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"Transactional content": corpo di giornalismo, anima di pubblicita'

Riccardo Stagliano'

 

Il concetto non figura ancora nei "classici" della Teoria generale di Internet, ma e' tra quelli che presto si sentiranno ripetere piu' insistentemente: "transactional content", "contenuto transazionale". I puristi della lingua hanno gia' digrignato i denti di fronte all'ennesimo neologismo cyber e lo stesso hanno fatto alcuni decani del giornalismo statunitense quando e' stato spiegato loro di cosa si trattasse. L'ultima invenzione degli strateghi dell'online per calamitare visitatori sui propri siti consiste nell'offrire un "contenuto" editoriale pensato per "vendere" beni o servizi. "Pubblicita'!" hanno riassunto alcuni con disprezzo, ma la sintesi manca alcune caratteristiche nuove e intriganti.

La forza del Web a fini commerciali sta nell'accorciare drammaticamente la distanza tra la propensione all'acquisto di chi navigando trova qualcosa di suo interesse e la compera vera e propria. Basta un clic e il videoregistratore offerto dal centro commerciale virtuale finisce nel carrello elettronico; a un colpo di mouse piu' in la' si puo' scoprire qual e' l'aerolinea con la tariffa piu' conveniente per le Isole Fiji, e via di seguito. "Tell, sell, link, think" e' lo slogan: il negozio virtuale diventa uno one-stop-shopping dove si vede il prodotto, si ottengono informazioni su di esso e si decide se comprarlo. Tutto si puo' svolgere on-line: non ci sono posteggi di cui preoccuparsi ne file da fare ma innanzitutto bisogna invogliare i visitatori a sganciare dei soldi sulla base di un'immagine di pixel e qui arrivano i produttori di "transactional content".

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