Professor Ricoeur, qual è il contributo che un'opera
come la "Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche",
e più in generale la televisione, può dare alla diffusione del pensiero
e specialmente del pensiero filosofico?
Credo che si debba tenere un atteggiamento il più
liberale possibile verso tutti i mezzi di comunicazione: ogni nuovo
mezzo di comunicazione si aggiunge agli altri e trova il suo posto
accanto agli altri. Faccio un esempio al di fuori del caso che ci
riguarda: l'apparizione del disco non ha affatto nuociuto all'ascolto
della musica in concerto. Il disco ha preso il suo posto in rapporto
alla musica eseguita in concerto e direi perfino che l'interesse
per la musica è stato rinnovato dalla presenza del disco. C'è quindi
una continua osmosi tra la musica che si ascolta dal vivo e la musica
registrata. Direi che qui è la stessa cosa. Bisogna sapersi servire
correttamente e nel modo migliore di tutti i mezzi di comunicazione.
Ciascuno deve trovare il posto che gli compete. Ciascuno ha le sue
virtù, le sue potenzialità e quindi i suoi limiti. Non dobbiamo
vederli in concorrenza tra di loro.
Se qualcuno avesse registrato le lezioni di Freud,
di Einstein, di Heidegger, di Husserl etc. sarebbero testimonianze
importanti per la cultura universale?
Sì, ma solo in termini di testimonianza, perché
avremmo una traccia di ascolto, così come abbiamo la fotografia.
Ci fa piacere oggi rivedere le vecchie fotografie o i primi film
della fine del secolo scorso.
Gadamer ha detto che la televisione ha qualcosa
che manca al libro e al calcolatore: la voce e l'espressione del
volto; lei che opinione ha al riguardo?
Questa considerazione va situata in quella che
si potrebbe chiamare la "dialettica della parola e della scrittura",
in cui ognuna di queste modalità del linguaggio include l'altra
o è superiore all'altra solo da un certo punto di vista. La voce
implica la presenza diretta del corpo e del volto, è parte del volto.
È quindi il segno di una prossimità. Ma al tempo stesso c'è la limitazione
dell'ascolto; soltanto la scrittura trasporta il discorso al di
là della presenza immediata. L'insegnamento d'altronde è interessante
sotto questo punto di vista perché è a metà strada tra parola e
scrittura.
Una lezione, un corso, possono diventare una parte,
un capitolo di un libro e, inversamente, un libro può essere riversato
in una conferenza, in un discorso. Allora credo che bisogna ancora
una volta dare fiducia a questa alternanza della parola e della
scrittura. E in effetti gli esercizi ai quali il mio amico e maestro
Gadamer, e io stesso, ci siamo sottoposti molto volentieri, sono
anche l'apprendistato di un certo rapporto con un pubblico invisibile
come quello del libro, ma che vede l'immagine come rapporto di parola.
Un rapporto estremamente sottile passa tra parola e scrittura, tra
l'immagine presente e lo scrittore invisibile.
Professor Ricoeur, Lei mi ha detto di aver sentito
una volta una lezione di Heidegger su disco. Che tipo di emozione
Le ha dato?
È commovente sentire la voce di Heidegger, soprattutto
adesso dopo la sua morte. Io ho avuto la fortuna di ascoltarla dal
vivo a Cérisy-la-Salle, in un famoso convegno. Ma d'altra parte
c'è nella voce una specie di limitazione: è data al testo una sola
voce, mentre il testo ammette altre voci oltre la sua. Precisamente
dal giorno in cui è morto, noi possiamo dire il testo diversamente.
Da questo punto di vista la lettura da parte di Heidegger del proprio
testo diventa una lettura tra le altre, ma ciò che resta è il suo
testo. Vorrei fare un paragone col libretto d'opera. Il libretto
resta sempre lo stesso ma bisogna che ogni volta degli attori lo
rappresentino per noi. Lo stesso si dica della musica che esige
degli esecutori.
Da questo punto di vista la conferenza, la lezione
fanno parte di quelle arti che Henry Gouhier ha classificato come
"arti a due tempi". La pittura la vediamo direttamente,
mentre il libretto dev'essere rappresentato e la partitura musicale
eseguita. Lo stesso rapporto assai sottile esiste tra testo scritto
e parola: certe volte è lo scritto ad aver ragione, altre volte
è la parola che salva lo scritto.
(Traduzione di Francesco Fanelli)