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Il filosofo e il piccolo schermo

Paul Ricoeur con Renato Parascandolo


Questa intervista è tratta dall’Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, un’opera realizzata da Rai-educational in collaborazione con l’Istituto italiano per gli studi filosofici e con il patrocinio dell’Unesco, del Presidente della Repubblica Italiana, del Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme d’espressione e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica, la conoscenza della filosofia nel suo svolgimento storico e nei termini vivi della cultura contemporanea.

Per ulteriori informazioni potete visitare il sito Internet: www.emsf.rai.it

 

Professor Ricoeur, qual è il contributo che un'opera come la "Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche", e più in generale la televisione, può dare alla diffusione del pensiero e specialmente del pensiero filosofico?

Credo che si debba tenere un atteggiamento il più liberale possibile verso tutti i mezzi di comunicazione: ogni nuovo mezzo di comunicazione si aggiunge agli altri e trova il suo posto accanto agli altri. Faccio un esempio al di fuori del caso che ci riguarda: l'apparizione del disco non ha affatto nuociuto all'ascolto della musica in concerto. Il disco ha preso il suo posto in rapporto alla musica eseguita in concerto e direi perfino che l'interesse per la musica è stato rinnovato dalla presenza del disco. C'è quindi una continua osmosi tra la musica che si ascolta dal vivo e la musica registrata. Direi che qui è la stessa cosa. Bisogna sapersi servire correttamente e nel modo migliore di tutti i mezzi di comunicazione. Ciascuno deve trovare il posto che gli compete. Ciascuno ha le sue virtù, le sue potenzialità e quindi i suoi limiti. Non dobbiamo vederli in concorrenza tra di loro.

 

Se qualcuno avesse registrato le lezioni di Freud, di Einstein, di Heidegger, di Husserl etc. sarebbero testimonianze importanti per la cultura universale?

Sì, ma solo in termini di testimonianza, perché avremmo una traccia di ascolto, così come abbiamo la fotografia. Ci fa piacere oggi rivedere le vecchie fotografie o i primi film della fine del secolo scorso.

 

Gadamer ha detto che la televisione ha qualcosa che manca al libro e al calcolatore: la voce e l'espressione del volto; lei che opinione ha al riguardo?

Questa considerazione va situata in quella che si potrebbe chiamare la "dialettica della parola e della scrittura", in cui ognuna di queste modalità del linguaggio include l'altra o è superiore all'altra solo da un certo punto di vista. La voce implica la presenza diretta del corpo e del volto, è parte del volto. È quindi il segno di una prossimità. Ma al tempo stesso c'è la limitazione dell'ascolto; soltanto la scrittura trasporta il discorso al di là della presenza immediata. L'insegnamento d'altronde è interessante sotto questo punto di vista perché è a metà strada tra parola e scrittura.

Una lezione, un corso, possono diventare una parte, un capitolo di un libro e, inversamente, un libro può essere riversato in una conferenza, in un discorso. Allora credo che bisogna ancora una volta dare fiducia a questa alternanza della parola e della scrittura. E in effetti gli esercizi ai quali il mio amico e maestro Gadamer, e io stesso, ci siamo sottoposti molto volentieri, sono anche l'apprendistato di un certo rapporto con un pubblico invisibile come quello del libro, ma che vede l'immagine come rapporto di parola. Un rapporto estremamente sottile passa tra parola e scrittura, tra l'immagine presente e lo scrittore invisibile.

 

Professor Ricoeur, Lei mi ha detto di aver sentito una volta una lezione di Heidegger su disco. Che tipo di emozione Le ha dato?

È commovente sentire la voce di Heidegger, soprattutto adesso dopo la sua morte. Io ho avuto la fortuna di ascoltarla dal vivo a Cérisy-la-Salle, in un famoso convegno. Ma d'altra parte c'è nella voce una specie di limitazione: è data al testo una sola voce, mentre il testo ammette altre voci oltre la sua. Precisamente dal giorno in cui è morto, noi possiamo dire il testo diversamente. Da questo punto di vista la lettura da parte di Heidegger del proprio testo diventa una lettura tra le altre, ma ciò che resta è il suo testo. Vorrei fare un paragone col libretto d'opera. Il libretto resta sempre lo stesso ma bisogna che ogni volta degli attori lo rappresentino per noi. Lo stesso si dica della musica che esige degli esecutori.

Da questo punto di vista la conferenza, la lezione fanno parte di quelle arti che Henry Gouhier ha classificato come "arti a due tempi". La pittura la vediamo direttamente, mentre il libretto dev'essere rappresentato e la partitura musicale eseguita. Lo stesso rapporto assai sottile esiste tra testo scritto e parola: certe volte è lo scritto ad aver ragione, altre volte è la parola che salva lo scritto.

(Traduzione di Francesco Fanelli)

 

 

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