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La cultura non è un genere televisivo

Renato Parascandolo con Paola Casella

 


"Alle due di notte si punti su un film porno, che è più adatto". E' stato questo lo sfogo del ministro del Tesoro Giuliano Amato quando la trasmissione di Rai Educational Il Grillo, alla quale Amato aveva recentemente partecipato, è stata mandata in onda nel cuore della notte. Il Grillo è un programma educativo basato sul dialogo fra personalità del mondo della politica e della cultura e allievi delle scuole superiori e, come altre trasmissioni di Rai Educational dedicate ai giovani, ad esempio Impariamo la tv e Mediamente, "va in onda quando i giovani sono a scuola oppure a nanna", come ha commentato Alberto Contri, consigliere d'amministrazione della Rai, che ha anche aggiunto: "Se vi sembra normale..."

Renato Parascandolo, da un anno direttore editoriale di Rai Educational, si esprime in modo pacato, cercando di smorzare i toni della polemica, ma ci tiene a sottolineare che trovare la giusta collocazione in palinsesto per i diversi tipi di programma offerti dalla televisione pubblica, compresi quelli culturali, è prima di tutto una questione di buon senso. "Piu' ancora che penalizzanti, certe collocazioni appaiono illogiche, perche' ogni tipologia di programma e' mirata a un target specifico, e far coincidere orario e target e' semplicemente una scelta sensata. Altrimenti diventa davvero uno spreco"

Anche perche' il vero senso delle affermazioni di Amato, secondo Parascandolo, sta non tanto nell'aver segnalato l'incongruente collocazione dei programmi di Rai Educational, ma nel riconoscimento della loro qualità. "Il caso si è creato non per una questione di orario ma perchè Amato ha affermato che Il Grillo è una bella trasmissione, e come tale meriterebbe di essere seguita da un pubblico ampio. In questo senso, è una forma di riconoscimento del lavoro che facciamo."

Non crede che questo riconoscimento dovrebbe arrivarle anche dai vertici Rai?

"Inannzitutto bisogna riconoscere alla Rai di aver comunque dato spazio ai nostri programmi culturali, anche quando si e' trattato di proposte difficili, che le emittenti pubbliche di altri paesi avrebbero senz'altro rifiutato. Se penso che la Rai ha accettato di produrre serie anche lunghe, cioè di almeno 15 puntate, su argomenti come la storia del design o la guerra civile spagnola, per non parlare delle 30 puntate delle lezioni di latino, direi che è stata abbastanza coraggiosa. Alcuni nostri programmi però hanno obbiettivamente ottenuto un buon successo, e quindi si tratterebbe di sfruttare al meglio un patrimonio acquisito"

Un patrimonio culturale, certo, ma forse non di ascolto.

"Invece anche come audience ci difendiamo bene. Il Grillo ha raddoppiato lo share nella sua fascia oraria, ottenendo più del 10%, nonostante sia collocato dopo il TG notturno e prima di Marzullo. E Mediamente, (il programma sulle nuove tecnologie, anch'esso prodotto da Rai Educational, ndr), che nell'orario delle 8:30 ottiene solo il 2% di share, quando viene rimandato in onda al sabato su Rai 3 sale all'8-9% e con le repliche estive raggiunge anche il 14%"

Il che dimostra che la collocazione oraria incide molto sui dati di ascolto di un programma.

"Certo, l'orario mattutino in cui viene mandato in onda Mediamente, dal lunedì al venerdì, vede come audience un pubblico di ultrasessantenni, di pensionati e infermi, il 50% dei quali possiede solo la licenza elementare. E' evidente che c'è un'incongruenza fra la tipologia del programma e il pubblico al quale è destinato dalla collocazione in palinsesto. Tantopiù che l'obbiettivo di Mediamente è quello di alfabetizzare i giovani ai nuovi media, che è una priorità del paese, non solo una scelta culturale."

Quale sarebbe secondo lei la collocazione ideale di questi programmi?

"Il pomeriggio, che è l'orario più accessibile ai giovani, e per Mediamente anche la tarda seconda serata: non dimentichiamo che il settore delle nuove tecnologie interessa anche a un pubblico adulto.

Ma in quegli orari la televisione vuole ancora un'audience elevata.

In effetti chi fa palinsesti segue la logica dei numeri, e dovendo competere con le televisioni commerciali è comprensibile. Anche perchè quando si va a parlare di numeri le proporzioni saltano subito all'occhio: un punto di share nella tv generalista costa 60 miliardi, e duqnue il costo contatto dei nostri programmi, che anche quando ottengono il 10 o il 14% di share lo fanno in fasce orarie marginali dove gli spettatori rimangono numericamente pochi, diventa altissimo. D'altra parte i costi di produzione dei nostri programmi sono infinitamente inferiori a quelli dei programmi di prima serata: l'intero ciclo di Mediamente, che va in onda cinque volte la settimana per 7-8 mesi, costa quanto una sola puntata dell'Ultimo valzer di Fabio Fazio, cosi' come l'intero budget di Rai Educational corrisponde alla realizzazione di dieci spot pubblicitari."

Insomma, siete ancora la Cenerentola della televisione pubblica.

Ma ci tengo a sottolineare che avere un budget limitato significa anche andare incontro a un minor margine di rischio economico per l'azienda e quindi ci consente di rischiare su programmi che hanno coefficienti di difficolta' maggiori, cosi' come mandare in onda programmi culturali in certi orari ci da una maggiore possibilita' di sperimentazione. In pratica, e' come avere uno spazio di laboratorio dove rodare nuove trasmissioni. Poi pero' se i risultati ci sono, bisogna dare il giusto spazio a quelle trasmissioni culturali che hanno dimostrato di saper reggere l'impatto all'interno della tv generalista"

Quanto spazio dovrebbe essere riservato dalla tv generalista alla cultura?

Lo dico anche se va contro il mio interesse: la televisione pubblica non deve tanto offrire piu' programmi culturali, quanto piu' cultura all'interno dei programmi di grande ascolto, e mi riferisco anche ai varieta' del sabato sera, o alle soap opera. Ci vuole piu' ironia, piu' buon gusto. E anche i programmi educativi non devono essere per forza noiosi, perche' hanno carattere divulgativo: per questo noi parliamo di intrattenimento culturale. La cultura non e' un genere televisivo, e' un'avventura dell'intelletto, e' civilita'. In questo senso, tutto puo' essere cultura, e tutto incultura. Il vero discrimine e' quello fra educazione e diseducazione: e' li' che si gioca la partita.

La televisione puo' davvero educare?

In realta' io sono convinto che la televisione sia il mezzo meno adatto per l'apprendimento, perche' passa e va, e non concede tempo alla riflessione. La televisione puo' essere educativa, ma non istruttiva, informa, ma non forma. L'idea e' quella di mescolare intrattenimento e informazione per creare una forma mentis piu' recettiva in senso ampio. I programmi culturali devono limitarsi a incuriosire, ad appassionare, ma l'approfondimente avviene in altra sede. A questo proposito, sono fiero di aver portato in Rai il concetto di intermedialita', cioe' la necessita' di far interagire i media fra di loro. Per questo noi di Rai Educational ci stiamo concentrando sulla produzione di opere multimediali progettate per essere distribuite su diversi media in diversi formati, come la storia della filosofia in CDRom e videocassette che uscira' in questi giorni.

 

 

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