisogna essere ben consapevoli. Si evidenzia lidentità tra lattore e il
personaggio. Lattore è il personaggio, non il contrario, e fra i due non cè
differenza il sentire delluno è quello dellaltro.
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Nella mia mente, che voglio tenere disponibile allapprendimento, preme la
principale delle mie certezze. Io sono io, il personaggio è il personaggio, magari posso
fondare o scoprire qualcosa del mio personaggio attraverso delle esperienze comuni, ma per
me il personaggio viene molto prima di me ed indipendentemente da me, tutto il suo sentire
ed essere deve essere a mio avviso desunto dal testo, qualsiasi altra cosa è illecita.
Anche per il Metodo, pur se esposto in modo opposto, sembra essere così,
lidentità tra i due elementi personaggio/attore porta, attraverso lanalisi
delle circostanze e delle azioni, a un identico risultato. Le circostanze e le azioni sono
quelle date, cambia lattore e quindi cambia il personaggio, ma il senso di una
scena, di un dramma, la sua collocazione fisica e temporale, i motivi e le intenzioni non
si possono modificare.
Non avevo mai pensato che cambiando lattore potesse cambiare il personaggio, ma
solo la sua interpretazione. Ed effettivamente mi sembra di capire che neanche il Metodo
dica una cosa diversa, ma lo dice in modo diverso dal m io, tramite il rifiuto della
diversità tra attore e personaggio.
Quelle volte che ho incontrato attori (sedicenti o veri) del Metodo, li ho visti
lavorare su cose personalissime che spesso nulla avevano a che fare con quel che la scena
sembrava essere. In quelle occasioni ho sempre domandato che cosa li autorizzasse a farsi
quel loro romanzo. Alla risposta "io sono il personaggio", o peggio "così
si fa", la guerra scoppiava immediata. Se il testo è degno della definizione di
dramma teatrale, tutto si deve trovare al suo interno, il prima, il durante e il dopo, non
lo si può inventare. Dirò di più: il prima e il dopo non esistono, cè solo quel
che il testo indica, nelle battute, tra le battute, nelle note, nelle pause, sia pure
anche nella vita dellautore stesso o delle sue opere precedenti: ma inventarselo,
no.
Questa la mia opinione sempre manifestata e perseguita. Nonostante ciò, vedremo cosa
succederà... ancora un poco di pazienza. Per adesso posso anticipare solo che sono
convinto o che almeno credo fermamente di aver intrapreso la carriera di attore non per
mostrare quanto mi ritenessi bello o bravo, ma per annullarmi in un altro personaggio, per
nascondermi dietro la maschera di un personaggio. Tantè vero che i personaggi che
mi sono riusciti "meglio" (sigh!) sono quelli che spero siano più lontani da
me, quelli per i quali non mi sarei mai proposto, i mostri, gli abietti, i vili... Ciò
non significa che mi abbiano lasciato indifferente, anzi, proprio tramite quei personaggi
ho capito qualcosa di me. Forse.
Questa dimensione di identità mi darà tanto filo da torcere, genererà in me molta
confusione. Capisco che i risultati del metodo da me fin qui utilizzato per recitare e per
affrontare i testi è diversissimo dal "Metodo", ma porta agli stessi risultati.
Ma in me la confusione si è avviata e sta prendendo velocità vorticosa. Questa
confusione genererà molti lutti, la morte di tanti miei piccoli sperimentati
convincimenti. Decido di abbandonarmi al Metodo fin qui appena orecchiato cadendo nelle
contraddizioni più elementari e in tutti i tranelli, anche quelli da me con più
consapevolezza aborriti.
Lidentità tra personaggio e attore e la libertà a cui mi inviterà Penn, mi
faranno deragliare sul binario morto del "posso fare quel che mi pare", tanto se
il personaggio sono io, quel che mi viene da dire e pensare non può in nessun caso essere
sbagliato. Non solo il concetto appena esposto è totalmente contrario ai miei principi,
ma lho anche aspramente criticato tutte le volte che lho incontrato ed è
profondamente contrario al Metodo: io ancora non lo so e lo capirò solo troppo tardi.
Tantè che, con grande fatica, senso di sacrificio, determinazione a mettermi in
discussione, mi ci abbandono. Ahimè!
MA.
Cè un ma grosso come una casa. Capirò troppo tardi che avevo
lasciato fuori dal ragionamento due tra le cose più importanti: circostanze date ed
azioni. Ostacoli me ne ero dati a bizzeffe.
Non ci siamo ancora esibiti nemmeno una volta la mia partner ed io, e ci
vorranno altre due settimane perché io capisca qualcosa di più e di meglio, ma sarà
troppo tardi.
~~~
I fatti: La mia partner ed io sappiamo benissimo che non siamo pronti a niente, che non
abbiamo raggiunto neanche il livello zero di contatto e che in queste condizioni anche la
memoria ci difetta.
Scopriamo che Penn detesta Pinter, bel problema! Dice che stiracchia i sentimenti,
ripete ossessivamente, cosa vogliono dire tutte quelle pause, che vuol dire mettersi
seduti lì a tavolino... Tutte cose che non avevamo preso in nessuna considerazione. In un
moto compresso tra orgoglio e necessità, ci facciamo avanti, tanto sappiamo che faremo un
casino, ma lui ci aiuterà.
Disposti come due imbecilli (o almeno uno di sicuro, io) ai due lati di un tavolo
collocato verticalmente al palcoscenico in una posizione che più banale non si può,
spavaldi cominciamo a dirci le battute come peggio non potremmo. Vengo istintivamente e
irresistibilmente preso da un nervosismo che credo e continuerò a credere sincero e
quindi utile alla scena che stiamo disperatamente cercando di tenere in piedi. Per fortuna
Penn ci ferma e ci rivolge le domande fondamentali: circostanze e azioni, compiti,
intenzioni, ostacoli. Su questo alla bene e meglio ci siamo preparati quindi rispondiamo
con competenza.
Penn ci fa immediatamente notare che di tutto quello che abbiamo detto non si vede
nulla. Sgomento. A dire il vero parlo solo io, arcigno, fiero, disperato, comico, fragile,
molto fragile, capisco poco di quanto mi dice, ma credo di aver capito. Fondamentalmente
critica tutto e ci invita a cinque precise considerazioni da tener presenti per studiare e
progredire, cinque considerazioni che saranno la mia maledizione,
1) dimenticare Pinter,
2) dimenticare il testo,
3) raccontare la nostra storia cioè quella di Federico e F. (non la nomino come non
nomino tutti gli altri perché sono il solo responsabile dei disastri che vi verrò
raccontando),
4) rompere le regole,
5) essere anarchici.
La discussione è durata moltissimo, io sono disfatto ed umiliato, mi allontano
mormorando: ma come qui cè Pinter e io devo raccontare la mia storia!?!?!?
Ci ha fatto a pezzi, ma non meritavamo di meglio. Ora abbiamo una base
"certa" su cui lavorare.
Continuano le esercitazioni degli altri e sempre Penn trova il modo più semplice e
diretto per farli avanzare, aiutandoli a capire e a chiarirsi le circostanze e le azioni e
a trasformare il "sentire" in qualcosa di reale.
Il dialogo che segue la prova della scena, proprio perché a quel punto si abbandona
qualsiasi convenzione teatrale, appare, anzi è decisamente reale, sentito realmente. Al
paragone con questa realtà tutto quello che si è fatto, che ho fatto, durante il
tentativo di recitazione scompare come unillusione. Anche la regista che
segue e riprende con la telecamera il seminario me lo fa notare. Io rispondo che il
pubblico se mai venisse a teatro non verrebbe a vedere me, ma il personaggio. Sento, ma
non so se capisco, Penn che mi dice che questo non ha niente a che fare con la sincerità
del sentimento espresso o provato in scena, che se è reale passa il palcoscenico, se è
finto non rivela altro che finzione, menzogna. Il problema che non risolvo è come mettere
quella sincerità nel mio personaggio.
Il dialogo continua con tutti i presenti su altri esercizi e prove: Penn racconta di
quando, dovendo mettere in scena un testo dal titolo "Un funerale in famiglia",
si accorse allinizio delle prove di come tutti, dagli attori allo scenografo al
costumista, avessero interpretato o stessero interpretando la conclusione, in una
tristezza infinita, come se tutti fossero già fin dallinizio alla conclusione del
dramma invece di arrivarci raccontando la dinamicità degli avvenimenti. Spesso gli attori
condizionati dal titolo del testo che affrontano o dalla conoscenza degli sviluppi del
testo, interpretano la fine del dramma fin dallinizio. Come tutte le altre scoperte
è tanto banale quanto infinitamente vera. Non smetteremo di cadere in questo tranello.
Si parla di emozioni sensoriali, di ricostruzione e uso delloggetto, assente o
presente che sia. Come fare passi in avanti di livello in livello.
~~~
Gli spettatori mi sembrano guardoni di quello che io ritengo essere, in questa fase,
più un peep shop che un teatro (sì, perché siamo nudi, non possiamo far ricorso a
nessun trucco, stiamo studiando, dobbiamo rivelare i nostri problemi, i nostri dubbi. In
questo, io sono maestro, anche se nessuno se ne accorge o per complicità o per
disinteresse. Mi faccio del male tagliando la carne viva dei miei errori per da lì
ripartire mondato, cerco di svelare coprendola tutta la mia inadeguatezza. Un regista
presente in sala mi si avvicina e fa alcune considerazioni riguardo quanto ha visto, delle
quali gli sono assai grato:
A) Non ti arrabbiare! (Vero! Durante la conversazione devo essere stato molto
aggressivo, ma non me ne ero accorto).
B) Non dare la colpa alla tua partner! (Vero! Non era una mia intenzione cosciente, ma
evidentemente si era palesata).
C) Pinter ha bisogno di una precisissima cadenza di battute, azioni, pause... tutto
parla. In voi non esprimevano niente neanche le battute: stiracchiate, mal dette e
inaudibili, forse anche mal pronunciate. (Vero e basta!)
Alla mia domanda "che devo fare?", gli ho strappato la seguente risposta che
non so se lui realmente approvi, io sì, è sempre lultima soluzione in casi simili:
D) Fatevi (la mia partner ed io) una bella litigata. (Vero! Ci ho provato, ma con lei
mi è sembrato troppo pericoloso, non mi sono voluto prendere questa responsabilità, non
sono ne uno psichiatra, ne uno psicanalista, ma solo un attore che non sapeva
più dove sbattere la testa)
Lappiglio era lì, lei me lo offriva chiaramente, ma io stavo perdendo qualsiasi
possibilità di vederlo.
I giorni seguenti abbiamo a disposizione il teatro per provare da soli: occasione
meravigliosa. Io e la mia partner ci diamo appuntamento lì per il lunedì seguente.

Improvvisazioni:
Condenso il racconto degli accadimenti di tre giorni di lavoro, noi da soli in teatro,
12 ore di improvvisazioni in ogni direzione (sigh!).
Modifichiamo una delle circostanze: così come suggerito dal testo avremmo dovuto
essere in un pub, seduti uno di fronte allaltro. Penn ci aveva detto di non sederci,
di muoverci. Così, siccome ci sembra un po improbabile muoversi tanto liberamente
in un pub, scegliamo di agire nella stanza privata di un pub, una di quelle stanze dove
può avvenire di tutto, da un convegno di affari a un pranzo a un incontro amoroso o a
pagamento. 1° errore.
Cominciamo a muoverci nello spazio dato, dicendoci le battute. Risulta essere più che
altro una prova di memoria.
Riproviamo come prima ma aggiungendo battute improvvisate, raccontandoci storie,
passato e presente, domande e risposte. Credo che questo sia lesercizio dello
"speaking out". 2° errore. Ci si dovrebbe attenere alle circostanze e
azioni date, io invece divago pur credendo di rimanere in tema. Succede ben poco. Mi monta
un po di agitazione, ma la controllo benissimo (?). Mostro ancora molta
disponibilità, credo di essere ancora molto disponibile.
Proviamo la scena muti. Effettivamente qualcosa accade, cè più comunicazione
fra noi, contatto e senso, i corpi procedono dove le parole non sapevano portarci.
Riproviamo con le parole: non succede nulla. Immediatamente prigionieri delle parole,
della memoria.
Noto che la mia compagna procede in tutti gli esercizi con lo stesso
"sentire" anche denso, ma che a me appare univoco, non modulato, noioso, compie
sempre le stesse azioni di avvicinamento e contatto fisico, reagisco con un po di
fastidio, non le dico niente, cerco di mantenermi fisicamente e intellettualmente
disponibile alle sue proposte, ma forse involontariamente, più probabilmente
volontariamente, comincio a provocarla durante le improvvisazioni con battute e azioni
più o meno inserite nel contesto, rifiuti, fastidio manifesto, sempre più allontanandomi
dalle circostanze date. E cominciata la discesa ripida verso il disastro. La mia
disponibilità nei confronti della mia partner comincia a cedere. 3° errore.
Unattrice abbastanza esperta del Metodo che assiste alla prova, mi fa
delicatamente notare che ci dovremmo attenere alle circostanze date. Le ricordo le cinque
indicazioni di Penn: Dimenticare Pinter, dimenticare il testo, raccontare la nostra
storia, rompere le regole ed essere anarchici. Lei non replica e forse si convince. 4°
Errore.
Non riesco a scuotere la mia partner che continua un suo percorso di avvicinamento che
mi infastidisce sempre di più, mi appare sempre uguale, comincio a stufarmi di
improvvisare senza che nulla accada. 5° errore.
Le propongo di scambiarci i ruoli e improvvisare senza o con poche parole, non so se
sia previsto dal Metodo, ma la proposta viene accettata. Procediamo (io faccio
lei, Emma, lei fa lui, Jerry): non so cosa succeda al mio corpo, mi sento
brutta, stanca, avvilita, non cedo allidea facile di "travestirmi" che
pure mi passa per la mente, comunque mi abbandono a tutta la mia fragilità, la fragilità
di un personaggio che ha passato una notte infame a parlare con il marito dal quale ha
ricevuto la rivelazione che lui lha sempre tradita ed al quale lei stessa rivela il
proprio tradimento con il migliore amico (del marito) storia durata sette anni e finita da
due.
Ora Emma è in procinto di incontrare lex amante che non vede da due anni, dal
quale cerca forse conforto, forse laffetto di allora, al quale forse sa di aver
combinato un casino avendo rivelato tutto al marito. Le circostanze sono esattamente
quelle proposte dal testo. Bene. Aspetto che lei/lui (ci siamo scambiati le parti) entri,
aspetto, lui entra, lo guardo, lo riconosco, ma è diverso da come lo ricordavo, non
reggo, mi commuovo, lo abbraccio, mi abbraccia, scoppio in lacrime, mi consola con il suo
abbraccio, mi riprendo e sempre umido di lacrime continuiamo la scena.
Bene, mi sembra, molto bene. E accaduto moltissimo. Ho appreso molte cose, prima
fra tutte la fragilità di quella condizione per il personaggio di lei. Cè stato
contatto, molto emozionante. Non realizzo lo smarrimento della mia partner. 6° errore.
Torniamo alle battute. Di nuovo non succede niente di quello che mi aspettavo, solo i
soliti inseguimenti, credo. Eppure gli appigli che la mia partner mi manda sono lì. Non
li vedo e non voglio vederli. Sento il bisogno di una maggiore reattività e la provoco
allontanandomi sempre più dalle circostanze e dalle azioni date. 7° errore.
Continuiamo così tra rabbia e fastidio per due giorni, ripetendo improvvisazioni di
tutti i tipi e credendo di stare sulla scena data, invece io me ne allontano sempre più,
ma non me ne accorgo, mi sento autorizzato ad andare dove mi porta il caso perché ormai
accetto istintivamente lidea che se io sono il personaggio io posso fare quello che
voglio. 8° enorme errore.
Se non stessi cercando di praticare il Metodo, mi sederei a tavolino con la mia partner
e discuterei battuta per battuta, senso, significati, direzioni, circostanze e azioni
anche se non le chiamerei così, ma la mal comprensione dellesercizio mi allontana
dal mio metodo per assumere quelle regole che credo, sbagliando, siano proprie del Metodo:
io sono il personaggio e sono autorizzato a fare qualsiasi cosa senta, perché quel
sentire mi appartiene e quindi è vero.
Non solo non cè niente di più sbagliato per il Metodo, ma anche per le mie
intime convinzioni, ma ormai credo che sia giusto abbandonarmi anche a quella ricerca e
sperimentare ciò che non conosco. Purtroppo sbaglio completamente direzione. La mia
partner continua, solo un po turbata dalla mia rabbia che si fa evidente, la sua
strada di "sentire realmente", ma io non la vedo proprio più, per cui continuo
a manifestarle solo il mio fastidio e a provocarla durante le improvvisazioni che
diventano sempre più tese.
Non sono più disponibile fisicamente a cedere ai suoi avvicinamenti, desidero solo
vedere una fiamma sia pure di rabbia da parte sua nei miei confronti, ma la sua intima
delicatezza la tiene su modi gentili e riservati che mi irritano ancora di più. Sempre
erroneamente convinto che essendo la mia irritazione reale sia opportuna alla scena,
quella metto in campo e non riesco più a fare altro.
Ultime due ore di improvvisazione:
Il giorno prima siamo arrivati a qualche momento di contatto sia pure rabbioso, ma mi
appare ancora molto poco, troppo poco.
La prima improvvisazione non è niente di più di una prova di memoria.
La seconda è meno di niente.
La rabbia monta e lo dico.
Riprendiamo. Deluso e preoccupatissimo, finalmente, non so perché, scelgo di andare
sulle corde di lei, di accogliere e rispondere alla univocità (così mi appare) dei suoi
sentimenti. Sono dolcissimo anchio, finalmente smarrito nel vederla, ci commuoviamo
entrambi, lascolto, le rispondo. Sentendo le "azioni" delle sue battute un
po casuali e appiccicate sulle parole, senza perdere il personaggio che sto
proponendo, la invito a pensare che forse quello che sta dicendo abbia un senso diverso da
quello che lei propone. La mia partner tenta una giustificazione, ma prova a modificare le
sue "azioni", ci riesce e limprovvisazione continua come se nulla
lavesse interrotta.
Siamo dolci, disperati, preoccupati, vicini e poi di nuovo lontani. E ciò
che dovrebbe essere ci conforta una spettatrice. A me invece sembra poco più di
niente, sbaglio, ma non lo capisco e invece capisco che mi sono abbandonato alle sue corde
per dimostrarle subdolamente come quella dimensione fosse niente. 9° errore.
Ripetiamo la stessa improvvisazione, ma la mia insofferenza esplode. 10° clamoroso
errore.
Altri due attori presenti in attesa di provare il loro lavoro mi gridano di mettere
tutta la mia energia nella scena invece che nella discussione. Sono ormai cieco.
Completamente. Rispondo che lho già fatto i giorni precedenti e che non è successo
niente lo stesso. Ne sono convinto. Ed è vero, ma il 10° errore si ingigantisce, diventa
mortale.
Nonostante lei mi inviti a continuare a improvvisare io mi sento sfinito, non avendo
visto alcun avanzamento, sono stufo. Usciamo insieme e, fuori del teatro, ci limitiamo a
una semplice prova di memoria seduti che sembra più interessante di tutto quello che
abbiamo fatto finora. Ci lasciamo molto tesi.
~~~
3° pomeriggio:
Le nostre dodici ore dimprovvisazione sono state interrotte da un altro incontro
di lavoro con Penn.
La cosa straordinaria di questo spirito felice dellarte è la capacità di
condurre lattore verso il percorso di ricerca del "reale" con poche e
semplici parole, irripetibili, perché quando le pronuncia sembrano addirittura ovvie,
solo che vengono in mente solo a lui. Lo sappiamo tutti, la principale virtù dei grandi
è la semplicità, e in lui è al massimo grado.
Penn si avvicina agli attori mentre provano i loro pezzi e sottovoce, senza
interromperli, suggerisce unazione o un sentimento e improvvisamente la scena monta.
Si assiste alla replica delle scene già viste il primo ed il secondo giorno, agli
avanzamenti che le scene hanno fatto seguendo le indicazioni ed i compiti assegnati da
Penn. I cambiamenti sono ancora incerti, ma notevoli.
~~~
4° pomeriggio:
Si apre con la ripetizione di un lungo monologo di un attore studiato la sera del
giorno precedente, per elaborare sensorialità e chiarezza, direzione delle azioni.
Già alla prima prova Penn è entusiasta, cè un grande avanzamento. Comunque
invita lattore a ripetere il monologo in una lingua universale, una specie di
Gramlot di Fo. Lattore è bravissimo e disponibile, il senso della scena e delle
azioni si evidenziano. Latmosfera è molto piacevole.
Tocca a noi. Siamo terrorizzati, addirittura la mia partner spera che Penn ci
interrompa subito per lavorare con lui. Io, dopo le tensioni del giorno prima, mi sento
molto più vicino a lei, la consolo, la tranquillizzo, ma sembra che tutto ciò non
sortisca alcun effetto. Prevedo già che si agiterà tantissimo e che quindi io dovrò
impormi di mantenere la calma ed eventualmente con battute improvvisate tranquillizzarla
anche durante lesercizio. Lei stessa me lo chiede. Ed io mi sento perfettamente in
grado di farlo.
Una frase dellintroduzione di J. R. Isaacs ad "Acting" di Boleslavsky,
mi conforta: "First know rightly what to do, and then to do it rightly".
Lho sempre fatto, ho sempre mantenuto la testa fredda, concentrandomi prima di
entrare in palcoscenico, sapendo quello che dovevo fare. Purtroppo non ho considerato che
quel "rightly" è la cosa che conta di più. Dimentico completamente il livello
per me insoddisfacente degli ultimi esercizi fatti con la mia partner e trattandosi ancora
di unimprovvisazione mi preparo a sorprenderla per, spero, riuscire a ottenere
freschezza di reazioni e contatto con lei.
Ha inizio l11° e più grave errore accompagnato dalla somma di tutti gli
altri. Decido di entrare nella stanza che ci siamo dati come luogo e sorprenderla come non
ho mai fatto prima, con uno stupido e, nelle mie intenzioni, tenero gioco che talvolta
nella vita ho fatto. La sorprendo silenziosamente alle spalle ben sapendo che lei mi sta
aspettando, le copro gli occhi per farle indovinare chi sia a coprirglieli, avviando così
un processo anche intimo, di immediato contatto, che dovrebbe portarci a una emozione da
sviluppare durante lesercizio.
Niente di più sbagliato. Capirò troppo tardi che anche nellimprovvisazione non
è lecito fare cose che laltro non si aspetti e comunque mai è lecito abbandonare
le circostanze e le azioni date. Ma io ormai sono cieco e convinto di essere autorizzato,
in quanto io stesso il personaggio.
E un corpo a corpo in cui rapidamente ripercorro tutte le improvvisazioni fatte e
senza accorgermene costruisco di attimo in attimo dei "punti fissi" che
raggiungo. Credo di essere sulla scena, dentro le circostanze, credo di mantenere la calma
perché immediatamente mi accorgo che lei non sa più dovè, cerco ad arte di
tranquillizzarla, ma la mia inconscia irritazione, violenza e aggressività emergono senza
che io possa più controllarle.
Penn ci interrompe. Comincia il dialogo con tutti i presenti. Io non capisco e, mi
dirà il giorno dopo la gentile signora che ci assiste, Penn non capisce che io non
capisco. Io mi difendo dalle critiche e osservazioni di tutti con ostinata aggressività.
Senza mai dirlo perché mi sembra implicito, sostengo che se come dice il metodo io sono
il personaggio, nessuna critica di irrealtà o di comportamento sbagliato può essermi
mossa, perché se reagisco in un modo che credo sincero, che sento naturale, anche la mia
irritazione deve a tutti i costi essere giusta ed io nel giusto.
Nessuno riesce a fermarmi e a farmi capire che tutto sarebbe giusto solo nelle
circostanze e nelle azioni date dalla scena, cose che io ho completamente dimenticato. Non
riesco ne ad ascoltare quel che mi dicono ne a dire quel che credo scontato.
Sono ormai rigido, in difesa. Credo di essere apparso agli occhi di tutti come un bruto
irrispettoso della delicatezza della mia partner, e forse è vero. Un attore osserva che
entrambi abbiamo indossato delle "attitudini" e abbiamo senza nessuna freschezza
o "reale sentire" proposto dei punti fissi. E vero ma me ne rendo conto
poco e malamente. La mia partner tace, osserva solo che non ci eravamo dati punti fissi ad
eccezione di tre "azioni" previste e suggerite della scena. Questo mi fa sentire
più vicino a lei. La quale per il resto tace.
Penn chiede a lei quali fossero le sue intenzioni in quella scena, lei tergiversa,
tace, non riesce a rispondere, scoppia in lacrime. Io intimamente mi irrito. Penn mi
chiede di stabilire ora un contatto con lei. Io mi avvicino e mi inchiodo combattuto tra
la mia irritazione per quel pianto e lesigenza di stabilire un contatto, passano dei
minuti, io non ho il coraggio di consolarla, resto così fino a che Penn dice che un
contatto non è una sinfonia che duri in eterno, un contatto è un contatto. Capisco, ma
non mi schiodo dallincomprensione di ciò che dovrei fare: essere gentile con lei?
farmi carico di quel dolore che lha presa? Io in quel momento la odio!
Penn ci invita a procedere nella recitazione. Lei sempre in lacrime pronuncia con
parole proprie il senso dellultimo momento della scena, in me lirritazione è
totale e per altro la scena prevederebbe in quella fase la mia più totale paura,
incazzatura, sgomento. Cose che provo ma che a quel punto non ho più il coraggio di far
emergere. Sono nero, la mia partner è in qualche modo consolata dalla comprensione di
Penn e di tutti i presenti. Io sono un mostro che effettivamente non ha capito un cazzo e
che ha aggredito la sua partner, siamo tutti stanchissimi, la scena e la conversazione,
funestata dalla tensione che sono stato capace di costruire, hanno occupato lintero
spazio tra un intervallo e un altro.
Penn chiaramente mi disprezza per il mio manifesto cinismo, ma non abbandona la sua
straordinaria semplicità e dolcezza, certo corre preoccupato in soccorso della mia
partner. Lei mi guarda, Penn mi domanda cosa vedo nei suoi occhi, io rispondo "odio
nei miei confronti", lui dice e allora, io dico che le lacrime di una donna ricca
bella elegante che dirige una galleria di pittura con la quale ho avuto una storia per
sette anni ormai finita da due anni (così sono i personaggi) non mi inteneriscono per
niente, anzi, mi fanno incazzare e non capisco perché debba nasconderlo. La confusione su
che cosa significhi lidentità tra attore e personaggio è al suo culmine.
Penn ci separa, dà a lei un esercizio e a me un altro. Entrambi mi odiano. Bene! La
mia carne è nuda e ferita, credevo di essere il più forte e per questo mi sono dominato
almeno nelle intenzioni volontarie, invece sono completamente sconfitto, lei, sia pure in
lacrime, si è dimostrata molto più forte e ostinata di me, non ha mai modificato il suo
"vero sentire", io non sono stato capace di capirlo, di prenderlo, di essere con
lei. Non ci sarà tempo, la mia mente rimarrà offuscata anche per i giorni a venire. Di
più capirò la sera dellultimo incontro, ma sarà comunque troppo tardi.
Mi sono sempre considerato un attore femmina. Ricordate la definizione che
si diede alla nazionale italiana di calcio ai mondiali di Spagna dell82? Si disse
che la squadra era una femmina perché si adattava alle condizioni della squadra di volta
in volta avversaria, le rifletteva e vinceva. Certo quelli erano campioni e questo non è
evidentemente il mio caso, ma amo adattarmi al gioco che mi si propone. In questa
occasione non sono riuscito a coglierlo, se cera un gioco non lho visto.
Il mio vanto di attore di essere sempre disponibile a realizzare quel che mi viene
chiesto dai registi, al punto di rifiutare qualsiasi "repertorio", qualsiasi
sicurezza, è stato assolutamente travolto, è crollato sotto i colpi di una mia totale
(ho creduto) dedizione a un compito che ho completamente sbagliato. "Think
rightly"!
Gli esercizi:
A lei Penn affida il compito di preparare il personaggio da "La più forte"
(credo di Strindberg, introvabile in libreria), un dialogo con una partner che non parla.
A me affida il compito di preparare "il momento privato", un momento privato
mio, non di un personaggio. Di nuovo panico. Che cosè il momento privato? Chiedo ad
attori del seminario più esperti del Metodo, tutti a eccezione di uno concordano che si
tratti di ricostruire un momento privato della propria vita che non si compirebbe davanti
a nessuno. Mi suggeriscono di portare oggetti e attrezzeria da casa, cose personalissime.
Mi raccontano che in alcune occasioni l80% degli attori invitati allo stesso
esercizio si sono spogliati, qualcuno si fa la barba, qualcuno si lava i denti, la mente
naturalmente va alle cose più private come la masturbazione o altre attività
fisiologiche, anche tagliarsi i peli dal naso o strapparsi quelli delle orecchie.
Strasberg ha inventato questo esercizio per far superare agli attori quel muro di
imbarazzo o timidezza che li costringe a una insincerità di comportamenti e movimenti
quando sono davanti al pubblico. Insomma dalle mie ricerche e da quello che riesco a
intuire si tratta di raggiungere quella dimensione che è sempre necessaria in un primo
piano cinematografico. Ricordo il racconto che mi fece il più grande dei registi con cui
ho lavorato a proposito di unattrice che dovendo girare un primo piano intimo e
delicatissimo in un capannone che fungeva da studio cinematografico dove poco più in là
stavano girando un altro film tutto diverso, un western con cavalli, carrozze e
sparatorie, fu tranquillamente capace di dimenticarsi di tutto e raggiungere la commozione
che la scena le richiedeva.
Senza arrivare agli eccessi descritti, al cinema c'è come minimo una troupe che ti
guarda e racconta ben altra storia da quella che a te è affidata. In teatro a me è stato
insegnato di sentire sempre il pubblico, quindi lesercizio di dimenticarlo è ancora
più difficile, per di più il nostro pubblico è composto a mio avviso da guardoni. Penso
a quali siano i miei momenti privati che non mostrerei neanche ad una persona intima: a
parte la masturbazione e la defecazione non ne trovo. Cè una cosa che amo fare e
che mi concedo qualche volta, io la chiamo: "La mia perdita di tempo", il che,
considerando il poco tempo che mi è concesso, è il massimo del lusso e della lussuria.
Con i miei vestiti del giorno prima, prima di lavarmi o, dopo una intensa giornata di
lavoro, mi siedo sulla mia poltrona preferita, mani in tasca, un paio di golf addosso che
sento sempre freddo, mi perdo nei miei pensieri, parlo con i miei fantasmi che in genere
mi rimproverano per i miei propositi di vendetta per una violenza, lunica, subita
nella mia vita.
Effettivamente "sprecare il mio tempo" è una cosa che mi riesce benissimo
anche in pubblico, lho sperimentato più volte. Avrà senso farlo in questa
occasione? Non lo so, comunque mi carico mezza casa (tutto labbigliamento del giorno
prima, tre golf, la scatola del Maalox, alcuni oggetti, dei libri, la fodera della mia
poltrona preferita, intrisa del mio odore stantio e molte altre cose) in unampia
valigia e vado al 5° incontro con Penn. Non so che cosa farò ne se farò
lesercizio. Sono tesissimo.
~~~
5° pomeriggio.
Vorrei qui citare in particolare cinque esercizi tra i tanti ai quali ho assistito che
più sono stati importanti per il livello di sincerità e lavoro che sono stati raggiunti
dagli interpreti. Questi episodi naturalmente sono stati diluiti nellarco
dellintero seminario.
1) Giovanna DArco di George Bernard Shaw.
2) Il Gabbiano di Tennesse Williams.
3) Un mese in campagna di Ivan Turgenev
4) La Signorina Giulia di August Strindberg.
5) Il bicchiere della staffa di Harold Pinter.
Uno, "Giovanna DArco": Giovanna dopo sette mesi di carcere viene
condotta in tribunale e riceve la condanna. Prima prova: sorprende la capacità
dellattrice di dominare la lingua, ma soprattutto il coraggio di esporsi tra le
prime, gli elementi della sua persecuzione e del coraggio sono tutti già lì, ma non
ancora completamente distinti, certo la prova è emozionante. Lingresso
dellattrice in catene è da brivido, poi la tensione prosegue drammatica, ma è
recitata, non reale. Penn suggerisce di meditare su che cosa significhi per Giovanna quel
processo e quale debba essere la sua condizione sensoriale (sofferenza, odori, dolori,
freddo...) dopo sette mesi di prigione. Anche, suggerisce ancora, il processo per Giovanna
dovrebbe significare la gloria e la fede in Dio, loccasione perché si manifestino
luno e laltra.
Seconda prova: Non vedo un enorme cambiamento sebbene lattrice liberi una
straordinaria potenza.
Terza prova: Labisso. Entra una santa, lacera, probabilmente puzzolente, umiliata
dalle torture, eeretta nella sicurezza della protezione del suo Dio, ma anche abbandonata
alla certezza della sua fede. Momento agghiacciante per intensità è quando il giudice le
indica luomo che la tiene in catene e che non è solo il suo torturatore, ma sarà
anche il suo boia. "Giovanna" si gira a guardarlo e in lui vede (o io vedo
questo nei suoi occhi e nel suo corpo) materializzarsi luomo che come figlio di Dio
non può rappresentare un pericolo, tuttal più compirà la volontà del Dio in cui
lei ha fede. Non cè paura, ma fiducia e abbandono. La condanna al rogo viene
pronunciata e in Giovanna emerge la donna mischiata alla santa, la paura umana e
laccettazione della volontà di Dio, sia pure manifestata attraverso la volontà
degli uomini. Ci sono in questa attrice chissà quante altre emozioni reali e
spaventosamente drammatiche, ora potrebbe raccontarmi qualsiasi cosa, io ci crederei.
Lattrice scappa perché ha da fare, ma anche in sua assenza Penn ne loda il lavoro
straordinario.
Due, "Il Gabbiano": Questo Gabbiano di Williams è un inedito, i due attori
che lo provano sono adusi al Metodo, hanno studiato molto, raggiungendo ad ogni prova
momenti estremamente significativi. Quel che mi colpisce delle indicazioni di Penn in una
delle occasioni, la seconda, è che chiede loro cosa si aspettino luno
dallaltra. Per esempio allattrice, "Nina", chiede da dove venga e
perché sia lì nello studio di "Trepilov". Viene da fuori, piove, è stata
sotto lacqua, deve consegnare a Trepilov una lettera. Penn dice che non si vede che
è bagnata e non si vede che voglia o debba consegnare la lettera. Difatti lattrice
se ne è dimenticata, presa dallintensità di rapporto con il partner. Scioccante ma
significativo aver dimenticato lazione principale della scena.
Terzo, "Un mese in campagna": La donna vuole spingere via il suo amante che
la tratta male. La prima prova dellattrice mi appare come un momento privato
interiore, non mi suscita una particolare emozione. Penn la invita a un maggiore contatto
con il suo partner, che mi appare freddo ma comunicativo, intenso. La seconda prova, i due
attori sono insieme, ci sono lunghi momenti di grande intensità, si assiste alla
sofferenza della donna e allevolversi dei suoi sentimenti contrastanti di volerlo
cacciare via, ma anche di volerlo trattenere. Grande intensità e contatto tra i due
interpreti. Ma alla proposta di Penn di eseguire ancora lesercizio senza parole
succede quello che sarebbe stato difficile immaginare: I sentimenti si materializzano, si
vedono fisicamente trasformarsi, la sofferenza è grande e lemozione degli
spettatori altissima. Chiedo a Penn se lattrice in caso di repliche debba sottoporsi
tutte le sere allo stesso stress psicologico, lui dice assolutamente no, deve solo
ripercorrere le "azioni" compiute che ormai il suo corpo ha immagazzinato nella
memoria fisica, le emozioni verranno da sole.
Quarto, "La Signorina Giulia". Da questo esercizio ho appreso due lezioni:
lumiltà di una celebre attrice che si è veramente messa in discussione senza falsi
pudori, e la capacità anche di fronte di uno straordinario lavoro suo e del suo partner,
di rinunciarvi se fuori dalle circostanze date e dai significati dati.
Quinto, Il bicchiere della staffa. Un tale perseguita durante un interrogatorio prima
un uomo e poi sua moglie. La prova è divertente, ma anche un po tutta uguale. Penn
in segreto suggerisce ai due interrogati di modificare allopposto le loro
"azioni": invece di essere succubi, devono provocare, resistere, affrontare
colui il quale li interroga. La scena si capovolge con effetto devastante, il persecutore
non sa più come agire, altre dinamiche si scoprono, non potranno più essere dimenticate
anche tornando alle circostanze e azioni date.
~~~
Molti altri sono stati gli esercizi, tutti molto interessanti:
- Unattrice che è arrossita allemergere delle proprie emozioni.
- Un attore solo di spalla copre il lavoro del protagonista.
- Un attore che parla e sfida i propri fantasmi e li fa reali al punto che li vediamo
anche noi. A questo proposito qualcuno chiede se la sera davanti al pubblico lattore
non riuscisse a vedere i suoi fantasmi cosa dovrebbe fare? Risposta, dovrebbe usare quello
che ha, il sipario che si apre, la platea, la paura di non vedere i tuoi fantasmi sono
fantasmi più che sufficienti.
- Un commovente dialogo in un campo di concentramento dove i due attori riescono anche
a ridere di nuovo.
- Un monologo che diventa dialogo.
- Due attori che interpretano lo stesso monologo in modi così diversi che a stento ne
riconosco lidentità.
~~~
In un moto spontaneo, non so ne come ne perché, avvicino Penn e gli
comunico che non farò lesercizio sul momento privato, perché già sono stato
completamente nudo davanti a lui e a tutti gli attori e spettatori durante la
conversazione che è seguita al mio esercizio il 4° giorno. Gli chiedo se la cosa ha
senso per lui, mi dice che certamente sì. Il mio unico dispiacere è di non poter
lavorare con lui su una delle altre scene che ho preparato. Non sono rilassato per niente,
ma sono convinto che lui a sorpresa mi chiederà di farlo, sono pronto con tutte le mie
chincaglierie. Non ho preso in considerazione il grande rispetto che lui ha per gli altri,
non me lo chiederà. Peccato. Colpa mia comunque.
~~~~
6° pomeriggio.
Cè aria di festa e di tristezza, ancora poche ore e tutto sarà già stato, è
venerdì ma sembra "Il sabato del villaggio".
Arrivato prima, mi organizzo per il mio momento privato, che provo brevemente, poi mi
rincantuccio vicino a un termosifone e lì rimango in attesa, come spettatore.
Si susseguono molti esercizi alcuni più avanzati altri ritornati indietro.La mia ex
partner fa il suo esercizio con anche altri interpreti nella parte di clienti del bar, il
cameriere ruba la scena a tutti, è attore che mi appare molto versatile e intimamente
simpatico qualsiasi cosa faccia. Vedo nellattrice tutto quello che ho sempre visto
durante il lavoro insieme, agitazione e un grande accumulo di gesti, facce e atti
preordinati ma che laiutano a trovare la strada. La sua nuova partner nel ruolo
dellamica che non parla, osserva Penn, sta recitando una muta, ma il fatto che non
parli non significa che sia muta, è direttamente la fine del testo. Le invita a riprovare
senza tutta la baraonda degli altri interpreti, la scena è di studio e riguarda la
relazione fra le due donne, il resto ora non serve.
Lo scontro è tra una donna che ha una felice vita familiare piena di interessi e
affetti, cose da fare, pensieri, e lamica che solo alla fine capirà che
laltra sa che lei è lamante di suo marito. Uno scontro tra una intensa
generosità e una certa aridità, detto in rozzi soldoni. Questa seconda prova vede la mia
ex partner sviluppare un maggiore contatto e maggiore sicurezza sebbene dica battute che
improvvisa, e questo comunque laiuta, è ben più serena ed effettivamente accade
qualcosa, peccato che sia lultimo giorno e non possano lavorarci ancora. Finito
lesercizio lei torna al suo posto con i complimenti affettuosi di Penn, anchio
mi complimento e lei per la prima volta da tre settimane, diversamente da come ha sempre
fatto con me, dice che invece non è stata brava e che non ha fatto nemmeno il minimo.
Domanda: Perché qui vede che è appena allinizio, e non è vero, e invece con me
si dichiarava tanto contenta di quel niente che accadeva?
Mia ipotesi: Penn è stato capace di infonderle quella sicurezza che ora le permette
anche di criticarsi. Grande Penn. Piccolissimo Federico.
Lezione finita!
~~~
Grande applauso a Penn che si sottrae.
Grazie Penn per tutto quello che hai fatto per noi ed in particolare per me. Ti sembra
poco il trauma che mi hai fatto provare? Sorride, mi stringe la mano e dice: e già il
trauma!
~~~~
Martone riunisce gli attori che hanno partecipato per fare due chiacchiere su quel che
è stato. Molti, quasi tutti tranne due, esprimono il desiderio di continuare a studiare
il Metodo, auspicano che il Teatro di Roma continui a promuovere seminari perché tutti si
trovi una lingua comune. Martone ci pensa, ma sta promuovendo incontri con le più diverse
realtà ed esperienze teatrali. Naturalmente il nome di Peter Brook è sulla bocca di
tutti, ma è difficilissimo riuscire a ottenere degli incontri con lui. Martone dice che
si potrebbe continuare a lavorare con quei registi che sono stati presenti tra il
pubblico. Dico che sebbene straordinaria lidea: 1) la presenza di quegli spettatori,
e non solo per me, è stata più un problema che un piacere, trattandosi di un laboratorio
e non di uno spettacolo. 2) che mi è capitato mille volte di incontrare attori, registi,
sceneggiatori che per aver seguito un corso di sei giorni ritenevano di essere depositari
di un metodo di lavoro.
Vengo interrotto e non riesco più a dire che il lavoro con i giovani registi
discontinuamente presenti al seminario sarebbe comunque importantissimo Metodo o non
Metodo, per sviluppare se non proprio un linguaggio comune, almeno un modo di comunicare
gli uni con gli altri. In America sono addirittura le Università, le scuole a mettere in
contatto gli allievi con i professionisti per sperimentarsi gli uni e per rinfrescarsi gli
altri. Spero che Martone proceda in questa sua proposta e mi permetta di esserne parte.
Ultima considerazione.
Rimango convinto che il Metodo sia una gran cosa, ma che la grandezza di chi ce ne ha
dato un esempio sia immensamente più straordinaria. Come tutto nel mondo può essere
usato bene o male. Non è lunica lingua. E temo porti sì a risultati eccellenti, ma
a nessuna delle altre infinite ipotesi che il Teatro riserva a chi le voglia sperimentare.
Certo qualunque strada si intraprenda, ci vuole uninfinita disponibilità per
percorrerla e unintera vita di lavoro quotidiano.
Grazie infinite.